Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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OPERE
Ancora una recensione critica su "Cristo si è fermato a Eboli" a cura di L.M.Magini

 


Cristo si è fermato a Eboli
 

Opera pubblicata nel 1945. Nel 1953, l'attività di antifascista costò all'autore il confino in un paese sperduto della Lucania, Gagliano, dove trascorse un anno. Torinese, laureato in medicina, con prevalenti interessi per la pittura e la politica, sembrava che nulla della sua estrazione sociale ed educazione borghese potesse predisporlo ad amare e capire i contadini del Sud. Eppure, il suo libro nacque da un'amicizia e da una scoperta a un tempo: Levi fu adottato dai contadini di Gagliano e capì che i criteri del suo ambiente di origine non avrebbero potuto applicarsi a essi. La Lucania, infatti, non appartiene all'Italia del secolo XX: è un "altro mondo serrato nel dolore e negli usi", "negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente", "una terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immutabile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte". Gli abitanti di Gagliano sono divisi in due classi: i "cafoni" (i contadini poveri) e i "galantuomini" (i proprietari e i borghesi). "Noi non siamo cristiani", dicono i cafoni: "non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie,... perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall'orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto". Cristo "si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né le speranze, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia... Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo". A Gagliano, L. dipinge e assiste i malati, mentre i "galantuomini" gli tessono intorno intrighi meschini. Il nucleo tematico del libro è nella cronaca della vita del paese, nei ritratti - quello di Giulia, la strega, o di don Trajella, il vecchio arciprete perseguitato dal podestà fascista - e nell'evocazione del passaggio immutabile delle stagioni. Ed è proprio nella vita quotidiana che i "cafoni", malgrado miseria e malaria, si rivelano i depositari di un'antichissima civiltà contadina e conservano vivo "il senso umano di un comune destino, e di una comune accettazione". Ma l'accettazione della loro condizione si accompagna a un forte senso del diritto e della "legittimità": "Un uomo è "legittimo" se agisce bene; un vino è "legittimo" se non è fatturato". Per Levi la piccola borghesia, più ancora dei grandi proprietari, è responsabile della miseria contadina. "Senza una rivoluzione contadina" scrive "non avremo mai una vera rivoluzione italiana, e viceversa". E conclude: "Il problema meridionale si risolve soltanto con l'opera di tutta l'Italia, e il suo radicale rinnovamento. Bisogna che noi ci rendiamo capaci di pensare e di creare un nuovo Stato, che non può più essere né quello fascista, né quello liberale, né quello comunista, forme tutte diverse e sostanzialmente identiche della stessa religione statale... Per i contadini, la cellula dello Stato, quella sola per cui essi potranno partecipare alla molteplice vita collettiva, non può essere che il comune rurale autonomo... Questo è quello che ho appreso in un anno di vita sotterranea". Letizia Maria Magini

 

Luigi De Bellis