Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano |
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Guglielmino Grosser |
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Ermetismo |
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Ad osservare sinteticamente lo sviluppo
delle poetiche (e dell'arte) dal romanticismo alle
avanguardie storiche si deve constatare che un processo si
è compiuto: il processo di sperimentazione di nuove forme
espressive, di dissoluzione del linguaggio di tutta la
precedente tradizione (compresa in parte quella romantica)
a partire dal rifiuto delle forme chiuse e regolari fino
addirittura al rifiuto del linguaggio comunicante. Più
radicalmente, se si vuole, si può dire che si è compiuto
il processo di autodissoluzione dell'arte, così come da
sempre era stata concepita. Eventi questi innescati dal
rifiuto delle teorie classiche dell'arte e dall'imporsi
del canone dell'originalità come criterio di valore
estetico (tanto che i risultati più radicalmente eversivi
possono apparire un esito inevitabile, già tutto scritto
nei cardini concettuali della poetica romantica), ma certo
portati al loro apice proprio dalle avanguardie storiche
convinte della necessità e dell'inevitabilità di una
«rivoluzione permanente delle forme» (Calvino). Comunque
sia, è un fatto che una linea di sviluppo della ricerca
artistica moderna, forse la linea portante, ha toccato sul
piano formale limiti (con l'assurdo e il nonsense dei
dadaisti, con la scrittura automatica dei surrealisti)
difficilmente superabili. Dopo le avanguardie storiche -
c'è da domandarsi - quale forma espressiva può dirsi in
assoluto innovativa e originale? È davvero plausibile una
«rivoluzione permanente delle forme»? O viceversa,
sperimentata la dissoluzione dell'arte tradizionale e
raggiunti i limiti del silenzio, non c'è che da guardarsi
indietro e recuperare forme, modi, esperienze di quei
movimenti che hanno innescato il processo e hanno portato
lo sperimentalismo ai suoi estremi limiti formali? Dopo le
avanguardie ci possono essere altre autentiche avanguardie
o solo un'accademia delle avanguardie?
Sarebbe probabilmente azzardato affermare assolutamente
che, dopo le avanguardie, tutto è stato ed è mera ripresa
di forme artistiche e poetiche ormai esperite in tutte le
loro virtualità. Ma è anche un fatto che più fitta e
frequente si fa la ripresa di modelli precedenti (in
pratica di tutti i modelli formali che hanno segnato la
storia dal romanticismo alle avanguardie) magari combinati
fra loro. Ne sarebbe una conferma, esteriore ma
significativa, la stessa frequenza dei prefissi "neo"
utilizzati per designare alcuni movimenti tra i più
significativi storicamente degli ultimi decenni (dal
neorealismo alla neoavanguardia). L'originalità dei nuovi
movimenti e delle nuove poetiche andrà allora ricercata
essenzialmente nelle diverse sintesi di elementi formali
già sperimentati, nella ricerca di nuove tematiche e nel
rapporto, variabile per definizione, con i contesti e con
le situazioni particolari in cui tali fenomeni si
manifestano (cioè nel loro significato storico-culturale
specifico). L'originalità delle sintesi, poi, andrà
probabilmente ricercata, più ancora che nei grandi
movimenti, soprattutto nelle soluzioni individuali che
obbediscono a ragioni personali particolari oltre che
storico-culturali.
In parte questa è l'impressione che dà lo sviluppo delle
poetiche novecentesche in Italia, che traggono motivi
ispiratori e linfa vitale (sul piano teorico) via via dal
decadentismo-simbolismo e dalle sue propaggini
novecentesche straniere, dalle avanguardie storiche e
addirittura dal naturalismo-verismo (fenomeno per certi
versi estraneo alla linea portante di sviluppo che si è
delineata). Ma in verità, a parte forse poche eccezioni,
anche il panorama europeo non presenta tratti assai
diversi. Non è qui certo il caso di prendere in esame
tutte le poetiche novecentesche italiane, soprattutto non
è possibile considerare le poetiche individuali (spesso in
sviluppo diacronico), nelle cui sintesi originali stanno
probabilmente alcuni dei vertici della letteratura
novecentesca italiana (pensiamo a Ungaretti a Montale a
Saba e, più recentemente, a Luzi a Pavese a Calvino o a
Zanzotto). Delle poetiche di alcuni scrittori, come di
alcuni movimenti diamo conto in altre parti di questo
volume. Intanto, però, si dovrà rendere ragione di alcune
nozioni storiografiche, di alcuni movimenti dominanti o
caratteristici di un'epoca e di alcune poetiche più
estensive e generali che hanno avuto un particolare
rilievo nella storia letteraria italiana del Novecento, a
partire - per l'età fra le due guerre dall'ermetismo.
Quella di ermetismo, ancora una volta, è una nozione
discussa. In discussione è in particolare l'estensione del
fenomeno da qualificare come ermetico. Senza entrare nel
merito della storia del termine (la cui origine remota
risale a Ermete Trismegisto e a una dottrina
filosofico-religiosa di tipo esoterico fiorita nella tarda
età ellenistica che appunto da lui prese nome di
"ermetismo"), osserveremo che tutt'oggi, in ambito
letterario italiano, se ne danno due accezioni differenti:
una più estensiva che, a partire da un celebre saggio del
Flora del 1936, associa al termine in pratica l'intero
sviluppo della lirica (con estensione alla critica e alla
prosa d'arte, più che alla narrativa) italiana da
Ungaretti e Montale sino a un gruppo di scrittori
fiorentini legati alle riviste «Frontespizio» e «Campo di
Marte» (Bo, Bigongiari, Contini, Gatto, Luzi, Macri,
Parronchi, Traverso, ecc.); e una più riduttiva, oggi
prevalente, che pur evidenziando i rapporti tra quei
maestri e il gruppo fiorentino ritiene di dover associare
il termine solo a quest'ultimo ed eventualmente a suoi
vicini milanesi (legati alla rivista «Corrente» e facenti
capo a Sereni). Si tratta anche in questo caso in certa
misura di problemi di periodizzazione e di classificazione
che, una volta posti per dovere di informazione, possiamo
trascurare di analizzare. Basti per ora rilevare che un
legame di relativa (comunque non esclusiva) filiazione tra
l'esperienza di Ungaretti e Montale e quella della scuola
fiorentina non si può negare, ma che d'altronde tra quei
"padri" e quei "figli" (peraltro non identici) palesi sono
anche le diversità sia ideologiche che formali.
Consideriamo il contesto: tra le due guerre, dopo le
esperienze delle avanguardie in tutta Europa si assiste ad
un processo di ora brusco ora progressivo "ritorno al
l'ordine". Dopo gli esiti estremi delle avanguardie si
sente la necessità di guardare indietro e di riconnettersi
più direttamente anche alle esperienze decadenti e
simboliste europee (solo parzialmente penetrate nella
cultura italiana all'epoca di Pascoli e D'Annunzio), molte
delle cui ragioni ideali, culturali e letterarie non si
sono ancora esaurite. In Italia l'ottimismo e la ludicità
futuristi non potevano da soli - specie dopo la grande
guerra - aver fatto piazza pulita di tutti gli elementi di
crisi morale, spirituale, culturale e magari politica
vissuti dalle generazioni precedenti. Anzi la guerra li
aveva rinnovati e resi per molti versi più acuti e gravi.
La realtà del dopoguerra proponeva poi ulteriori spinte in
direzione di un " ritorno all'ordine" e ulteriori motivi
di crisi, di inquietudine, di dubbio, che non si
esauriscono nell'avvento del fascismo, ma che certo lo
comprendono. Pur senza enfatizzare il rapporto degli
intellettuali col fascismo quale genesi della nuova poesia
e letteratura, bisogna qui render conto di
un'interpretazione vulgata, che non per questo ha del
tutto perso la sua ragion d'essere.
Rapporti complessi col fascismo caratterizzano
l'esperienza di tutti i poeti e gli scrittori che operano
tra le due guerre, non rinunciando alla letteratura per la
lotta politica e non facendosi palesemente fiancheggiatori
del regime e portavoce della sua politica culturale. Non
potendo apertamente contestare il regime, molti scrittori
paiono rifugiarsi nella letteratura come un campo di
esperienza alternativo a quello della cultura di regime (
le velate, simboliche contestazioni, le professioni di
fede negative, le affermazioni di sfiducia, di
inettitudine a vivere e di impotenza, le descrizioni e le
rappresentazioni di amare vicende esistenziali, qualunque
fosse la loro genesi individuale, qualunque altra
connotazione culturale avessero, almeno oggettivamente
(cioè anche al di là delle intenzioni) costituivano un
contraltare alla fiducia, all'ottimismo programmatico, al
trionfalismo degli intellettuali e dei mass media
fascisti. La poesia, proprio a partire dall'oggettiva
denuncia della guerra dell'Allegria ungarettiana (di
quell'Ungaretti che pure ne avrebbe dedicato a Mussolini
una successiva edizione) e dalle negazioni montaliane
(«Non chiederci la parola...»),imbocca nella sua linea più
vitale una direzione che potremmo genericamente definire
di "negazione" e di ricerca esistenziale, etica e
metafisica. Il ricorso al linguaggio oscuro e difficile di
derivazione decadente e simbolista, caratteristico
soprattutto del gruppo fiorentino, come pure alcune
tematiche negative come quella dell'assenza e dell'attesa
(attesa, ad esempio, di una palingesi che non si compie o
di una ricerca che non conosce mete definitive ma se ne dà
sempre di nuove) vengono tradizionalmente interpretati
come (e in una certa misura sono) un dolente rifiuto del
fascismo. Tale rifiuto si realizza attraverso una
"chiusura" autointrospettiva, nella ricerca di
un'alternativa esistenziale o spirituale alla realtà
esterna difficile e ostile, una ricerca ora confidente ora
disperata di realizzazione nell'interiorità della
coscienza o negli spazi metafisici, talora nell'esperienza
religiosa in senso proprio. Il medesimo legame con la
cultura decadente e simbolista e ragioni più particolari
mettono in guardia però - come si è detto - dal risolvere
solo in chiave di rifiuto politico la complessa esperienza
esistenziale e poetica di intellettuali e poeti come
Montale e come gli ermetici fiorentini. Sul terreno per un
verso c'è un più complesso e articolato rapporto con la
civiltà e il mondo moderni (già del romanticismo e del
decadentismo sono il rifiuto del presente, del mondo e
della civiltà moderna e borghese e il volgersi ad una
ricerca puramente interiore) e per altro verso ci sono -
come sempre - storie e vicende umane e culturali
particolari, ragioni di inquietudine, aspirazioni e
tensioni individuali.
Da un punto di vista più tecnico tutta questa produzione
letteraria variamente ma profondamente affonda le proprie
radici nelle poetiche precedenti (soprattutto, come si
diceva, del simbolismo europeo: da Verlaine a Mallarmé, da
Valéry a Eliot). La ricerca condotta negli spazi interiori
o, al di là del reale empirico, in spazi metafisici trova
un supporto nella poetica della "poesia pura", che
teorizza l'autonomia della poesia (e dell'arte) - cui nega
ogni esplicita funzione pratica, morale e politica - e la
sua capacità di autonoma esperienza esistenziale e
conoscitiva, spirituale e salvifica (secondo Bo, in quello
che è considerato il principale manifesto della poetica
dell'ermetismo fiorentino, tra poesia e vita non c'è, non
ci deve essere differenza, per garantire alla letteratura
la sua dignità etica). La volontà di restituire al
linguaggio poetico la sua forza, la sua autenticità, la
sua verginità originaria è per molti versi un diretto
corollario di questa concezione; come lo è il rifiuto
della retorica dannunziana e di certo impressionismo e
sentimentalismo pascoliano. Ulteriori caratteristiche
tecniche della nuova poesia sono la concentrazione lirica
(frutto di una rigorosa e sofferta distillazione del
pensiero e del sentimento, contro il fluire copioso e
ininterrotto di certo dannunzianesimo), la poetica
dell'analogia (Ungaretti parla esplicitamente anche di
«immaginazione senza fili», utilizzando il concetto
marinettiano per sottolineare l'ampiezza della sintesi
analogica), del simbolo o - specialmente nel caso di
Montale del correlativo oggettivo (o poetica degli
oggetti-simbolo, oggetti equivalenti di una condizione
interiore o esistenziale). La poesia non deve né
descrivere né rappresentare: deve evocare. Non importa
l'immediata comprensibilità del messaggio (quantunque
molti ermetici dichiarino di non essere oscuri
intenzionalmente), quanto il valore di esperienza
dell'atto poetico, che sarà comunicativo solo quando
capace di suscitare un'analoga (non identica né univoca)
esperienza nel lettore. Di qui anche la programmatica
polisemia (ambiguità), l'oscurità intenzionale o meno,
maggiore o minore, della poesia che poi appunto prese il
nome di ermetica. Come si vede, senza bisogno di ulteriori
precisazioni, gran parte di questi indirizzi, canoni e
strumenti hanno precisi precedenti nell'esperienza
decadente e simbolista, ne sono una rielaborazione
relativamente originale.
Su questi sommari elementi in larga misura comuni si
innestano poi le differenze individuali e specifiche, che
qui non è il caso di indagare. Anche all'interno
dell'ermetismo fiorentino, che secondo il Ramat si
caratterizzerebbe fra l'altro per un uso effettivamente
più criptico ed ermetico dei simboli (laddove il
simbolismo ungarettiano e montaliano sarebbe assai più
trasparente), si possono distinguere indirizzi, poetiche e
voci particolari.
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