|
È il terzo volume della Filosofia dello spirito. Il Croce
ammette due sole forme dello spirito: la pratica e la
teoretica, escludendo quella del sentimento. La dualità
delle forme non rompe però l'unità dello spirito, il che
non implica che l'una forma si debba confondere con
l'altra: non esistono scienze pratiche né può esservi
errore nel pensiero teoretico, essendo l'errore di natura
pratica. Nell'attività pratica la volizione e l'azione
sono identiche ma non per questo coincidono con
l'accadimento, ossia con il fatto reale, che presuppone il
tutto. Ciò che fa della volizione un fatto spirituale è il
gusto pratico, che non va confuso col giudizio pratico,
che è giudizio storico e suppone l'azione di cui è
giudizio e non l'accadimento. L'atto volitivo, infatti, ha
valore in se stesso, indipendentemente dall'accadimento o
successo. Sì che altro è il progresso dell'azione, altro
quello della realtà, nella quale il progresso consiste nel
fatto, quale che sia il valore dell'atto dell'uomo che si
giudica. Non si può parlare di un'origine storica
dell'attività pratica, il giudizio storico essendo
unicamente condizionato dalla filosofia pratica, dal
concetto che uno si fa della realtà, il che non toglie che
abbiano la loro validità la descrittiva pratica, le regole
e la casistica. Ma che cosa sono il bene e il male, le
passioni e la forza che le agita, i desideri e le
ispirazioni? In primo luogo, che cosa sono libertà e
necessità nell'atto volitivo? Anzitutto, è errata la
distinzione tra libertà di volizione e volontà d'azione:
l'azione è reale come atto volitivo e volontà. Questa è
necessità e libertà insieme, in quanto da una parte l'atto
volitivo non nasce sul nulla, ma sarebbe condizionato da
una situazione o realtà storica, dall'altra è libero, in
quanto produttivo di nuova realtà. Erronei sono
determinismo e arbitrarismo, ed egualmente i sistemi del
materialismo e del misticismo in gnoseologia; vero è
l'idealismo come dottrina di libertà che è insieme
necessità. Il miracolo vero è lo Spirito stesso. La
libertà dell'azione è dunque la realtà dell'azione, il
bene è libertà e realtà, il male non libertà e non realtà,
ossia il male è irreale, nella dialettica dello spirito.
Le passioni, i desideri, sono volizioni non realizzate che
sollecitano l'individuo, il quale volta a volta opera la
sintesi volitiva. L'attività pratica sarebbe pertanto
costituita dalla volizione che trionfa delle volizioni.
Non libertà di scelta, ma volontà che si fa tale
realizzandosi tra passioni e desideri, che non sono
volontà. È volontà di volere, e attua così se stessa. Le
passioni, intese come abiti volitivi, sono il fondamento
dell'individualità e non debbono essere distrutte con
l'istituire un'antinomia di anima razionale e
individualità. La virtù e il carattere richiedono abiti e
passioni. L'universale è nell'individuale, così come si è
se stessi essendo, intanto, uomini. Solo a questo patto è
possibile l'educazione. La dialettica dell'atto volitivo
rivela la natura stessa della realtà, che è svolgimento,
progresso, infinita attuazione o spirito. Al pessimismo e
ottimismo volgare dobbiamo contrapporre un ottimismo
dialettico e virile. Nulla passa nel nulla, nulla rimane
tal quale, ma risorge in nuova forma, e la storia si
giustifica. La storia, con la quale viene a coincidere la
realtà, che è tuttavia superindividuale. Il concetto di
esistenzialità nella storia ha quindi origine nella
filosofia della pratica. L'esistente è nell'azione, sì che
la storia è distinzione tra azioni e desideri, ciò che
permette di chiarire l'arte come indistinzione o
fantastico schietto, rappresentazione di sentimenti e pura
rappresentazione. Le due forme, teoretica e pratica, dello
spirito si corrispondono in tutto, mentre costituiscono la
totalità dello spirito senza romperne l'unità e senza che
vi sia parallelismo, ma circolo, che sarebbe il circolo
della realtà, come pensiero ed essere, soggetto e oggetto,
in modo però che la vita condizioni la filosofia. Come
l'attività teoretica dello spirito si articola in due
forme, la forma estetica e quella logica, così l'attività
pratica si articola pure in due: la forma economica o
dell'utilità e la forma etica. L'economia e l'etica
costituiscono il doppio grado della pratica, ma non vanno
concepite come coordinate, l'utile essendo al di qua della
moralità. La forma economica dell'attività spirituale è
oggetto della filosofia dell'economia, la quale non deve
confondersi con la scienza dell'economia, fondata sull'empiria
anche se a carattere matematico, in quanto riflette su
azioni e volizioni come su quantità. La filosofia
dell'economia invece si occupa del problema dell'utile, e,
come filosofia della pratica, dei problemi circa l'utile e
il morale, i cui rapporti non possono essere chiariti se
non con la netta distinzione di utile e bene, e con la
determinazione di un concetto filosofico dell'utile,
contro quello astratto della scienza economica. È così
possibile determinare filosoficamente il bene e quindi il
principio etico, chiarendosi la forma etica come volizione
dell'universale, che è lo spirito stesso. Ma l'atto
volitivo può avere per contenuto una serie o classe di
azioni: si ha allora la legge. Questa non implica quindi
necessariamente la socialità, empiricamente considerata,
valendo anche per l'individuo isolato, il quale,
filosoficamente, non è mai isolato, la vera società
essendo la realtà tutta quanta. Le leggi sono programmi
d'azione, dai quali non differiscono per l'elemento
costrittivo, la costrizione non avendo senso nella vita
dello spirito. Non si agisce in virtù di "forza maggiore",
a meno che non si consideri tale la realtà storica nella
quale si opera sempre. La volontà è sempre libera. Le
leggi individuali, quindi, sono le sole reali. Essendo le
leggi atti volitivi non si può parlare di leggi della
natura. D'altra parte, poiché non ogni atto volitivo
costituisce una legge, non vanno confuse le leggi coi
princìpi pratici, che sono lo spirito stesso. È
contraddittorio il concetto di un codice eterno o di un
diritto naturale, che non sia indicativo di nuove leggi
desiderate al posto delle esistenti non più approvate,
quando per diritto naturale non s'intenda una vera e
propria filosofia della pratica. L'attività giuridica è
economica, pur potendo l'attività legislatrice essere
anche morale e quindi genericamente pratica, in quanto
comprendente le due forme, dell'utilità e della moralità.
Questa opera è una delle più significative del pensiero
crociano, la più discussa, dopo l'Estetica, in quanto ha
suscitato larga eco di consensi e di dissensi, sia per la
fondazione che il Croce propone della moralità, sia per il
concetto dei rapporti tra utile e morale, sia per la
dottrina delle leggi. |