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Golia,
la marcia del fascismo |
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Opera di Giuseppe
Antonio Borgese (1882-1952), scritta originariamente in
inglese fra il 1935 e il 1937 durante l'esilio americano
di Borgese, edita a New York nel 1937, e ripubblicata in
italiano a Milano nel 1946. Golia intende essere una
indagine delle ragioni e dei caratteri del fascismo sullo
sfondo delle costanti etico-politiche della storia e della
cultura italiana, e, al tempo stesso, una storia del
movimento fascista dalle origini fino alla guerra di
Spagna. B. fissa in alcune figure e situazioni tipiche i
caratteri della storia italiana: in Dante, che viene da
lui definito il vero creatore della nazione italiana non
soltanto attraverso la formazione della lingua e la
coscienza della letteratura, ma anche per la fondazione di
alcuni miti tipici, come quello della romanità e quello
religioso cattolico; in Cola di Rienzo, donchisciottesco
aspiratore alla realizzazione dell'idea imperiale romana
(in cui Borgese
adombra la figura di Mussolini); in Machiavelli, in cui
una precisa coscienza politica si unisce e diviene
fondamento di una rinnovata mitologia classicistica,
mentre viene proclamato il valore assoluto del successo,
ottenuto anche con la violenza e con la frode (e ha
intanto inizio l'autodenigrazione militare degli italiani,
isterica e vittimistica). Molto felici le pagine sul
periodo della decadenza politica: la distruzione di ogni
vita sociale, ridotta all'organismo primordiale della
famiglia, con la conseguente incapacità italiana al vivere
comune; la divinizzazione dei rapporti e dei doveri
familiari, fino a creare un'etica particolare, anche in
contrasto con l'autentica legge morale; l'assenza di
interesse e di impegno politico, nei piccoli stati
patrimoniali, dove tutto è intrigo e piccolo
machiavellismo. Dopo una rapida considerazione del
risorgimento, Borgese
affronta la crisi dello stato italiano che precede il
fascismo, indicando nel bismarckismo di Crispi, e
soprattutto nel sorgere del nazionalismo aggressivo,
nell'incontro della retorica nazionalista e nietzschiana
di D'Annunzio con i fermenti ciechi della cultura e della
borghesia italiana del primo decennio del novecento, i
fenomeni tipici di una progressiva distruzione della
ragione. Le vicende dell'intervento italiano nella prima
guerra mondiale, con gli ondeggiamenti dei nazionalisti
fra Germania e alleati, lo spirito imperialista delle
rivendicazioni in Dalmazia, i vani tentativi di accordo
con gli Jugoslavi durante e dopo la guerra, l'impresa
dannunziana di Fiume, le polemiche antiwilsoniane, sono i
momenti di lenta preparazione del colpo di stato fascista;
e soprattutto nella delineazione della biografia di
Mussolini, B. dà prova di quelle doti di narratore
efficace e brillante, che costituiscono uno dei pregi
migliori dell'opera. Distruzione del mito del pericolo
comunista come principale causa della reazione fascista,
per il regresso, nel 1922, dei socialisti rivoluzionari;
demistificazione della pretesa rivoluzione del 28 ottobre,
il momento che la marcia su Roma fu fatta a successo
assicurato dall'intervento di Vittorio Emanuele III (di
cui B. dà un ritratto spietato e potente), con la
protezione delle forze dell'ordine, sempre favorevoli, del
resto, alle violenze fasciste; fallimento della
dimostrazione militare di Corfù; delitto Matteotti e
discorso del 3 gennaio; accordo sapientemente ricercato
con la Chiesa cattolica, per ottenerne l'appoggio, sono i
punti fondamentali della ricerca di Borgese
intorno alla fondazione del fascismo, a cui fa seguito un
esame non meno accurato dei modi della dittatura, dei suoi
atti, dei suoi fenomeni, del suo costume, della sua azione
di asservimento della monarchia, della cultura, della
magistratura. L'ultima parte del libro è dedicata al
fenomeno fascista in rapporto con la situazione mondiale:
l'appoggio generale, dato in tutto l'occidente, a
Mussolini e all'ordine instaurato in Italia, le debolezze
francesi e inglesi nei confronti della politica aggressiva
fascista, soprattutto in occasione della guerra contro
l'Etiopia, la formazione di movimenti fascisti in molti
altri paesi, col trionfo nazista in Germania; i tentativi
di aggressione, dapprima contro la Jugoslavia (con
l'assassinio di re Alessandro), poi contro l'Etiopia,
l'intervento in Spagna, la probabile guerra mondiale in
preparazione (e qui Borgese
prevede con acutezza la possibile rovina del fascismo
nella sconfitta militare, e una conseguente prevalenza in
Italia della Chiesa, come unico potere rimasto in piedi
dopo la caduta della dittatura). Le ultime pagine
contengono un'appassionata invocazione agli Italiani:
ribadita l'interpretazione del fascismo come la somma e
l'incarnazione di tutti i miti maligni, le debolezze, le
colpe della tradizione italiana, come malattia mortale di
uno stato appena formato e minato già da un peso di
inganni, di orgogli, di inferiorità di secoli, Borgese
incita gli Italiani a lottare per la propria liberazione,
non da altri potendo venire la libertà che da loro stessi,
come superamento della crisi di maturazione nazionale e
vittoria sui difetti e gli inganni antichi. Ottimo esempio
di "saggio" secondo il gusto anglosassone, scritto con uno
stile vivace, brillante, vigoroso, spregiudicato e
anticonformista nella descrizione di personaggi e di
eventi della tradizione italiana, il libro mantiene
ancora, anche in considerazione del momento in cui fu
scritto, una sua validità storico-politica, oltre che
letteraria; ed è un esempio raro in Italia di storia
narrata al di fuori degli schemi accademici, per rapida e
acuta delineazione di personaggi, per racconto incisivo e
vigoroso di fatti evocati con un'efficace utilizzazione
del gusto giornalistico per gli effetti coloriti, per i
contrasti; brillante ma non priva di documentazione
accurata.
Giorgio Barbieri Squarotti
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