Le oper di Massimo Bontempelli

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Parliamo di

  Massimo Bontempelli
Analisi opere
 1 Il figlio di due madri
Gente nel tempo
2 Giro del sole
3 Minnie la candida - 900
4 Nostra dea Vita e morte di Adria e dei suoi figli

 


Il figlio di due madri - Gente nel tempo
 

IL FIGLIO DI DUE MADRI
Romanzo di Massimo Bontempelli (1878-1960), scritto nel 1928 e pubblicato a Roma nel 1929. Nel momento in cui Mario, figlio di Mariano e Arianna Parigi, compie i sette anni, si sente nascere un'altra volta, come egli stesso ripetutamente afferma, e avverte d'essere un altro: cioè il figlio di Luciana Varacina. Costei, proprio sette anni prima, nello stesso giorno e alla stessa ora in cui Mario nasceva aveva perduto il figlioletto Ramiro e si era poi ritirata a vivere in un paesetto del Circeo vicino alla rupe dalla quale Giorgio, il suo giovane e mite amante, padre del bambino, s'era precipitato. Intanto nella memoria e nella coscienza del piccolo protagonista, l'"essere Mario" scompare e ricomincia a esistere, come rinnovata, nel punto giusto dove prima si era fermata, la vita dell'"essere Ramiro". Da questo punto, accanto alla storia intima delle due donne intorno al figlio da entrambe riconosciuto come proprio, si svolge la storia della contesa per aggiudicarsi il diritto di tenere presso di sé il bambino; contesa che improvvisamente viene sciolta dal gesto di uno stravagante zingaro del mare, Solwanah, che Luciana ha incontrato a San Felice Circeo, sulla roccia di Giorgio e al quale ha narrato la sua storia: questi rapisce il bimbo e lo conduce sulla nave della sua gente. All'angoscia che segue la scomparsa del piccolo, Arianna, la madre di Mario, che non ha "immaginazione", non può che opporre la sua angoscia, la sua impotenza a cercare, a sperare "perché la speranza è fatta d'immaginazione" e "ora che solo d'immaginazione avrebbe potuto vivere", muore; invece Luciana ricorda che Arianna, morendo, le aveva nominato San Felice Circeo e vi corre in una specie di dormiveglia. Qui incontra lo zingaro che le dice del rapimento e le promette di accompagnarla sulla nave, dal suo bimbo. Prima però egli deve mantenere la promessa che ha fatto a Luciana il giorno del loro incontro: far saltare in aria la rupe di Giorgio, che egli ha sconsacrato salendovi in cima, primo e solo dopo la tragica morte dell'uomo. Così egli mina la montagna, ma muore nel tentativo, e Luciana resta sola, sulla ghiaia, al margine del mare, immobile e insensibile, lontana per sempre dal suo bimbo, il cui ritorno attenderà senza speranza tutta la vita. Non mancano a questo tipico "mito moderno" (composto proprio negli anni in cui si pubblicava la rivista bontempelliana "900" pagine d'intensa commozione poetica, soprattutto là dove l'invenzione più avventurosa e fantastica prepara una situazione umana nella quale i protagonisti scontano il capriccio assurdamente logico della fantasia in una ricchezza di motivi umani, semplici e sofferti. Ma, come molte altre opere di B. anche questa storia pecca di certa meccanica astrattezza, rivelando qua e là forti squilibri, specialmente quando al tono tutto fantastico e lirico che accompagna il misterioso avvenimento subentra un tono volutamente cronachistico e dimessamente narrativo.


GENTE NEL TEMPO
È un "mito" ispirato ai misteri del tempo e della morte. La Gran Vecchia della famiglia Medici, morendo il 26 agosto del 1900, sembra segnare il destino del figlio Silvano, di sua moglie Vittoria e delle loro figlie Dirce e Nora, preconizzando per tutti una vita breve. Il primo a subire questo destino, sempre alla data del 26 agosto che una curiosa figura di cronista locale, l'abate Clementi (il quale in un certo senso assomiglia allo stendhaliano abate Blanes), individua come il giorno fatale della famiglia, è Silvano, che muore mentre la moglie è lontana, a Venezia, dove invano attenderà l'amante Maurizio col quale intendeva fuggire. L'idea della fuga svanisce con la morte di Silvano, e Vittoria, tornata a casa, vive con Maurizio solamente in rapporti di solida e cordiale amicizia, mentre insieme vedono crescere le due bimbe Nora e Dirce, che si aprono intanto con l'anima e coi sensi all'adolescenza. Ma a cinque anni di distanza, secondo il vero ritmo scoperto dall'abate Clementi (poiché "tutto è regola, nella vita e nella morte"), anche Vittoria si spegne: e tocca a Maurizio, che ha appreso la profezia dell'abate, scontare in silenzio il tempo alla fine del quale il destino dovrà di necessità colpire Dirce o Nora. Tuttavia inspiegabilmente la regola si spezza, e Nora e Dirce, che intanto hanno appreso, per la malvagità della nipote dell'abate, il terribile mistero che grava su di esse, come scampate da un naufragio, ritrovano la loro vita, intrecciando di nuovo abitudini e affetti. Nora si allontana di casa con un amico, Dario, ritrovato dopo gli anni della guerra: cosicché tocca a Dirce sapere che la regola non è fallita perché alla scadenza giusta, nel 1915, uno zio fuggito di casa in gioventù e da tutti ritenuto già morto, è perito in un'azione di guerra. Il terrore riprende Dirce che invano tenta di sforzare se stessa a credere la regola un'illusione, un errore. Torna intanto Nora, abbandonata da Dario, e la morte immediata del figlio che mette alla luce, riconferma ancora l'oscura legge. Le due sorelle rimangono insieme nell'attesa, terribile soprattutto per Dirce, che alterna a momenti d'abbandono momenti d'odio, durante i quali giunge persino a spingere la sorella verso la morte. Ma quando, scaduti i cinque anni, Nora si uccide, anche la coscienza di Dirce si spezza, e solo nella pazzia trova scampo al suo destino. In Gente nel tempo B. ha realizzato, forse nella maniera più compiuta, la sua ambizione di creare un'arte nutrita di nuovi miti: il mito del tempo diventa, specialmente nella tormentata e ambigua anima di Dirce, concreta fantasia di gesti e d'atteggiamenti, mentre si rivelano, al di là di uno stile consuetamente cerebrale e rarefatto, i più inquietanti segreti e i più riposti tormenti della sensibilità moderna, in una ricchezza di motivi umani raramente raggiunta con tanta compiutezza da B. Lo scrittore in quest'opera riesce appunto a contemperare mirabilmente quel suo procedere attraverso una tecnica sorretta ai fili di una lucidità dialettica implacabile con un'aderenza sensibile a uno dei motivi più sottilmente angosciosi della sensibilità umana, la coscienza della morte: "non importa morire, importa non sapere quando... la vita è non sapere, non sapere né quando né dove uno va...".

 

Luigi De Bellis