|
|
|
Itinerario italiano |
|
|
Saggi in tre volumi di cui il primo, che
dà il titolo al ciclo, pubblicato a Roma nel 1933 (poi a
Milano nel 1941), mentre postumi sono usciti il secondo,
Roma vestita di nuovo, Milano, 1957, e il terzo, Un treno
nel Sud, Milano, 1958, secondo disposizioni lasciate
dall'Alvaro. Il ciclo costituisce un ideale pellegrinaggio
attraverso regioni e città italiane nell'intento di
svelarne caratteri fondamentali e comuni. Con esso A. ha
inaugurato la serie delle sue opere fra saggistiche e
narrative sui costumi e le tradizioni del popolo italiano,
che costituiscono nel loro insieme un ponte di passaggio
tra la frammentarietà dei diari e la struttura della
narrativa vera e propria. La sua attenzione va soprattutto
alla scoperta di elementi preistorici, naturali, e di
altri stratificatisi col tempo, a iniziare dalle più
antiche civiltà, che costituiscono, nell'insieme, il
prezioso sottofondo delle attitudini della gente italica,
fino a toccare poi il quadro della vita moderna con il suo
rapido progresso e le sue intime crisi. Così si volge (nel
I volume) all'architettura italiana, dalle prime fasi di
lavorazione della pietra ("Il marmo") alla topografia
tipica delle città medievali tutte costruite in pietra ed
escluse dal rapporto con la natura ("Le città di pietra"),
all'unità compatta delle costruzioni di Genova ("Colori di
Genova"), allo schema squadrato di Torino, città
amministrativa e capitale di una monarchia militare
("Torino e l'architettura"), all'architettura monumentale
di Napoli ("Civiltà di Napoli"): sono angolazioni diverse
per centrare il tema della tradizione popolare dell'arte
figurativa e architettonica italiana, misurata sull'uomo e
tesa a esprimere un ideale di potenza concreta. Ma anche
in altri banchi di prova Alvaro
ammira la sanità e la produttività del popolo italiano:
può essere nella secolare lotta del contadino padano
contro l'invasione del mare ("La bassa"), può essere
nell'industriosità con cui Milano assorbe lavoratori di
eterogenea provenienza. Questa tradizione di laboriosità e
di resistenza trova nella donna-madre la sua
personificazione anche fisica: dalle mondine piemontesi
("Il treno delle mondine") la cui prosperità le fa forti e
sensuali (madri e amanti insieme), alle donne emiliane
("le forti donne coi forti pensieri, padrone e spose, le
donne virili, quelle che capiscono l'uomo e a guardarvi vi
fanno ricordare della maternità sovrana, come se non foste
mai uscito dall'infanzia", in "I grandi scenari di
Mantova"). Eppure, in questa fucina di lavoro che è
l'Italia, tutto è visto come rapporto di gerarchia
"dall'uomo alla terra, dall'uomo che lavora alla donna che
regge, alla bestia che serve: c'è una gratitudine nella
fatica comune: a ognuno il suo", dalle forme più chiuse
delle Marche ("La Marca all'ombra dei palazzi") a quelle
più aperte di Napoli, in cui un espansivo istinto di
parentela trabocca sulle pur forti distinzioni di classe e
obbedisce a un bisogno naturale di ripartizione delle
funzioni più che a una divisione di casta. In Calabria,
solidarietà e gerarchia toccano la forma perfetta di
dignità e naturalezza e ispirano le pagine forse più
sentite che A. ha voluto dedicare alla sua regione natale:
qui la forza delle tradizioni tiene unito il popolo
intorno al nucleo familiare, il senso della gerarchia
rifiuta ogni forma di servilismo, l'amore della libertà
riduce spontaneamente l'urgenza dei bisogni: "Questo
permette di star fermi, guardare, contemplare, pensare,
che è poi la libertà suprema dell'uomo" (tema che torna in
"La leggenda del dolce "far niente"" di Un treno nel Sud,
in cui dalla volgare indolenza si distingue una forma
superiore di contemplazione, come raggiungimento di un
momento culminante della vita per l'uomo meridionale). Alvaro
ha cercato così di definire le qualità migliori del suo
popolo nei limiti (e, talvolta, nelle angustie) dello
stato di fatto: egli ne ha sbozzato un'immagine ideale
entro i termini della realtà concreta. Ed è questa
immagine che si continua nelle pagine del III volume, Un
treno nel Sud, interamente dedicate al meridione d'Italia;
la critica al presente si fonde anche qui con l'elegia
delle tradizioni antiche, la pietà con l'orgoglio di
appartenere a una razza provata e forte. In Roma vestita
di nuovo, invece, la parte centrale del libro è dedicata
alla capitale e, in particolare, alla sua crisi di
scomposto accrescimento interpretata come sintomo del
decadimento morale dell'intera nazione negli ultimi
decenni. Come nei racconti "Parole di notte" (Racconti), Alvaro
contrappone la diffusione dei mezzi meccanici e delle
forme più standardizzate di cultura-passatempo, il
livellamento del gusto e della personalità, al culto del
riserbo, del lavoro e dell'intelligenza: e ne ricava
pessimistiche riflessioni sugli anni del presunto
benessere economico. Il quadro del costume italiano si
incrina di umori pessimistici a mano a mano che lo
scrittore si avvicina al presente e si rende conto della
graduale scomparsa degli antichi valori, cui il costume
italiano, pur in mezzo a mille difficoltà, si appoggiava
come a un sostrato di altissima civiltà. Ma entro questi
limiti di constatazione, risalta implicitamente
l'intrinseca suscettibilità di perfezionamento del popolo
italiano, proprio in forza delle qualità che esso ha
dimostrato di possedere anche in condizioni non sempre
agevoli. Il ciclo resta, così, nella giusta misura fra
realtà e celebrazione, evitando sia l'astrattezza della
critica programmatica sia l'enfasi del panegirico, e ha
preluso per queste qualità di equilibrio a molta
letteratura di costume dell'ultimo dopoguerra.
Giorgio Pullini
|
|
|
|