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Autori
del Novecento italiano |
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Guglielmino Grosser |
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La
neo-avanguardia e i suoi critici |
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Il gruppo 63: ritorno
alle avanguardie
A partire dalla fine degli anni Cinquanta, gli anni del
boom economico e della definitiva trasformazione della
società italiana in società fortemente industrializzata,
in una situazione letteraria caratterizzata per un verso
dall'esaurimento della fase neo-realistica, dal ritorno
alle tematiche intimistiche e neo-crepuscolari e da un
rifiuto della storia come oggetto di ispirazione e
rappresentazione (Tomasi, Bassani, Cassola, ecc.) e per
altro verso dal sempre più massiccio coinvolgimento degli
intellettuali nei meccanismi dell'industria editoriale,
assistiamo a un nuovo fenomeno di rilievo nello sviluppo
delle poetiche novecentesche italiane: la nascita della
cosiddetta neo-avanguardia. Gli scrittori che possono
essere compresi in questo movimento, dopo esperienze
separate sul piano sia della produzione letteraria sia
della teoria e della critica e dopo la pubblicazione di
un'antologia di poeti Novissimi (Sanguineti, Pagliarani,
Giuliani, Porta, Balestrini), nel 1963 si riuniscono a
Palermo e si organizzano in corrente, autodefinendosi
Gruppo 63 (che è anche il titolo di un'antologia di
scritti degli appartenenti al gruppo). Come i neorealisti
muovendo dal rifiuto della metafisica ermetica e decadente
e delle sperimentazioni delle avanguardie storiche si
erano richiamati alla poetica del realismo ottocentesco,
così gli scrittori della neo-avanguardia muovendo dal
rifiuto dell'ideologismo talora greve dei neorealisti,
come dal rifiuto dell'intimismo di quelle che
spregiativamente chiamano le «Liale degli anni '60» (i
Bassani, i Cassola, gli altri autori dei best seller di
qualità), si richiamano alle poetiche sperimentalistiche
delle avanguardie storiche. Mutano i contesti e le ragioni
socio-culturali delle scelte, male principali soluzioni
formali, e molti degli aspetti particolari della
concezione stessa della natura e del ruolo dell'arte
rimangono quelle dei modelli.
Contro l'ideologia
Negli scrittori della neoavanguardta il rifiuto dell'ideologizzazione
esasperata della precedente letteratura si traduce in un
sostanziale rifiuto dell'ideologia come chiave
interpretativa della realtà: «oggi nessuna ideologia è in
grado di offrire una interpretazione esauriente del mondo
e allorché allora si tenti di utilizzarle in questo senso
non possono che produrre falsi significati». La realtà
nell'arte della neo-avanguardia deve essere recuperata
«nella sua intattezza» (A. Guglielmi) attraverso
un'operazione essenzialmente affidata al linguaggio. Ma il
linguaggio della società odierna - la società
capitalistica avanzata, dei mass media, della pubblicità,
dell'industria editoriale, ecc. - è irrimediabilmente
logoro, incapace ormai di farsi portatore di significati
autentici e di reale comunicazione fra gli uomini. Tanto
più la crisi investe la condizione di poeta: come credere
ancora nell'esercizio tradizionale, artigianale delle
tecniche di scrittura poetica, in un tempo e in un mondo
in cui la letteratura è mercificata e le sue tecniche sono
utilizzate per reclamizzare una lavastoviglie, un
detersivo o una carta igienica? Un discorso analogo vale
per le arti figurative nell'età della riproducibilità
tecnica.
Mimesi del caos
Con il linguaggio di cui dispone e nel contesto in cui si
trova a rovere, il poeta contemporaneo non potrà far altro
che comunicare < la negazione della comunicazione
esistente» (A. Guglielmi), ovvero compiere una mimesi
diretta del caos, cioè una riproduzione immediata ed
enfatizzata della mancanza di significato, dell'inautenticità
della comunicazione normale (sia riproducendo lacerti di
comunicazione quotidiana apparentemente dotati di
significato, di cui evidenziare la banalità, svelare
l'insignificanza; sia fornendone un equivalente
provocatorio, un coacervo di parole preso poco meno che a
caso). Asintattismo, asemanticità, parole in libertà,
parole casualmente radunate e disposte sulla pagina,
reperti del mondo della comunicazione (di massa e non:
dallo slogan pubblicitario alla citazione televisiva, dal
più recente anglismo al più remoto frammento lessicale
delle lingue morte, ecc.), pratica del nonsense, uso
ludico del significante (cioè dei puri e semplici corpi
fonici delle parole), rifiuto del significato, e via
dicendo sono tra le soluzioni formali più radicali
adottate da molti esponenti di questo movimento.
È stato notato che il proporsi di quella che A. Guglielmi
definiva «una poesia dell'alienazione» e «una sorta di
visione schizofrenica della realtà» portava la
neoavanguardia ad affrontare molte delle difficoltà di
poetica e di procedura già in parte sperimentate dalle
avanguardie storiche. Percorrere sino in fondo la via
della negazione di ogni possibilità di comunicazione che
non fosse la "comunicazione della non comunicazione", sino
al silenzio e alla denuncia della morte dell'arte; ridurre
la rappresentazione del caos del linguaggio e della realtà
a gioco intellettuale, a puro e semplice divertissement;
adottare soluzioni intermedie che non rifiutino
completamente la semanticità del linguaggio (cioè la
possibilità di trasmettere significati autentici
attraverso il linguaggio): queste, che sono le principali
strade percorse dagli scrittori della neoavanguardia, sono
anche - a prescindere dai referenti e dai significati
storico-culturali contingenti - le vie grosso modo
percorse dalle avanguardie storiche. Gli stessi scrittori
della neoavanguardia, del resto, ne sono in larga misura
consapevoli e se spiegano le oggettive differenze che li
separano dalle avanguardie storiche non ne rifiutano
l'eredità e anzi tentano in varie sedi (ad esempio
nell'antologia dei Poeti italiani del Novecento di
Sanguineti) una rivalutazione e rivitalizzazione della
tradizione avanguardistica nostrana.
Alternative alla neoavanguardia
Ma davvero la mimesi del caos, la comunicazione della non
comunicazione, o addirittura un'ossessiva ma anche
"accademica" sperimentazione per la sperimentazione (nella
logica della rivoluzione permanente delle forme) è la sola
alternativa che resta ad una letteratura mercificata e
svilita nella sua insignificanza? Non ci sono altre strade
e prospettive per la letteratura di fine Novecento? La
neo-avanguardia ha oggi esaurito la propria spinta
propulsiva e già altri fenomeni variamente connotati - dal
postmodernismo alle transavanguardie - si sono profilati,
in qualche caso durando non più che lo spazio d'un
mattino.
Calvino: Logos contro caos
Alla mimesi del caos, al naufragio nel mare
dell'oggettività, al perdersi nei labirinti del mondo
moderno senza cercare una via d'uscita, proprio negli anni
del boom delle neo-avanguardie si è ribellato in alcuni
suoi interventi memorabili Italo Calvino (Il mare
dell'oggettività del 1958 e La sfida al labirinto del
1962, editi entrambi ; «Il menabò»), la cui esperienza
letteraria è da sempre stata concepita all'insegna del
logos contro il caos, all'insegna della ragione contro
l'irrazionalità. Analizzando ne La sfida al labirinto gli
sviluppi della letteratura e delle avanguardie nel mondo
contemporaneo, pur ammettendo la difficoltà del compito e
la necessità di adeguarsi a una realtà in perenne
movimento e sempre più complessa, Calvino ribadisce la
fedeltà ai propri principi e delinea i compiti a cui a suo
parere la letteratura e la cultura non possono sottrarsi:
«Resta fuori chi crede di poter vincere labirinti
sfuggendo alla loro difficoltà; ed è dunque una richiesta
poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un
labirinto, di fornire essa stessa la chiave p. uscirne.
Quel che la letteratura può fare è definire
l'atteggiamento migliore per trovare la via d'uscita,
anche se questa via d'uscita non sarà altro che il
passaggio da un labirinto all'altro.
È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una
letteratura della sfida al labirinto che vogliamo
enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al
labirinto».
Zanzotto: la ricerca del significato
Se questa di Calvino è l'opposizione più memorabile alla
logica della letteratura delle neo-avanguardie italiane e
straniere (Calvino polemizza anche con la francese "école
du regard"), può forse valere la pena di notare, in
proposito, che Andrea Zanzotto, una delle più inquiete,
vigili e acute coscienze critiche dei nostri anni, oltre
che poeta tra i maggiori della generazione successiva a
quella di Montale, proprio negli anni della massima
espansione della neoavanguardia, rimproverava anch'egli al
Gruppo 63 la pura e semplice mimesi del caos,
l'accettazione magari ludica della non significazione.
Egli elaborava una personale e drammatica poetica di
resistenza e sfida al labirinto, tentando di ipotizzare un
cammino inverso dalla non significazione, dalla
significazione inautentica e degradata del mondo
contemporaneo - dato di fatto da cui a suo giudizio non si
poteva comunque prescindere - alla riconquista di
un'autenticità comunicativa e di una riqualificazione
della ricerca poetica, mediante l'investigazione e il
reperimento di tutti i possibili lacerti, le tracce, i
bagliori di un linguaggio che faccia ancora presa sulle
cose, in una ricerca che spazia dalla comunicazione
prelinguistica dei bambini alla comunicazione
post-linguistica della follia e che non rifiuta il
confronto con le infinite manifestazioni di degradazione
linguistica che offre il mondo contemporaneo.
Conclusioni
A prescindere da questo dibattito e dagli esiti ancora non
ipotizzabili dell'odierna ricerca letteraria e culturale,
a noi importa ora fare alcune osservazioni conclusive. In
primo luogo, in una società letteraria dominata
dall'industria editoriale in grado di immettere sul
mercato e di offrire ai pubblici più disparati - di massa
o d'élite ogni sorta di prodotto letterario, si assiste
ormai alla compresenza (sia pure a differenti livelli di
prestigio e di diffusione) di poetiche e pratiche di
scrittura estremamente varie, che in definitiva
ripropongono in rapida successione temporale o anche
contemporaneamente tutte o quasi tutte le soluzioni
sperimentate negli ultimi due secoli di storia letteraria
(lo afferma esplicitamente anche il Guglielmi). In secondo
luogo, le vie percorse dalla sperimentazione letteraria
d'avanguardia sembrano, come già si accennava, destinate o
condannate a riproporre senza possibilità di alternative
realmente radicali e innovative le soluzioni
"rivoluzionarie" (sul piano strettamente letterario) che
già altri movimenti, altri gruppi hanno precedentemente
sperimentato. Le possibili risposte alle avanguardie,
senza rifiutare del resto la ricerca sperimentale, mirano
in vario modo e in varia misura alla riconquista di un
rapporto autentico tra lingua e realtà, tra parole e cose
- rapporto la cui crisi o la cui impossibilità è uno dei
principali oggetti della denuncia delle avanguardie -, ma
sono anche consapevoli che la ricostituzione di questo
rapporto in termini di autenticità non è questione di sola
pertinenza letteraria, ma investe il senso, le direzioni
di sviluppo dell'intero mondo in cui viviamo. Compiere
queste riflessioni significa anche porsi un interrogativo
sulle vie e sui destini futuri dell'arte moderna, un
interrogativo sulla capacità di perpetuazione di quei
principi estetici e poetici che hanno fatto la loro
comparsa nella cultura occidentale con l'avvento della
prima grande rivoluzione letteraria del mondo moderno,
quella romantica.
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