|
Venti poesie pubblicate a Firenze nel 1917, e seguite,
nella prima edizione, dagli "Appunti sulla poesia" in cui
l'autore difende la propria poetica. Raccolgono un
inventario abbastanza completo dei temi e dei modi del
Papini poeta: un discorso ora concettuale, ora
descrittivo, in un ritmo privo di estenuazioni musicali,
volutamente dissonante, fatto di acutezze lessicali
(termini filosofici o violente chiazze di colore
dialettale toscano). Soprattutto nelle poesie di
intonazione discorsiva, sorrette da un'ironia un
po'spavalda, e, qua e là, da improvvise complessità di
concetti, si avverte il tardo romanticismo papiniano, con
il suo gusto per le avventure spirituali, il suo
atteggiamento antiborghese, il suo egocentrismo. La
"Seconda poesia", la "Quarta" (che descrive l'ironica
aspirazione a una morte anonima secondo un modulo
crepuscolare, subito negato dall'affermazione di sé,
inevitabile anche nell'attimo in cui dichiara: "vorrei, di
nottetempo, piano piano, / lasciar di nascosto la storia
del mondo"), la "Settima", la "Decima" (in cui si incontra
l'autodefinizione: "sono un falcaccio di poche parole. /
Sperpero la mia vita a modo mio"), sono, di questo aspetto
della lirica papiniana, prove singolarmente rivelatrici.
Più belle le poesie descrittive: vi spicca una campagna
toscana netta e precisa, dai colori accesi, dalle figure
di case, alberi, persone, stagliate in una luce fissa, in
una durezza asprigna (si vedano la "Terza poesia", la
"Quinta", sorretta da un vigore di apprensioni dei sensi
raro in Papini, l'"Ottava", soprattutto l'"Undicesima",
che ha l'incisività di un quadro macchiaiolo, la
"Sedicesima" e la "Ventesima", di preziosa e intensa
misura). Senonché Papini non riesce mai a dimenticarsi
negli oggetti: di qui l'eccesso di intellettualismo che
finisce per sciupare anche i paesaggi più efficaci,
esprimendosi come demone di una lingua toscana ripetuta
nelle sue forme più rare con un'insistenza da dialettologo
e vocabolarista, e solo raramente da espressionista felice
di colori e forme violente. Del tutto minori i versi di
memoria giovanile come la "Quindicesima poesia", o di
contemplazione cosmica come la "Nona", o di confessione
disincantata e letteraria come la "Diciannovesima", dove
si avverte il peso dell'influsso simbolista ("Son l'antico
marino degli antichi velieri / che indovina al colore
monsoni ed alisei"), privato però di autentica fede
nell'immagine nuova. Opera prima è stata in seguito
ristampata, insieme a Pane e vino, con il titolo Poesie in
versi. |