|
|
|
Sandro
Penna |
|
|
Sandro Penna nasce a Perugia nel 1906.
Dopo aver studiato nella città natale, diplomandosi in
ragioneria, nel 1929 si trasferisce a Roma con la madre.
Qui vive irregolarmente, svolgendo vari mestieri per lo
più saltuari (tra cui l'antiquario). Poco si sa di certo
della sua vita privata, che egli teneva gelosamente
riservata o tendeva a mitizzare. Per qualche anno
soggiorna a Milano, svolgendo attività di commesso di
libreria. Sia prima sia dopo la guerra collabora a varie
riviste, letterarie e non (da «Letteratura», «Il
Frontespízio» e «Corrente» al «Mondo» e a «Panorama»). La
prima raccolta di versi sono le Poesie del 1939, seguono
quindi Appunti (1950), Una strana gioia di vivere (1956),
Poesie (1957, che raccoglie i precedenti versi), Croce e
delizia (1958), Poesie (1970, che riunisce tutto il
pubblicato e vari inediti). Sin dalle prime raccolte Penna
ottiene l'attenzione dei critici e specie negli ultimi
anni di un pubblico abbastanza vasto. Dopo la raccolta del
1970 pubblica altri volumetti, tra cui si segnalano
Stranezze (1976). Muore a Roma in solitudine e povertà nel
1976.
Sei liriche d'amore
Poeta di difficile classificazione, ma di limpida
scrittura e di immediata fruibilità, Sandro Penna è stato
da taluni accostato agli ermetici (in verità per analogie
piuttosto estrinseche), mentre più convincenti
accostamenti sono quelli con Pascoli e Saba, Govoni e
Palazzeschi, nonché con gli epigrammisti alessandrini. Il
fatto essenziale, comunque, della poesia di Penna (la cui
prima raccolta di Poesie è del 1939) sembra essere un
impressionismo lirico, tutto votato alla rappresentazione
della bellezza adolescente e delle emozioni d'amore (qui
di natura omosessuale).
La lirica di Penna è alternativamente o contemporaneamente
descrittiva, narrativa e riflessiva, ma per frammenti
minimi, per illuminazioni improvvise e fulminee, scaturite
spesso dal fondo della memoria (talora anche - si sospetta
- quando è usato il presente) o dal vagheggiamento
fantastico. Puramente gnomico, sentenzioso è il distico
Forse la giovinezza, che alla considerazione morale
sull'essenza della giovinezza non fa seguire immagini di
sorta. Un articolato ed esplicito recupero memoriale, che
si risolve in impressioni e in immagini nitidamente
realistiche, è invece all'origine della duplice sentenza
che scandisce il componimento La vita... è ricordarsi di
un risveglio, e che ha come tema il senso della vita
(vitalità mortificata e liberata rispettivamente nella
prima e nella seconda strofe).
Le componenti descrittive e narrative risultano poi
assolutamente prevalenti in Le nere scale della mia
taverna, Scuola, Ecco il fanciullo, Com'è bello seguirti,
dove le immagini caso mai forniscono lo spunto per un
abbozzo di analisi introspettiva (il finale di Scuola) o
autointrospettiva (la gioia prodotta dalla contemplazione
della bellezza in Ecco il fanciullo e l'alterna vicenda
delle emozioni in Com'è bello seguirtì).
Sull'opera di Penna proponiamo un
breve passo di Cesare Garboli
La poesia di Penna è fatta del ricordo di cose presenti,
nasce dalla vicinanza e dalla lontananza, dal dilatarsi e
accorciarsi gommoso di sensazioni che appartengono a un
presente che è sempre già passato e a un passato fulmineo
e istantaneo come il presente. Così la pendolarità di
felicità e frustrazione trova un correlativo immediato
nella fatalità meteorologica, e nel rapporto tòpico (che è
una specie di spago col quale Penna cuce moltissime delle
sue poesie) interno/esterno, ambiente chiuso e plein air.
Mentre tutto il sistema penniano ruota intorno a una
solarità che fa pensare a uno stupore da primitivo («sole»
è parola-tema di Penna, le estensioni meteorologicamente
metonimiche dell'oscurità (sera, notte, luna, stelle,
pioggia, nubi) si fanno carico dell'interiorità con cui la
vita si ritira nell'ombra dopo le «solari gesta» e le
«solari prodezze» del giorno, e rinuncia a se stessa per
il bisogno non meno vitale di ricontemplarsi e di
ricordarsi.
Penna si è fatto interprete non della novità del
linguaggio poetico italiano del Novecento, ma - che non è
meno importante - del suo destino di putrefazione. Ci sono
poeti di tale forza innovatrice da cambiare quasi di colpo
i codici costituiti; e ci sono poeti inamovibili
dall'antichità, così fedeli alla tradizione da scenderne
giù come le pecore dai tratturi. Penna è poeta di questa
razza; poeta di registro linguistico piccolo-borghese,
dannunziano e pascoliano, inesplicabile in un secolo che
ha fatto del linguaggio uno strumento non di lode, ma di
concorrenza col mondo. Uno dei motivi che hanno tenuto
Penna lontano dai centri di maggior traffico della cultura
italiana negli ultimi cinquant'anni, è stata la sua
disappartenenza al moderno, la sua natura, in contrasto
con la sua psicologia, di epigono, di poeta sopravvissuto.
Il fatto è che le radici di Penna si perdono poi così
lontano da elevare la potenza del suo italiano qualunque e
da trasformare lo scintillio moribondo in un valore
storico, in una contraddizione occulta e predestinata come
una malattia. La poesia di Penna presuppone il grande
serbatoio pascoliano - «ascolto i miei pensieri / piegarsi
sotto il vento occidentale» - e nasce dall'oscuro nesso
vita-sogno, da perdite di memoria e pronti rimedi
dannunziani di stile panico («Nel cuore è quasi un urlo /
di gioia. E tutto è calmo»). Ma Penna non fa mai ricordare
i modelli. Penna trascrive direttamente dal vissuto,
riducendo a pochi suoni inimitabili una tastiera
letteraria fatta di combinazioni miracolose di grazia
visiva, pennello impressionista, traduzione «greca», stile
narrativo, canzonetta sentimentale. Ricchissimo il
movimento emotivo, in pendolo tra la meraviglia di vivere
e il confuso dolore da piede gonfio; e mobilissima la
variabilità, la temperatura, l'intonazione, sempre in
equilibrio fra lo stupore onirico, la battuta gnomica, il
tono fatale, il sottinteso ironico, e soprattutto il
decreto di legge esistenziale da idolo impenetrabile col
volto pieno di rughe. Penna è poeta molto chic; col
passare degli anni, ha poi sostituito a linee musicali di
una certa evanescenza una franchezza ritmica che si esalta
nella precisione di segno degli «appunti», nella
semplicità oracolare, per così dire, del distico e della
quartina.
|
|
|
|