Parliamo di |
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Opere di
Antonio Fogazzaro |
Commento
critico |
Piero Nardi |
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Piccolo
mondo antico |
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È il capolavoro di Antonio Fogazzaro,
pubblicato nel 1895. La vicenda, d'ispirazione domestica,
informata al principio che non esiste vera giustizia ove
non sia anche spirito di carità, appartiene al periodo del
nostro Risorgimento che va dalle delusioni del '48 alla
riscossa del '59. Franco Maironi, un giovane liberale,
sposa una ragazza della sua stessa fede politica, Luisa
Rigey, contro la volontà della nonna, austriacante, dalla
quale dipende economicamente e che minaccia di
diseredarlo. Uno zio di Luisa, Pietro Ribera, che nel
corso del romanzo è sempre chiamato "lo zio Piero",
appiana le difficoltà economiche dei due sposi, offrendo
loro la sua casa e parte del suo danaro. La casa, a Oria,
sul lago di Lugano, è presto allietata dalla nascita d'una
bambina: Maria, o Ombretta Pipì, come lo zio la chiama; ma
un bruttissimo giorno - proprio mentre Luisa è uscita col
proposito di denunciare l'esistenza d'un testamento
favorevole al marito, e che questi non vuol produrre,
perché disonorevole per la nonna - la bambina affoga nel
lago. Luisa, razionalista e tepida credente, colpita in
quanto aveva di più caro mentre si apprestava a compiere
un atto creduto di giustizia, si considera vittima di un
fato cieco e ingiusto e minaccia di perdere ogni salute
dell'anima; Franco, più contemplativo che volitivo, ma
sorretto dalla fede, esce rigenerato dalla prova del
dolore e si getta nell'azione. Il dramma d'idee s'innesta
stupendamente nel dramma politico. Ferma, di fronte alle
angherie della nonna non meno che alla tirannide
austriaca, nel proprio concetto di giustizia, e operosa
per esso, Luisa rimprovera al marito il suo idealismo
d'artista, le sue credenze reclamanti la carità e il
perdono. Ma il suo rigido ideale di giustizia rimane
sempre deluso da un'altra, misteriosa e fatale giustizia
che ella non può comprendere: tutto quel che le sembra
ingiusto avviene e trionfa: i maneggi della nonna, così
generosamente trattata da Franco, per cui quel brav'uomo
di zio, il quale si teneva in casa i due coniugi, perde il
suo posto d'imperial regio ingegnere; la conseguente
miseria per tutta la famigliola, che costringe Franco a
esiliarsi in Piemonte; la tragedia di Ombretta. La prova
del dolore, mentre indurisce Luisa, in Franco genera la
rassegnazione, lo spirito di sacrificio, l'entusiasmo
finalmente illuminato e attivo per lo scopo patriottico al
quale si consacra ormai intero. Opera di interesse
molteplice e di commovente complessità, fa vibrare tutte
le corde del patetico e del comico. I personaggi si
muovono e vivono tra una folla di macchiette, creature
mediocri, conformi al dimenticato angolo di mondo che le
ha viste nascere e le vede operare, o più spesso oziare,
una canna da pesca tra le mani e la pipa in bocca, sui
moli al sole; piccoli funzionari, controllori, impiegati
di dogana. Tutto un vivaio di figure e figurine
caratteristiche, che vengono a mettersi, quale più quale
meno, nella luce dell'umorismo bonario del loro autore. Il
paesaggio, sempre interprete, in pianto o in riso, di
umani sentimenti, occhieggia ovunque: ondular d'alberi e
di steli agli aliti del lago; trascolorar d'acque sotto le
nuvole; case alte su per greppi e poggi battuti dal vento,
case a branchi sulle rive, come a bere, tra ciuffi di
lauri e d'oleandri. Piccolo grande mondo di poesia, due
volte antico, oggi, che d'imperial regio governo austriaco
più non si ragiona, ma eterno per verità ed evidenza
d'uomini e cose. È il primo di una tetralogia di romanzi
(Piccolo mondo moderno, Il santo e Leila). Subito tradotto
in francese e polacco, si diffuse più tardi anche nella
traduzione olandese, tedesca, inglese, ungherese, svedese.
All'enorme successo di stampa e di pubblico, tenevan
dietro i riconoscimenti ufficiali: il romanziere veniva
nominato senatore, benché la motivazione fosse quella del
censo. L'opera ha superato da tempo la centesima edizione,
ed è considerata da molti il più bel romanzo italiano dopo
I promessi sposi.
Come nei Promessi sposi, l'intonazione è familiare, e
rende non duro e discordante il passaggio per tutte le
gradazioni della realtà, dalla sublimità e dal pianto al
comico e al sorriso. Ma questo libro del Fogazzaro, se
ripiglia le situazioni e continua genialmente l'indirizzo
artistico di quel romanzo, è assai diverso nel sentimento
che tutto lo compenetra. È di un Manzoni che si è fuso,
direi, col Tommaseo, con quel Tommaseo che suscitava
ripugnanza o scandalo nello scrupoloso e ritroso lombardo;
e del Tommaseo stesso ha lasciato cadere il tormentoso
senso del peccato e il vigore etico; e, con tutto ciò, è
cosa assai originale e poetica. (B.
Croce).
Antonio Fogazzaro è scrittore squisito, quando riesce a
dimenticare quei desideri abissali, ai quali lo induce una
sua inquietudine di moderno, travagliato e complicato, ma
non già un intuito sicuro di artista, fatto per navigare
nel profondo (E. Cecchi)
Fogazzaro ha il potere di avvincere anche i lettori
ritrosi: sotto la sua espressione è pure un fluido che
subito induce una rispondenza umana, a quel limite in cui
l'uomo sembra non distinguere tra la voce della poesia e
quella dell'immaginazione amorosa, elegiaca, religiosa. In
quegli uomini credenti e quelle sue donne senza la
religione rivelata, una vasta moltitudine di lettori trova
le sue medesime esperienze del cuore e del cervello. Forse
cadono le parole, quelle che restano invece nella mente
quando si pensano i grandi poeti; pur le figure e i fatti
hanno ancora un lor potere, che non è quello della storia,
ma quello dell'umana persuasione. (F.
Flora).
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