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Opera pubblicata a Bari nel 1963, in due volumi, che
costituiscono i tomi XI e XII degli "Scritti vari"
dell'edizione complessiva delle opere crociane, e
riuniscono una serie di raccolte minori, tutte composte
nel periodo 1943-47, e precisamente: Per la nuova vita
dell'Italia (1943-44), Napoli, 1944; Il dissidio
spirituale della Germania con l'Europa, Bari, 1944; Pagine
politiche (luglio-dicembre 1944), ivi, 1945; Pensiero
politico e politica attuale, ivi, 1946; Due anni di vita
politica italiana (1946-47), ivi, 1948; Quando l'Italia
ora tagliata in due. (Estratto di un diario, luglio 1943
giugno 1944), ivi, 1948. C'è una linea di sviluppo
costante in questi che si possono considerare ultimi
scritti di politica militante di Croce: si iniziano
infatti con la caduta del fascismo, e si concludono con le
dimissioni dell'autore da presidente del Partito Liberale
nel 1947, quando egli ritenne di poter porre fine alla
lunga parentesi politico-pratica di una vita personale che
sempre aveva preferito dedicare agli studi di storico e
filosofo. La materia dei due volumi abbraccia un'ampia
serie di problemi, che trovano però la loro chiave comune
nell'appello, continuamente ritornante, ai valori del
liberalismo, inteso non solo come linea direttrice di un
partito, ma come mediazione storico-morale fra i partiti
italiani, rinati, o allora sorti, per la liberazione e la
nuova costituzione dello Stato Italiano: all'idea di
libertà, come fine intrinseco allo sviluppo storico, Croce
cerca per lo più di ridurre, come all'unica unità di
misura, tutti i problemi di politica estera e interna
italiana. Subito, alla caduta del fascismo e specie dopo
l'8 settembre, divenne per lui una questione di fondo
quella delle istituzioni monarchiche. Lealista verso la
dinastia, Croce giudicava però la figura e l'opera di
Vittorio Emanuele III ancora più severamente che quella di
Mussolini. Sono inclusi pertanto in questi Scritti tutti i
messaggi e documenti politici di suo pugno, miranti a
tener distinta la revoca personale del re e del Principe
di Piemonte, dalla questione istituzionale della opzione
tra monarchia e repubblica. C. accettò infine la soluzione
della luogotenenza, escogitata da De Nicola; ma quando,
nel 1946, si pose radicalmente il momento della decisione,
egli fece di tutto, come presidente del Partito Liberale,
per evitare che questo si compromettesse in una scelta
pregiudiziale (fu fatta, invece, e risultò monarchica),
badando a che il partito non si dividesse su una questione
che ai suoi occhi non costituiva un problema di libertà
per la vita del popolo italiano. La discussione intorno al
carattere essenziale della libertà, e della libertà
soltanto, come principio morale della vita etico-politica,
trova, in questi Scritti, altri aspetti rilevanti. Tra i
più noti, quello costituito dalla polemica con Guido De
Ruggiero e altri intorno alla ideologia del Partito
d'Azione, che Croce riprovava per il suo binomio
"Giustizia e Libertà", ritenendo, in primo luogo, che solo
la libertà è un principio assoluto cui non si può
affiancare quello della giustizia, che se mai ne deriva;
in secondo luogo, che le riforme sociali richieste dal
Partito d'Azione si presentassero con un carattere
d'urgenza e di impellenza tali da rendere impossibile un
uso corretto delle procedure gradualistiche del metodo
liberale. Contro il Partito d'Azione, C. veniva poi
continuando la sua antica contrapposizione fra liberalismo
e democrazia, e confermando la predilezione accordata al
primo, mentre alla democrazia, che egli ricollegava al
pensiero illuministico, rimproverava di non tener conto
dei concreti apporti della dialettica, introdotta in
Europa dallo storicismo dell'800. La polemica con il
Partito d'Azione trovava poi più ampio sviluppo in quella
con i risorti partiti marxisti: Croce ammetteva ora che,
mentre da giovane egli aveva cercato di estrarre (con un
criterio revisionistico) dal marxismo un "canone empirico"
per l'interpretazione di taluni movimenti storici, questo
fosse invece da respingere in blocco come una falsa
filosofia della cultura, aberrante secondo lui, nel
dedurre dalla forma economica dell'azione le strutture di
tutte le altre attività spirituali. Il dibattito
antimarxistico percorre, si può dire, gran parte di questi
scritti politici occasionali, anche se non aggiunge
granché di nuovo agli studi più direttamente dedicati
all'argomento. Più nuova, o almeno destinata a conchiudere
tutto un filone già antico degli studi di Croce, la
dichiarazione intorno al dissidio Germania-Europa, che
riprende un problema intorno al quale Croce si era
tormentato già durante la prima guerra mondiale, quando,
come studioso, aveva cercato di tenere sempre distinta la
Germania come patria della grande filosofia del periodo
romantico, da quella guglielmina, divenuta minaccioso
centro politico di potenza. C'è, scriveva anche ora
l'autore una Germania che abbiamo amata, da Kant a Hegel e
Goethe soprattutto; e una Germania delirante, che si è
staccata essa stessa dal corso della civiltà spirituale
europea. Chi, come studioso, ha sempre professato il suo
rispetto per la autentica cultura tedesca, non ritiene
oggi di tradire sé stesso nel giudicarne e respingerne gli
orrori nazisti: è la Germania, piuttosto, che ha tradito
il suo migliore passato. A proposito tuttavia del nazismo,
come del fascismo, Croce non cerca in questi scritti
neppure di abbozzare una spiegazione storica: scrive egli
stesso che non intende farlo, tanto è ancora pervaso
dall'odio contro queste due immani forme di degenerazione.
Del resto egli sconsigliava di andare ricercando troppo
lontano, indietro nella storia italiana o tedesca, le
ragioni di tali forme di decadenza. Si ha l'impressione (e
C. stesso lo conferma) che egli si fosse mentalmente
costruito un quadro così razionale e armonico della
civiltà europea di fine '800 e del primo quarto del nuovo
secolo, da rimanere sgomento e sorpreso dall'avvento del
totalitarismo. Gli accade così di oscillare qui tra una
definizione del fascismo come di una improvvisa incursione
barbarica, e una dilatazione di esso come fenomeno di
abbassamento della coscienza liberale, che non è da
imputare solo all'Italia ma a tutto l'Occidente, e che
dispensa quindi da una presa di posizione polemica di tipo
salveminiano verso l'Italia prefascista e i germi, in
essa, di una caduta della democrazia. Molta parte di
questi Scritti sono dedicati al quotidiano travaglio dei
contatti politici, prima nel periodo badogliano, poi
durante il primo e secondo ministero Bonomi, quindi, dopo
il '45, alla partecipazione che il C. dette alla Consulta
e alla Costituente. I testi più minuziosi di questa
memorialistica sono: il diario Quando l'Italia era
tagliata in due, e Due anni di vita politica italiana
(1946-47), che raccolgono anche un gran numero di postille
e "lettere scarlatte" scritte sul quotidiano romano
"Risorgimento liberale". In fatto di politica estera,
Croce si dimostra, in questi scritti, sempre guardingo, e
spesso polemico con gli angloamericani, prima per la
difesa che da loro fu fatta a lungo della persona di
Vittorio Emanuele III, poi per il tipo di trattato di
pace, che, negoziato da De Gasperi, egli, come altri
liberali (Orlando), ritenne si dovesse respingere. La sua
tesi era anche qui che, se il fascismo doveva considerarsi
una parentesi della storia italiana, non avesse senso una
pace punitiva, che vulnerava l'Italia come portatrice di
una civiltà millenaria, complementare e necessaria alla
intera storia culturale del mondo. Anche questo modo di
vedere rientrava del resto in una visione "liberale"
metapolitica della storia della civiltà, rispetto alla
quale il fascismo finiva col ridursi a un episodio di
involuzione, per quanto colpevole e doloroso. Come capo
spirituale dei liberali italiani, infine, anche in queste
pagine C. insiste più di una volta sulla opportunità di
disgiungere il liberalismo moderno dai canoni del
liberismo economico, e a fare di quest'ultimo un aspetto
contingente, e rivedibile, della politica liberale.
Sarebbe stato egualmente assurdo, a suo avviso, che il
partito si dividesse, in proposito, in due ali, destra e
sinistra. |