Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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Parliamo di

  Vincenzo Cardarelli
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Prologhi Viaggi Favole
 

Raccolta di prose pubblicata a Lanciano nel 1929 e, in edizione definitiva, a Milano nel 1946. Comprende, con qualche modifica, scritti precedentemente apparsi in riviste e inclusi nei volumi Prologhi (Milano, 1916), Viaggi nel tempo (Firenze, 1920) e Favole e memorie (Milano, 1925). Si ritrovano in essi, a un livello che forse lo scrittore non riuscirà più a raggiungere, quella purezza del segno e quella trasparenza assoluta del linguaggio che costituirono per Cardarelli un ideale artistico e morale e un esempio, orgogliosamente e polemicamente sottolineato, di nuova misura classica della prosa letteraria italiana, modellata sul tono sostenuto e distaccato delle Operette morali leopardiane. Un simile programma esigeva una specie di "consumazione" progressiva del dato romantico ed emotivo dell'ispirazione, nonché un processo di illimpidimento dello stile come catarsi continua, approdo assoluto di quel dramma umano e intellettuale che ogni letteratura deve scontare e trascendere. È appunto questo il senso dei "Dati biografici" posti in apertura dell'opera: dopo aver elencato i peccati, le sconfitte e le deviazioni della propria storia, l'autore proclama la fierezza della sua riconquistata innocenza, la forza di superare il limite della propria umanità nella capacità di affermarlo, di "divorare" i fatti e di mettere ordine nelle combinazioni, altrimenti assurde, della vita ("Luce senza colore, esistenze senza attributi, inni senza interiezioni; impassibilità e lontananza, ordini e non figure, ecco quello che vi posso dare"). In effetti i Prologhi sono l'estremo risultato di un'impassibilità morale che si fa parola, razionalità pura, espressione distaccata di un patimento intellettuale, immagine di un "ordine" senza oggetti, "modulazione" logica di una semplificazione assoluta. In Viaggi nel tempo, invece, l'aver conquistato questa libertà e questa neutralità razionale sembra consentire a Cardarelli un'apertura verso gli oggetti, le luci e i colori di una visione naturale: l'abbandono alla purezza accecante della natura disperde le idee e i princìpi in "parvenze e colori", e la prosa, prima rarefatta in una gelida trasparenza di disegni razionali, sembra distendersi in figurazioni più aperte, in corposità e cromatismi d'immagini. Ma è una conquista deludente, o al più una benefica crisi di accrescimento, se in "Un'uscita di Zarathustra" l'autore, come a trarre un bilancio della nuova esperienza, non sa che rivolgere al sole questo ingrato saluto: "O Mago, non è possibile che io resti a dilettarmi oltre dei fantasmi che tu crei. Io avevo delle idee prima di venire nei tuoi dominii, avevo idee sostanziose, le quali si sono bruciate, o Mago, al fuoco della tua luce. E in cambio non m'è rimasto che parvenze e colori... Io sono esasperato dalla tua arte. Da quando cominciai a considerare le cose che vivono nel tuo brivido eterno, ho perso la magia dei principii, le lettere dell'alfabeto... Il tuo mondo è splendido e inaccessibile. L'uomo troverebbe l'oscurità e la follia se si ostinasse nell'inutile desiderio di descriverlo quale appare". Da questa esigenza di rientrare nell'interiorità geometrica dei pensieri, come dal movimento cromatico-figurativo che la deludente esperienza ha comunque apportato alla struttura classica della prosa di Cardarelli, nasce un'altra forma di viaggio e di disincantata esplorazione del mondo che trova espressione in Favole e memorie. Nelle prime "favole della genesi" (1919-1921), il deserto sentimentale dei Prologhi si proietta nei temi biblici della creazione e del peccato, allegoria dell'eterna solitudine e irredenzione dell'uomo, e acquista, pur nell'imperturbabilità del segno e della nuova modulazione razionale, un acre sapore di ironia che raggela e disperde la prospettiva favolosa dei temi; nelle "Memorie della mia infanzia" (1922- 1923) è una nuova interiorità di visioni che nasce dal ricordo, non inteso come occasione di abbandono o rimpianto, ma ricomposto in figure di stilizzato riposo ("Qui rise l'Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior della terra, guardando la marina... Ma rimase come seppellito, il solitario orgiasta, nella propria favola luminosa") o scavato in un'alta celebrazione della saggezza suprema, l'impassibilità sovrumana. Certo, a voler indagare al di là di questa controllatissima imperturbabilità intellettuale e stilistica, si scoprirebbe che la limpidezza della forma non cancella del tutto il dato autobiografico e l'insopprimibile disordine umano e sentimentale, fonti ispiratrici della fantasia dell'A. Si individuerà comunque il valore positivo della lezione di Cardarelli, e di quest'opera in particolare, nell'estremismo polemico delle sue intenzioni: un'aspirazione alla chiarezza e alla disciplina interiore contrapposta al dilettantismo morale e letterario di tanti scrittori del suo tempo.
Arcangelo De Castris Leoni

 

Luigi De Bellis