Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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Alcune opere

 


Salvatore Quasimodo: Alcune opere
 

ED È SUBITO SERA

Raccolta pubblicata a Milano nel 1942. Sintesi del lavoro poetico di Quasimodo, iniziato con Acque e terre (1930), proseguito con Oboe sommerso (1932), Odore di eucalyptus ed altri versi (1933), Erato e Apollion (1936), questa raccolta comprende anche le Nuove poesie (1936-1942): si tratta dunque di un volume conclusivo, nel quale i risultati poetici, riferibili a una precisa stagione letteraria, l'ermetismo, sono venuti formulandosi in termini estremamente formali. Si tratta di una poesia costruita, notevolmente chiusa in un acuto volontarismo, apparentemente scarsa di sviluppi sentimentali. Tuttavia una costante di questa poesia può essere indicata in un mito italico-siciliano che viene identificandosi e faticosamente prendendo corpo, e che si concreterà poi in termini di novità poetica e sentimentale, nella poesia cosiddetta "impegnata" del dopoguerra, in cui Quasimodo ritroverà più scopertamente il senso di una concreta umanità. Non a caso si è parlato, per Quasimodo, di un neoclassicismo che evidentemente non riguarda solo le forme ma, più ancora, quella radice pre-italica, mitica e simbolica, nella quale si sublimava un chiuso lavoro di poeta. Prescindendo da effetti tutt'altro che provvisori (le notissime liriche "Vento a Tindari", "Anche mi fugge la mia compagnia", "L'eucalyptus", "Curva minore", "Lamentazione d'un fraticello d'icona", "L'Anapo", "Nel giusto tempo umano") si palesano qui anche simboli di dubbio, di incertezza di fronte al reale, portati per contrapposto a notevolissima durata formale: il problema dell'epoca toccava difficoltà filosofiche, etiche, esistenziali, aggrovigliate intorno a un punto fondamentale: il contatto col mondo, con l'esistente fuori di noi, con la realtà. Ma Quasimodo partiva da una base che per quanto mitizzata e sprofondata in ricerche di ordine formale era e rimaneva siciliana. L'adesione del poeta alla poesia dell'antica Sicilia (meglio documentabile nelle traduzioni dei Lirici greci) è un simbolo e uno strumento per una presa di contatto con la Sicilia a noi più vicina. Già Apollion o Tindari hanno radice in un esistente e reale paese che nel dopoguerra verrà chiarendosi come Sicilia e come Italia. I segni di questo passaggio sono all'inizio trascurabili. Ma nelle Nuove poesie (si ricordino almeno "Ride la gazza, nera sugli aranci", "Strada di Agrigentum", "Davanti al simulacro d'Ilaria del Carretto"), si prospetta già più che un'alternativa o una questione di scelte: vi compaiono un innegabile superamento di esiti formali raggiunti e la capacità di Quasimodo di assumersi nuove responsabilità, di allargare le sue esperienze fino a comprendervi, a poco a poco, un mondo in evoluzione. E qui si deve collocare anche l'attività di Quasimodo traduttore, che si collega d'altronde a una sua "impressionabilità" di uomo e di poeta. Le traduzioni dei Lirici greci (Milano, 1940) assumono per Quasimodo il valore di una nuova presa di coscienza del proprio lavoro: anche se non sono da considerare in modo troppo esclusivo come l'opera "vera" del poeta, tuttavia, per una estrema libertà di sentire modernamente i più antichi lirici, per le forme duttili eppure lineari, "classiche", i Lirici greci sono stati veramente una prova in cui il poeta ha prevalso sul traduttore. Come indicazione poetica vi si prospettava l'approfondimento di una serie di legami che si precisano, in Ed è subito sera, nella visione primordiale di una Sicilia che a sua volta affondava radici vitali e culturali in una Grecia civile e letterariamente matura. Le "occasioni" di Quasimodo accennano qui a diventare essenzialmente terrestri, ma di una precisa terra umana, di una regione di cui si sentono, sotto, le profonde radici sicule, greche, romane, arabe, normanne. La differenza tra Ed è subito sera e i testi successivi è, se mai, una presenza, in quella prima raccolta conclusiva, del mito che vuole imporsi per se stesso, un mito che non è seguito nel suo farsi in cuore all'uomo, ma si scopre già adulto in una forma senza esitazioni ma anche scarsa di chiaroscuri. E al fondo di questo mito maturo si ritrova sempre quella "sicilianità", quella parte di terrestrità autoctona e cara al cuore del poeta (ma in quanto uomo, in quanto figlio di una gente) la quale, riscattando solo una zona limitata di queste prime poesie, rientra per altra via più sicura nelle opere successive.

IL FALSO E VERO VERDE

Poesie pubblicate per la prima volta a Milano nel 1954, il volumetto comprende, nell'edizione del 1956, l'opera del poeta dal 1949 al 1955, traduzioni da S. Petöfi, A. Mickiewicz e, inoltre, E. Pound, E.E. Cummings, Conrad C. Aiken, e il "Discorso sulla poesia", Il falso e vero verde continua sostanzialmente il processo di dissoluzione dei contenuti "ermetici" e delle forme chiuse, già evidente nelle poesie immediatamente precedenti. Si tratta sempre, in sostanza, di una evoluzione, di una crisi, che prende le mosse, non solo per Quasimodo ma per tutta o quasi la poesia italiana ed europea, dal moto di rinnovamento sorto in seguito alla guerra e alla Resistenza. Per Quasimodo, primo importante testo di "rottura" fu la poesia di Giorno dopo giorno, ripresa poi, senza più l'oratoria polemica in direzione nazionalistica e moralistica, nella Vita non è sogno, in cui la necessità di un'apertura verso la realtà è dichiarata già nel titolo. La tendenza ad una poesia "corale" viene messa in luce anche in quello scritto teorico che è il "Discorso sulla poesia". Nel Falso e vero verde il taglio e la costruzione del verso rimangono invariati, tranne gli incisi, frequenti e molto più scanditi; e fondamentalmente invariato rimane anche il nucleo lirico, che dalla Vita non è sogno, attraverso Il falso e vero verde, caricandosi del valore e del senso di un'aderenza a un preciso tempo storico, prepara già la riuscita storico-cronachistica della Terra impareggiabile. E tuttavia, la mitizzazione, la resa completa di una lirica altissima è tale che alcune di queste poesie rimangono i migliori esempi di canti patriottici e antifascisti: si veda "Auschwitz", "Ai fratelli Cervi, alla loro Italia", "Ai quindici di Piazzale Loreto"; e accanto a queste liriche, ancora e sempre quelle "siciliane": tutta la sezione "Dalla Sicilia" e in particolare "Che lunga notte", "Al di là delle onde delle colline" e "Vicino a una torre saracena, per il fratello morto". Come sicilianità e patria si identifichino, lo si vede dal ritorno dei temi fondamentali di Ed è subito sera; insieme a quelli di Giorno dopo giorno: l'eternità fissata dalla greca Sicilia di quella raccolta, qui ritorna in "Tempio di Zeus ad Agrigento", col pozzo dorico, con la luna diurna rovesciata, la ragazza seduta sull'erba a pettinarsi, con la pazienza e la rassegnazione ataviche. Accanto, dunque, a un continuo aggiornamento, a un adattamento prevedibile e necessario a quanto era venuto trasformandosi nell'esistere quotidiano così come in letteratura, il poeta ha conservato una fedeltà di base alle proprie radici, e quindi non solo appare molto sottile il distacco fra le varie opere quasimodiane successive alla guerra, ma per i legami di stile, di linguaggio, di sentire con la prima raccolta conclusiva - Ed è subito sera - ne risulta un'impressione di unità poetica complessiva.


GIORNO DOPO GIORNO

Raccolta pubblicata a Milano nel 1947. Rappresenta una svolta nella poesia dell'autore, qualificatosi con Ed è subito sera come uno dei principali autori della temperie culturale "ermetica". Chiarendo a se stesso una serie di problemi critici e stilistici, ma soprattutto sentimentali, etici e politici, che erano venuti maturando nel clima turbinoso della guerra, e sviluppando premesse già sufficientemente presenti almeno nelle Nuove poesie (Ed è subito sera), Quasimodo pubblica Giorno dopo giorno nell'immediato dopoguerra, in quella zona neutra tra l'inferno ormai passato e il limbo di una pace non ancora matura. In questi canti luttuosi del popolo in lotta il poeta viene proponendo una nuova dimensione di sé, una misura "civile" in cui affiorano temi e contenuti vivi nel tempo e nella storia di un preciso periodo nazionale ed europeo. Per Quasimodo queste poesie occupano un posto tra l'ermetismo come categoria poetica e culturale e il fecondo moralismo e nazionalismo comune a quasi tutta l'Europa dopo gli eventi bellici e della Resistenza. Il rinnovamento si manifesta tuttavia non soltanto nei temi, ma anche nella voluta semplicità formale; vi si nota un fare più prosastico, un linguaggio meno aulico, un riposo della strofa, necessari al poeta per una comunicazione più alta e più vasta, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, e anche per questo più dimessa. Il grande mito neogreco del primo Quasimodo sembra qui attenuarsi in memoria, rievocazione d'infanzia perduta irrimediabilmente attraverso gli orrori e la guerra; ma prevale la memoria dei fatti più recenti, la tragedia della patria torturata, l'occupazione tedesca, la viltà fascista, l'angoscia di essere vivi in un mondo orrendamente perverso. Criticata o esaltata proprio per questi contenuti politici e civili, la raccolta giunge comunque a spezzare una fisionomia di poeta che la critica riteneva ormai ben definita: se alcune liriche assumono infatti valore a sé, in una sfera di quasi completo superamento della polemica civile e patriottica, altre mostrano invece nuove aperture di canto, e anzitutto un'apertura "epica" che attraverso lo scioglimento del viluppo formale-stilistico del Quasimodo ermetico sembra definire in sede almeno provvisoria la nuova ispirazione del poeta. Poesia in movimento e avida di superarsi, essa vibra soprattutto di una profonda adesione alla realtà, fatta di osservazione, patimento e polemica, filtrata attraverso impressioni e ritmi creati dall'urgere del sentimento e dalla necessità improrogabile di mettersi al passo col processo storico e di commisurarsi a esso. Scontata l'urgenza del nazionalismo e del moralismo postbellico, la posizione del poeta di fronte alla realtà sociale e storica si chiarirà nelle opere successive, sì da collocare Giorno dopo giorno come punto di sutura tra due momenti poetici diversamente fecondi e felici. Ma ancor oggi non sfugge la profonda umanità e novità di poesie come "Alle fronde dei salici", "Dalla rocca di Bergamo alta", "19 gennaio 1944", e l'altezza della voce lirica che in "Uomo del mio tempo" identifica con l'uomo della pietra e della fionda l'uomo moderno, progredito nelle armi ma non certo nella volontà di bene.


LA TERRA IMPAREGGIABILE

Raccolta pubblicata a Milano nel 1958: comprende poesie del periodo 1954-1958. In esse l'autore si ispira soprattutto a un concetto di realtà che trova i prodromi nelle precedenti raccolte Giorno dopo giorno e La vita non è sogno e qui si precisa nel rapporto tra una patria ideale e una reale, la prima vista attraverso la seconda, come perfettibilità di questa, come "dover essere" differente e qualche volta addirittura opposto a ciò che essa è. Tempo e spazio in Quasimodo non si concludono nella storia d'un uomo partito dalla sua Sicilia con pochi versi in tasca ("Lettera alla madre", in La vita non è sogno) e neppure nell'Italia degli italici primordiali o in quella moderna, riscoperta nei falò presso i navigli milanesi ("Della natura deforme"); il processo evolutivo (se così può definirsi) sta nel passaggio dalla Sicilia neogreca delle prime opere dell'A. a una "sicilianità" intesa come universale riconoscimento di una comune condizione umana. Si tratta di un ampliamento di orizzonte, e nelle poesie della raccolta si alterna infatti a quella prima Sicilia, alla Grecia sentita come letterario-epico richiamo alle fonti prime dell'umano verbo poetico, anche una universale patria che è il simbolo di una comune umanità. Questa umanità di Quasimodo è del tutto dissimile dall'umanitarismo generico o da un populismo di data più recente, perché trae dalla storia (storia dell'A., storia del suo popolo, storia d'Italia antica e moderna) l'alimento per la costruzione poetica; la "storia" del poeta non è evidentemente quella degli storici, ma piuttosto un tempo reale e una società concreta. Non mancano nell'opera incertezze e cadute (le liriche "La terra impareggiabile", "Visibile e invisibile", "Un arco aperto", "Il muro" recano infatti il segno di una oscillazione, indice di un procedere per gradi, di un divenire che conosce i dubbi e il tormento della difficile conquista): da questo chiaroscuro è sottolineata la figura dell'uomo-poeta, ancorato a una sua umana relatività. L'occasione, il motivo ispiratore della raccolta è la nostra civiltà, la civiltà atomica, per cui ogni singola lirica costituisce come una conclusione e un giudizio parziali che confluiscono in un quadro più complesso; la meditazione si tinge allora di religiosità (la sua invettiva anticattolica, di importanza marginale, si comprende, fuori del bagaglio polemico e politico, solo se riportata all'amplissima religione degli uomini, a quella fiduciosa attesa di un mondo migliore che restituisca il senso intimo della vita). Anche gli "sputnik" sono mezzo e strumento di conquista di una esistenza degna di essere vissuta, di una vita per tutti degna di questo nome: la poesia "Alla nuova luna" è una esaltazione dell'intelligenza umana, e l'appello a tutti gli uomini, che hanno saputo raggiungere e superare le vie del cielo, è insieme monito e speranza; la coscienza della potenza della ragione umana ha valore solo in quanto moderata da un'altra coscienza, quella dell'umanità, della comune appartenenza a un "genus" che non dovrebbe essere destinato a distruggersi con le proprie mani. Questa coscienza, unitaria e coerente nell'A. sin dalle poesie di Giorno dopo giorno, è ancora affondata nelle radici terrestri dell'uomo, in quella sua ineguagliabile "sicilianità" che per prima sembra averne mosso l'ispirazione; qui essa è ancora presente e vitale elemento poetico (nelle liriche "Dalla Grecia", nelle "Arche scaligere", come nella Milano sofferta attraverso la guerra) e diventa una dimensione dell'umanità, in cui Ulisse, Aci, le barche, la fiocina del pescespada ("Una risposta", ma si veda anche la stupenda lirica "Al padre") non sono più che simboli sofferti del comune labirinto che è la vita del nostro tempo.
Gilberto Finzi

 

Luigi De Bellis