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Ragazzo |
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Rappresenta con Il
mio Carso di Scipio Slataper, Frantumi di Giovanni Boine,
Trucioli di Camillo Sbarbaro, uno dei più significativi
esempi del frammentismo vociano che, rifiutando la
narrazione distesa, il "continuum" del racconto e del
romanzo, cercava di esprimere una realtà frantumata in
attimi, in oggetti, isolandone le immagini attraverso
l'efficacia impressionistica e l'essenzialità di un
linguaggio scarno, ma pregnante e arricchito da un intenso
scambio tra poesia e prosa. In Ragazzo Jahier narra della
propria fanciullezza, della famiglia, della sua vita di
allora. Il primo capitolo è dedicato alla figura del padre
e alla sua tragica morte: egli si uccise oppresso da senso
di colpa per l'adulterio commesso. L'autore ci dà di
questo pastore valdese l'immagine di un uomo di
intransigente e rigidissima moralità, che tenta di vivere
nell'esempio della Bibbia; la sua relazione con una donna
"di fuori come quelle che si legge di nascosto nei libri"
costituisce una macchia indelebile. Il momento più triste
e angoscioso è per la famiglia il trasferimento dal paese
montano in una piccola, grigia città "ferma, che libera
alle strade tra praterie scrofolose i suoi ex contadini
scontenti a salario quindicinale, le sue donne
soldato...". In antitesi con la purezza e la sanità della
montagna, la città diventa per il protagonista il luogo
stesso del peccato, della corruzione, della solitudine
dove il padre non può espiare in altro modo che con il
suicidio. Le condizioni economiche della vedova e dei sei
figli sono ora estremamente precarie, tanto che a Jahier
tredicenne il mondo appare "già tutto fatto di negazioni":
non poter seguire la moda, dover vestire con abiti
trasmessi dai più grandi ai più piccoli, non poter
partecipare al tirassegno troppo costoso, ma soprattutto
non poter rivelare la propria ammirazione e devozione per
la figlia di un signore ricco e pio, magnanimo
benefattore, che però ritiene scandaloso che "un orfano
con cinque fratelli minori manifesti delle tendenze alla
leggerezza ed alla sensualità". Per il ragazzo è un
periodo di grande irrequietezza, fatto di tante domande,
di molte e nuove scoperte soprattutto legate al sesso che
si connota ancora fortemente di un senso di peccato e di
tabù ("dietro le sue spalle ribelli ci sono le donne
calviniste coi capelli lisci spartiti intorno al viso
austero; ci sono i pastori che s'alzavano sul pulpito
rigidi nella toga nera..."). Simbolo della proibizione è
la severa figura materna paragonata a "un capitano che non
può tener conto se il soldato dormente in garitta è
innamorato". Ma egli riceve finalmente dalla madre un
incarico di grande responsabilità: andare a comperare di
là dalla collina la provvista settimanale di carne, franca
di dazio forese. Egli riesce a guadagnare qualche soldo
svolgendo i componimenti dei compagni di classe meno bravi
e potendo così, pur se con molti rimorsi, comprare i tanto
sospirati Canti del Leopardi. I due capitoli finali sono
dedicati al paese dove il protagonista torna per le
vacanze estive. Con grande vivacità d'immagini J. descrive
le gioie e i divertimenti che il vivere all'aria aperta
può dare a un ragazzo di città: ma tutta la vera
positività della campagna viene riassunta nella figura
dell'Oncle Barthélémy da cui imparare che la realtà dei
campi è fatta di lavoro, di fatica e spesso di povertà. È
la medesima, dura condizione che lo scrittore ritrova
tornando ormai adulto negli stessi luoghi dove tutto ora
gli appare cambiato, travolto dal tempo. Solo le montagne
sono quelle di sempre: alte, fredde, nere, sembrano
respingere l'uomo di città "deridendo la suola che
sdrucciola agli scalini delle mulattiere".
Rita Castello |
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