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Giuseppe Ungaretti:
Silenzio |
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Silenzio è l'epifania improvvisa di un
passato solare che nasce sullo sfondo buio del presente,
un presente di pena e desolazione (siamo nel pieno della
guerra, Veglia è di sei mesi prima). La città natale
dove il sole rapisce e smemora era percorsa dal «limio
delle cicale» che «durava» e dura «nel cuore» di chi si
è allontanato. Forse questo suono che la memoria rievoca
sorge dal silenzio (silenzio materiale? silenzio
interiore?), come la luce dal buio. Mala lirica, che si
apre affermativamente e quasi ottimisticamente («conosco
una città») nel segno del passato ritrovato,
progressivamente, sovrapponendosi la memoria dolorosa
del distacco dalla città solare, si viene accostando al
presente: la città, nel ricordo, svanisce alla vista
dell'emigrante («ho visto / la mia città sparire»),
lasciando come ultimo segno di sé dei lumi sospesi nella
foschia. E forse il movimento designa anche il processo
presente dello svanire del ricordo (e quindi di nuovo,
come allora, della città solare) e il «sospesi» con cui
si chiude il componimento può caricarsi di significati
nuovamente inquietanti (la condizione sospesa dell'uomo
che affronta la morte giorno dopo giorno?).
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