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Raccolta di prose e versi pubblicata a Bologna nel 1930. È
un'opera fondamentalmente lirica, secondo i modi
espressivi della "prosa d'arte" proposti negli anni venti
dal gruppo della Ronda, di cui Cardarelli fu il teorico
più abile e il maggior poeta. Contiene capitoli di varia
intonazione e anche di differente qualità. Il miraggio e
l'ideale di una prosa ormai tutta risolta in limpidezza
formale è la sola unità da cercarsi in questo libro di
impressioni e ricordi: e, se tale omogeneità, di stile
appare come il più coerente risultato di quella poetica
della trasparenza espressiva di cui i Prologhi Viaggi
Favole avevano per la prima volta documentato l'ambizione
e l'attuazione, è pur vero altresì che di quella prima
esperienza (e dei suoi ritorni "umorali" nei libri della
maturità) manca del tutto a questa il tormento umano, il
dramma intellettuale, l'ambizione razionale e la
dialettica sostanza - stile che, sia pure in favore di
quest'ultimo, le prime prove di Cardarelli avevano
comunque cercato. Qui un disimpegno di ragioni umane e
intellettuali, un'assenza di conquista, di passaggio dalla
resistenza della materia alla rarità della forma,
testimoniano il pericolo insito nella tendenza alla prosa
d'arte, e denunziano alla fine un decisivo impoverimento
dell'ispirazione. Del resto, neppure al livello delle
ragioni formali si può affermare che in questo libro tutto
risulti ugualmente riuscito: spesso queste pagine
trascorrono da un lirismo sostenuto e ricco di suggestioni
e ritmi di squisita fattura ("Campagne di Firenze",
"Soggiorno in Toscana", "Capri"; ma il pezzo migliore è
certamente, tra questi, "Lago": una visione estatica di
veloci e luminosissime impressioni) a un livello di
mediocre risoluzione prosastica, a un cronachismo
aneddotico privo di autentico gusto narrativo ("Primi
passi", "Anni di gioventù"), a esercitazioni psicologiche
di discutibile gusto e fattura ("Insonnia",
immeritatamente famosa). Indubbiamente le prose migliori
sono quelle che più direttamente si riallacciano
all'esperienza di "Memorie dell'infanzia" (in Prologhi
Viaggi Favole) e ai temi e alla stessa luminosità di una
prosa sorretta dal gusto aristocratico dell'intelligenza:
come "Il mio paese", descrizione finemente modulata del
paese "vetusto", "ampio", "desertico", "protervo" (e si
nota la cadenza leopardiana di certe reminiscenze, di
certe atmosfere musicali); e "Elegia etrusca", ricca d'un
senso accorato di civiltà perduta, (bella la suggestione,
il "mistero" di quel popolo "segreto", destinato alla
terra); e infine "Villa Tarantola" visione terrosa e
mitica d'un paesaggio infantile, tutto colmo di solitudine
e di deserta stupita irragionevolezza.
Arcangelo De
Castris Leoni |