Analisi opere di Benedetto Croce

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Parliamo di

  Letteratura italiana del Novecento
Autore recensione
Umberto Segre

 


La storia come pensiero e come azione
 

Saggio filosofico di Benedetto Croce, pubblicato a Bari nel l938. Costituisce, da un lato, la revisione sistematica delle questioni elaborate un quarto di secolo prima nella Teoria e storia della storiografia; dall'altro, la trattazione "speculativa" di talune esigenze divenute predominanti in Croce durante la sua battaglia culturale e politica contro il totalitarismo. Il concetto della storia come costruzione "etico-politica"; lo sviluppo della definizione hegeliana della storia conte "storia della libertà"; la contestazione continua dell'irrazionalità nella storia come giustificazione del violento e del mostruoso, o dell'assoggettamento della cultura (che per C. era essenzialmente il pensiero storico-filosofico) alla politica e alla glorificazione nazionalistica o di partito - questi tratti ritornano in modo persistente e sono la nota nuova di una teoria della storiografia, che pure non presenta, nei suoi fondamenti logici, acquisizioni inedite rispetto a quanto Croce aveva enunciato già nel primo quindicennio del secolo, e in modo tecnicamente esauriente, secondo lui, nella Logica come scienza del concetto puro. Al termine infatti della Storia come pensiero e come azione Croce pone una breve summa di concetti, il sono pur sempre quelli di allora: la distinzione tra sapere storico-filosofico e il carattere non conoscitivo, ma pratico, della ricerca empirico-scientifica; pertanto, la inapplicabilità di procedure deterministiche nella ricerca storica; l'unità della filosofia e della storiografia, in quanto pensare il fatto storico è qualificarlo per categorie di cui la filosofia elabora la definizione critica, e che tuttavia, essendo non solo categorie del pensiero ma anche dimensioni razionali della realtà in atto, non esistono se non nell'immanenza ai fatti stessi; la distinzione-unità di pensiero storico e azione pratica, per cui, se è vero che la conoscenza storica resta determinazione categoriale degli eventi, è altrettanto vero che questo operare del pensiero prepara in modo inderogabile, benché non determini, le scelte dell'azione. Diceva Croce che queste dottrine circa il metodo e il valore della storiografia costituivano ormai il patrimonio di mezzo secolo di studi europei, e il superamento effettivo del positivismo, naturalismo e causalismo, e dello stesso materialismo storico del secolo XIX. Ciò che bisognava invece riaffermare ora con piú cura era il carattere, e l'analisi, della "contemporaneità" della storia, cioè del fatto che non si fa storiografia se non intorno a un "problema" storico, e che questo sorge da una vissuta esigenza pratico-culturale dello storico, che sola serve a suscitare la riflessione concettuale e a illuminare in una sintesi interpretativa i documenti filologici del passato. Di fatto, la Storia come pensiero e come azione prende proprio le mosse da questo riesame della "condizione interiore" del fare storiografia, e critica il filologismo e il cronachismo, per dimostrare che solo l'esperienza storica del presente, nella sua problematicità, illumina e dà significato al passato, e gli conferisce quella verità che non gli può venire da documenti di per sé slegati, o significativi unicamente di aspetti parziali del reale, e quindi incapaci di suggerire la portata e il valore del fatto studiato. Storici illustri, presi già a simbolo della esattezza scrupolosa della ricerca, come Ranke, vengono qui sminuiti, come "storici senza problema". La seconda tesi rilevante della nuova meditazione crociana sulla storiografia è il concetto che la storia è storia della libertà e della razionalità. Qui si insinua, sempre sul terreno concettuale, il tratto più "militante" del libro, cioè il rifiuto della propaganda culturale del totalitarismo, sia che il fascismo si vantasse di produrre materiali di "cultura fascista", sia che magnificasse una didattica della violenza e della repressione, sia che alimentasse nelle nuove generazioni lo scherno verso il liberalismo e la sua storia nel secolo XIX. In questo senso, il saggio di Croce va letto, per così dire, in trasparenza, badando a rendersi conto della sua realtà come atto non solo di cultura, ma di politica in senso lato. Storia della libertà significava per Croce anzitutto che non si dà propriamente storia né di individui (biografia) né di istituzioni (la nazione, a esempio), ma storia della creazione incoercibilmente libera dello spirito, e quindi sempre storia della libertà. È la libertà umana il soggetto della storia; e anche dove si presentano periodi di involuzione, si possono sempre rintracciare i primi segni della lotta contro la crisi, cioè le nuove forme che la libertà viene producendo per affermare sé stessa in nuove determinazioni storiche. Così la vera storia della decadenza dell'impero romano e delle invasioni germaniche, apparente storia di una crisi, è in realtà la storia del "positivo" che si costruisce ex-novo, cioè della nuova civiltà cristiana che sorge e si impone all'Europa. La storia è anche sempre storia della razionalità, in quanto, se taluni aspetti di un periodo storico appaiono moralmente inaccettabili o ripugnanti, essi serbano una loro razionalità tecnica, e varino certo giudicati dallo storico, ma qualificandoli come momenti e materiali della lotta, che la libertà deve combattere per riaffermarsi e inventare di continuo la propria opera. Del resto il giudizio morale in storia consiste solamente nel qualificare non gli uomini singoli, ma le "opere", cioè gli eventi, indicando la loro funzione nel processo storico, o definendo, quando occorra, le ragioni di infiacchimento temporaneo che lo spirito di libertà subisce di tappa in tappa nella storia del mondo, sempre poi per riaffermarsi. Questo sostanziale ottimismo non abbandona la visione storiografica di Croce neanche nel punto più disperato della sua lotta antifascista (il libro esce nell'anno delle leggi razziali in Italia; l'anno seguente scoppierà la seconda guerra mondiale) e assume l'atteggiamento di una rivalsa, di una dichiarazione di invincibilità della libera cultura contro la repressione statalistica. Un altro tratto specifico di questo discorso è la definizione "etico-politica" della storia, per indicare che questa non può essere mai semplice storia del potere o dei suoi strumenti (i partiti, a esempio), e quindi della tecnica dell'attività utilitaria e della politica pura, ma sempre del confronto e della integrazione tra istanze politiche e valori etico-culturali. È anche questa una revisione del concetto di politica, e di storia politica, che Croce aveva enunciato - nella prima formulazione del sistema - definendo lo Stato, la sua sostanziale identità con il governo, il carattere "economico" della legalità, e la sua autonomia dalle altre categorie del pensiero e dell'azione. È da osservare infine che anche in quest'opera C. non tralascia la polemica, per lui divenuta un monito consueto, contro il materialismo storico, del quale egli respingeva non solo il determinismo del rapporto fra struttura economica e sovrastrutture culturali, ma il carattere, a suo dire inconsapevolmente utopistico, della previsione di un punto di arrivo del divenire storico nello Stato senza classi, e quindi senza più lotta e senza più nuove affermazioni di libertà. Di contro al materialismo storico, Croce poneva quindi il valore operante del liberalismo, inteso non tanto come contenuto storico di una certa corrente politica del secolo XIX, ma come fattore "metapolitico" preponderante e incancellabile nel corso storico, sempre rinnovato nelle sue forme, e quindi anche svincolato dal liberismo economico insieme al quale era apparso nella storia moderna. È un tema sul quale C. ritornerà in polemica con Einaudi (i testi della loro discussione apparvero, a cura di P. Solari, col titolo Liberismo e liberalismo, Milano-Napoli, 1957), e che ripeterà alla chiusura della sua attività politica nel secondo dopoguerra, non per aderire al liberalsocialismo, ma per ricusare le implicazioni conservatrici di notevoli strati delle rappresentanze liberali in Italia.

 

Luigi De Bellis