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Una certa spirituale unità delle genti racchiuse entro la
penisola italiana preesisteva all'unità politica, e si può
dire che, a differenza di quanto è accaduto in Francia,
per esempio, ove lo Stato ha sollecitato il formarsi della
nazione, in Italia la nazione è stato fattore determinante
e decisivo dello Stato unitario. L'unità raggiunta parve
opera di una piccola aristocrazia e precaria l'esistenza
del nuovo Stato. Delusioni e sacrifici gravissimi, il
prezzo del suo consolidamento. Quando con la caduta della
"Destra" parve che si chiudesse il periodo eroico del
Risorgimento e che all'improvviso declinasse quell'alto
fervore morale, che lo aveva ispirato e sorretto, nella
mediocrità dei nuovi ceti dirigenti, proprio allora invece
si consolidarono definitivamente le posizioni raggiunte.
L'opera della "Sinistra" non fu, a ben giudicare, che la
prosecuzione, con più larga base di consensi, della
politica liberale instaurata da Cavour. Bastò infatti che
quelli che si professavano repubblicani o socialisti
entrassero nell'ingranaggio dei parlamenti e accettassero
lealmente il metodo della vita democratica, perché
divenissero, come gli altri, liberali. Agli uomini della
"Sinistra" spetta il merito d'aver via via allargato con
le nuove leggi elettorali la base di consenso necessaria a
una più piena vita dello Stato. Il governo centralizzato
si dimostrò, coi suoi difetti, il più conveniente a un
paese ove i municipalismi erano ancora sì vivaci e torpida
la vita provinciale d'alcune regioni. Il pareggio del
bilancio perseguito e raggiunto con eroici sacrifici,
perché in esso appunto si voleva dare a sé e agli altri la
prova che l'Italia s'era formata per intrinseca virtù e
non per abilità di pochi e fortuna politica. Strumento
prezioso a rafforzare la conseguita unità, si rivelò
l'esercito, col sistema di reclutamento nazionale. Le
ferrovie in continuo incremento creavano più stretti
legami economici e spirituali tra le regioni. L'Italia
tutta s'adeguava all'Europa e diveniva fattore non ultimo
della civiltà di quella. Anzi proprio dall'Italia, tra il
1890 e il 1910, partiva quel vasto moto di rinnovamento,
nel campo dell'estetica e delle discipline
storico-politiche, che doveva conquistare rapidamente
l'Europa e il mondo anglosassone in particolar modo.
Allora l'Italia immise nel circolo vitale della sua
cultura tutti gli sparsi motivi ideali del suo
Risorgimento e ne scoprì le scaturigini nel pensiero
vichiano. E nell'educazione ch'essa attuava del suo
popolo, mediante le libere istituzioni, dette una
irrefutabile prova della perenne vitalità del liberalismo,
non in quanto partito politico, ma come forma più alta
della cultura moderna. Storia pensata e scritta in un
periodo di apprensione totalitaria, suona come nostalgica
rievocazione e come energico incitamento a una riscossa
per riconquistare quella libertà e responsabilità ch'è il
vero fondamento di ogni vita etico-politica. Storia che
non all'avvicendarsi dei ministeri o ad altri fatti
estrinseci s'appoggia, ma ripone l'intima ragione degli
eventi, nella vita morale d'un popolo e considera "il vero
moto e il vero dramma negli intelletti e nei cuori". |