Letteratura italiana: Opere di Fenoglio

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I ventitré giorni della città di Alba - La malora
 

Racconti e romanzo breve di Beppe Fenoglio pubblicati dapprima separati, a Torino, rispettivamente nel 1952 e nel 1954, e poi riuniti in unico volume, ivi, nel 1963. I racconti sono in parte di tema partigiano: anzitutto la cronaca ora ironica ora amara, ora irata ora grottesca dell'occupazione partigiana di Alba e delle due battaglie combattute per difendere la città, vittoriosa la prima, conclusa con la rioccupazione da parte dei fascisti la seconda; poi rapide, essenziali vicende di lotta e di morte, come "L'andata", che narra l'incosciente tentativo di imboscata, compiuto da un gruppo di partigiani disobbedendo agli ordini del comandante, e finito con il massacro di tutti; come "Il turno", aspro dialogo intorno alla fucilazione di un prigioniero fascista; come, "Vecchio Blister", uno dei più intensi e duri racconti di F. sull'esecuzione di un partigiano che si è macchiato di delitti comuni, da parte dei compagni (ed è particolarmente efficace nell'evocare la disperata incredulità del protagonista, il quale non vuole convincersi che proprio i suoi vecchi amici stiano per ucciderlo); come "Un altro muro", quasi un apologo, nudo e severo, con, a fronte, la diversa sorte dei due partigiani, uno badogliano, di origine borghese, l'altro comunista, un giovane del popolo, che trascorrono in cella insieme le ultime ore prima dell'esecuzione scambiandosi un dialogo secco e disperato, ma cosciente, soprattutto da parte del comunista, dell'inevitabilità della loro sorte, e insieme vengono portati alla fucilazione, che, per il badogliano, sarà soltanto un macabro scherzo, per mettergli paura, per il comunista sarà, invece, veramente la morte. Sempre di argomento partigiano, ma di intonazione più grottesca che tragica, è il racconto "Gli inizi del partigiano Raoul" meno felice, proprio per l'allentarsi della tensione fattuale e morale. Gli altri racconti raffigurano brevi vicende del mondo popolare e contadino delle Langhe e di Alba: uno spaccato di famiglia duramente dominata dai bisogni economici, causa di continui contrasti fra la madre e il figlio, che non ha voglia di lavorare, mentre il padre a poco a poco decade e si lascia andare ("Ettore va al lavoro"); l'accordo per il matrimonio fra Ugo e Rita, rimasta incinta, dopo lo sfogo di violenza dei parenti della ragazza contro il giovane ("Nove lune"); aneddoti di vita contadina ("Quell'antica ragazza") o cittadina ("L'odore della morte"); un suicidio ("L'acqua verde"); infine "Pioggia e la sposa", quello che forse è il racconto migliore, vero prologo a La Malora, dove il ricordo di un giorno dell'infanzia, trascorso con la zia e con il cugino prete sotto la pioggia, per recarsi a un pranzo di nozze, serve a rievocare un mondo contadino di aspra durezza economica, in cui si avverte l'impotenza di uscire dal cerchio dei gesti necessari per sopravvivere nella pena e nella fatica inumana. È il senso ultimo dell'opera maggiore di F., il romanzo breve La malora. La vicenda è estremamente semplice: il protagonista, Agostino, figlio di poveri contadini delle alte Langhe, ancor quasi ragazzo è costretto dalla miseria a mettersi a servizio come garzone presso un mezzadro di un paese vicino, Tobia. Il padre muore ben presto: un fratello, Emilio, entra in seminario, ad Alba; l'altro fratello, Stefano, rimane a lavorare la poca terra rimasta, insieme con la madre. Dall'antefatto naturalistico discende una descrizione di personaggi e atti che naturalistica non è, ma chiaramente simbolica: in primo luogo Tobia, ferocemente attaccato al lavoro fino all'oppressione più tirannica e allo sfruttamento più crudele nei confronti della moglie e dei due figli maschi e di Agostino (ma con una perfetta parità di trattamento), non per una vocazione al dominio, ma per la coscienza della ferocia della natura, che può colpire l'uomo e distruggerne l'opera; con una sorta di disperazione, quindi, che si esercita su di sé, anzitutto, e che ha improvvisi sconforti (di fronte, a esempio, alla malattia che a un certo punto colpisce la moglie). Agostino fa le esperienze del lavoro senza pace, di una famiglia attaccata al solo fatto economico: le nozze di Ginotta, la figlia di Tobia, tutte calcolate sul denaro; il gioco delle carte come unico diversivo, ma anch'esso accanito alla vincita spietata; il vino triste e furioso; un suicidio per disperazione di un vicino di casa; infine l'appena accennato, delicatissimo amore di Agostino e di Fede - la ragazza che Tobia ha preso in casa per aiutare la moglie ammalata - brutalmente stroncato dal calcolo dei parenti di lei, che preferiscono darla a un ricco proprietario. L'epilogo vede Agostino di nuovo a casa, dove anche il fratello Emilio ritorna a morirvi di tubercolosi, mentre Stefano se ne va a lavorare altrove: e il romanzo si chiude con la preghiera tragica della madre a Dio, di farla morire dopo Emilio per poterlo assistere, e di proteggere la solitudine di Agostino. I materiali di La malora sono, in apparenza, naturalistici: ma, a ben vedere, F. è al di là degli schemi del naturalismo perché il momento essenziale del suo discorso è la rappresentazione della violenza e della crudeltà che costituiscono il senso ultimo delle azioni e dei rapporti umani. Il mondo contadino è l'ambito simbolico più efficace (allo stesso modo che, altrove, le vicende della Resistenza) per manifestarlo, con la cupa amarezza che definisce la morale tragica e stoica di F.
Giorgio Squarotti Bàrberi

 

Luigi De Bellis