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LE ORIGINI DELLA
LETTERATURA
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CECCO ANGIOLIERI: S'io fossi
foco
Sonetto, il più celebre del suo
Canzoniere. Il poeta vi esprime
una serie, sempre crescente, di
desideri: le trovate sono tali
da colorire di per sé
l'atteggiamento spavaldo di un
uomo che da tutti si sente
odiato. Egli dice che se fosse
foco arderebbe il mondo, e se
vento o acqua lo strazierebbe
con tempeste e diluvi: se fosse
Dio, lo sprofonderebbe. A tali
vanterie l'Angiolieri aggiunge
ancora che se fosse papa darebbe
da fare a tutti i cristiani fino
a condurli alla pazzia, e se
fosse imperatore a tutti
taglierebbe la testa. Peggio
ancora, se fosse la Morte
andrebbe a suo padre, e se fosse
la Vita se ne allontanerebbe. E
lo stesso farebbe con sua madre.
Violente trovate: ma da
giudicare alla luce del finale:
"S'i'fosse Cecco, com'i'sono e
fui, - torrei le donne giovani e
leggiadre: - e vecchie e laide
lasserei altrui", che svela la
costruzione teatrale del
componimento.
Questo sonetto è importante
nella valutazione del poeta,
poiché è stato spesso inteso
come affermazione di
individualità esasperata e
violenta, quasi già di romantico
che lotta contro la società.
Sembra invece più consentaneo
con i vari motivi delle Rime
considerarlo come un'espressione
ostentata del suo temperamento
triste e selvaggio.
Carlo
Cordié
CECCO ANGIOLIERI:
Canzoniere
Cecco Angiolieri, senese
(1260?-1312-13), è la figura più
notevole tra i poeti realistici
dell'antica poesia italiana,
anche per quel colore
scapigliato che dalla sua
poesia, con la conferma di
qualche documento, si riverbera
sulla sua figura di uomo.
Qualche critico ha addirittura
creduto di poter vedere nell'Angiolieri
un umorista tragico al modo
romantico. In realtà è assai
difficile dire fino a qual punto
la sua poesia sia "atteggiata",
e perciò è necessario attenersi
sostanzialmente a essa, pur
senza dimenticare che l'Angiolieri,
coi toni così realisticamente
marcati della sua poesia
d'amore, perseguiva
probabilmente anche un proposito
di reazione alle delicatezze
aeree e vaporose messe in voga
dagli stilnovisti. Figlio di
padre taccagno ma gaudente per
suo proprio conto, Cecco impreca
contro il destino che lo ha
voluto a scuola di madonna
Povertà il che, agli occhi della
sua bella, lo rende più
spregevole di un "muscione". La
sua donna è Becchina, figlia di
un "agevol coiaio", popolana di
fresca fattura e di pronta
lingua, prima arrendevole, poi,
dopo aver fatto vuotare la
scarsella dello spasimante,
divenuta pungente e
intrattabile, e passata infine a
nozze con uno sberleffo per il
povero Cecco. Il quale, dominato
dalla passione della "donna,
della taverna e del dado", i tre
ideali della sua vita, dà libero
sfogo ai suoi umori vituperevoli
o appassionati e fantastici,
imprecando contro il padre, di
cui augura la morte, in una
lunga serie di sonetti che hanno
il loro apice nel sonetto più
noto e più estrosamente e
catastroficamente trionfale:
S'i'fossi foco arderei lo mondo.
E del padre Cecco annunzierà poi
la morte in altro sonetto di un
piglio macabramente gioioso.
Talvolta Cecco ha l'aria di
placarsi o di pentirsi, e ne
escono sonetti di un umore
torbidamente appassionato ma
stridente, brevi pause di una
cattiveria amara e spesso
popolarescamente sguaiata.
Qualunque sia la realtà
biografica che sta dietro questa
poesia, è certo che l'Angiolieri
si è foggiata una sua poetica di
temi e di forme ch'è tutto
l'opposto della poetica
stilnovistica, e applicata con
ferme intenzioni d'arte. Dei
rapporti dell'Angiolieri con
Dante sono testimonianza due
sonetti: l'uno verte sulla
contraddizione che a Cecco parve
di riscontrare nell'ultimo
sonetto della Vita Nuova ("Oltre
la spera che più larga gira");
l'altro, probabilmente in
risposta a un sonetto, andato
perduto, di Dante, è, nella sua
irriverenza vituperevole ("Dante
Alighier, s'i'son bon begolardo"),
e nel suo genere, un modello di
polemica ferocemente concreta
nel linguaggio e popolaresca. Ma
l'Alighieri, come dimostrano i
sonetti contro Forese Donati,
non era, nemmeno in questo
campo, poeta da lasciarsi
facilmente sopraffare.
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Daniele Mattalia |
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