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LE ORIGINI DELLA
LETTERATURA
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LA SCUOLA SICILIANA
La prima
espressione poetica italiana,
attuata da una omogenea cerchia
di intellettuali e rimatori, che
seppero fondere influssi arabi,
elementi indigeni, tradizioni
franco-normanne coi motivi della
poesia lirico-provenzale, si
svolge alla corte palermitana di
Federico II di Svevia, re di
Sicilia e imperatore del Sacro
Romano Impero. L'Italia
meridionale, con questo felice
esordio, entra a pieno titolo,
seppure per breve tempo,
nell'ecumene della lirica
cortese, accanto a Catalogna,
Francia del Nord, Germania
renano-danubiana, Portogallo,
Galizia e ovviamente Provenza.
Ciò che ha sempre stupito i
critici è stata l'improvvisa
apparizione di tale scuola
proprio nella Magna Curia
palermitana, visto e considerato
che Federico II, una volta
divenuto imperatore, non mostrò
alcun particolare interesse nei
confronti dei poeti-musici
tedeschi, autori e cantanti del
Minnesang (canzoni d'amor
cortese). È probabile che
l'impulso dato da Federico alla
"traduzione" e all'adattamento
in un volgare italiano del
modello trobadorico, fosse
dettato sia da ragioni
politiche: suo obiettivo era
quello di realizzare uno Stato
italiano forte e accentrato e la
diffusione del volgare (il cui
nemico principale era il latino
ecclesiastico) serviva
certamente allo scopo; che da
ragioni culturali: gli ambienti
della corte sveva dovevano
essere già permeati di cultura
cortese; intellettuali e
funzionari non siciliani come
Pier della Vigna, Rinaldo d'Aquino,
Jacopo da Lentini (cui è
attribuita l'invenzione del
sonetto) e altri ancora non
potevano ignorare la presenza di
diversi trovatori nelle corti
dell'Italia settentrionale, o
non essere a conoscenza di
precedenti traduzioni della
lirica d'OC in altre lingue
(almeno in francese e in
tedesco).
I poeti siciliani (Guido
delle Colonne, Stefano
Protonotaro, Cielo d'Alcamo,
Giacomino Pugliese…),
quasi tutti funzionari di stato
(a differenza dei trovatori del
Mezzogiorno francese,
provenienti dalle classi più
disparate), pur richiamandosi
alla tradizione lirica
provenzale, di questa rifiutano
i temi dell'esaltazione delle
imprese militari, gli
insegnamenti morali, la polemica
politica, la satira dei costumi,
e accettano solo l'amore
cortese, intendendo la poesia
solo come evasione
intellettuale. La tendenza
amorosa comprende la
passionalità che rende "schiavi
d'amore", il dolore per il
distacco dall'amata,
l'esitazione a manifestare il
proprio amore, le lodi della
donna, il biasimo per i
maldicenti-indiscreti-invidiosi.
La donna spesso è immaginata
bionda e raffinata.
La prima canzone scritta in
siciliano è Madonna, dir vo
voglio, del Lentini, che è un
fedele rifacimento di una
canzone di Folchetto di
Marsiglia.
Ben più importante di questi
contenuti è lo stile delle
poesie. I poeti siciliani
usarono come strumento
linguistico di partenza il
volgare dell'isola e non una
varietà letteraria
sovraregionale, come nella
lingua dei trovatori. Il volgare
siciliano viene perfezionato nel
lessico e nella sintassi,
modellandolo sull'esempio del
latino usato dagli intellettuali
e arricchendolo di molte parole
provenzali tradotte.
Con la morte di Federico II
(1250), cui seguì il rapido
declino del dominio imperiale
nel Mezzogiorno, conteso da
Angioini e Aragonesi, la scuola
ebbe termine. Quasi nessun
manoscritto meridionale ci è
giunto dei Siciliani, e i
modesti poeti insulari del XIV
sec. sembrano ignorare
completamente i loro illustri
predecessori.
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