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FRANCESCO PETRARCA
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INVETTIVE CONTRO UN MEDICO
Operetta
polemico-satirica in prosa
latina . Clemente VI (Pierre
Roger), sedente in Avignone,
verso l'autunno del 1351 s'era
ammalato, d'un tumore maligno
che gli gonfiava il viso. Al
principio di marzo del 1352, per
mezzo di un giovine che il papa
gli aveva mandato, il Petrarca
lo consigliò di guardarsi dai
medici e di ricordarsi
dell'epitaffio d'un imperatore
"Turba medicorum perii" ("Morii
d'una folla di medici"). Il papa
gli chiese di mettere in scritto
il consiglio mai riferito, cosa
che il poeta fece in un'epistola
al papa datata il 13 marzo."So -
vi si dice - che il tuo letto è
assediato dai medici, e questa è
la prima ragione del mio timore.
Contrastanti fra loro sulle
singole cure, vani di novità, si
negoziano le nostre anime,
sperimentano con le morti; come
se dovessero non curare ma
persuadere, intorno ai
letticcioli dei miseri disputano
con gran boato, e mentre quelli
muoiono mettono insieme
ippocratici nodi con filo
ciceroniano. Ma poiché non
abbiamo il coraggio di vivere
senza medici, scèglitene uno
solo, non valente di chiacchiere
ma per scienza e fedeltà". La
lettera, conosciuta subito,
irritò, non a torto, i medici.
Fu anche messo a profitto un
passo d'una lettera del poeta
all'abate di Saint-Remy,
riguardante la dignità della
Sede pontificia (Roma, non
Avignone); cosa che lo condusse
a dare, in altra a quell'abate,
una interpretazione
addomesticata della sua frase. E
uno dei medici, che altrove il
poeta dice "un vecchio sdentato
nato nelle montagne" (Gui de
Chauliac, nato a Mende nel
Gevaudan, o Jean d'Alais, medici
del papa, o altri), diffuse
un'epistola indirizzata al
Petrarca, non pervenutaci, ma il
cui senso si può desumere dalla
risposta del poeta. Epistola
vuota ma ampollosa e tumida - è
detta da lui - e piena
d'ingiurie. Il Petrarca crede di
identificare il medico, ma fa
conto d'ignorare chi sia. Egli
avrebbe voluto tacere, ma un
cardinale (de Taleirand?) lo
incitò a rispondere, perché non
si scambiasse modestia con
ignoranza (Sen. XV, 3). Rispose
dunque il Petrarca con uno
scritto, che non è perduto, come
si asserisce, ma non è altro che
il libro I delle Invettive. Il
medico ribatte, pure con un
libretto, come la sua lettera
non giunto ai posteri, diviso in
parti.
Artificiosa composizione
oratoria, e più dolce del miele
ibleo, a detta del Petrarca, che
vi vede anche lo zampino altrui.
Al poeta, che reagiva con gli
ultimi tre libri delle
Invettive, non pare che il
medico abbia mai più replicato.
La polemica si protrasse oltre
la morte di Clemente VI (6 dic.
1352) e la nomina di Innocenzo
VI (Etienne Aubert, eletto il 12
dic.), cose di cui è fatto cenno
nell'ultimo libro.
Richiestone da un amico, il
Petrarca gli manda l'operetta
già da molto uscita in pubblico
con una lettera datata dal 9
giugno (1355) "Riderai - gli
dice - fra riga e riga, e dirai
fra te: Il mio amico ha un'arte
di più che non pensassi. Ha
imparato a parlar male. Così
fanno le vecchiette nelle
piazze, nei rostri gli avvocati,
nelle osterie i lenoni ubriachi.
Ma pensa che maestro ho avuto in
colui che m'ha aggredito con
insulti". La singolarità
dell'operetta petrarchesca è
infatti nelle vivaci e mordenti
beffe che il poeta si fa del
vecchio medico e nel profluvio
di insolenze - spesso volgari -
di cui lo copre, mirando a
disanimare e svergognare
l'avversario con bei colpi
letterari, come in altri pochi
suoi scritti polemici, piuttosto
che con quel sillogizzare, a
volte per scherno, a volte sul
serio, con cui dice di volersi
attenere all'argomentare
scolastico del "senex
elementarius". In sostanza, se
di sostanza si può parlare in
queste pagine extravaganti, il
Petrarca, ricevendo il concetto
filosofico contemporaneo che la
medicina è un'arte meccanica
perché riguarda il corpo e altra
arte, né nega non lo spirito,
non le nega l'origine divina
d'ogni vi siano, rari sempre,
rarissimi ai suoi tempi,
eccellenti medici. Professa anzi
di non averla con i medici, che
pure non poco tocca
generalizzando, ma con
quell'uno, vergogna della
medicina, che ha osato
attaccarlo con ingiurie. Nega
che la filosofia, la logica, la
retorica, la morale possano
appaiarsi alla medicina o
servirla. Difende la poesia
dagli attacchi dell'avversario
arguendo proprio dalla non
necessità e rarità dei poeti la
sua nobiltà, e si difende
dall'accusa di ermetismo. Esalta
la propria solitudine (in cui
sta scrivendo le biografie Degli
uomini illustri, a un Libellum
de vitae meae cursu che è lo
scritto apologetico al Zanobi e
amici per aver eletto stanza
presso i Visconti), si
giustifica contro le accuse di
adulazione, invidia, superbia,
disprezzo della vecchiaia e
simili. Ma soprattutto attacca,
con una virulenza e insistenza
attenuate solo dalla genericità
delle accuse che lancia.
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Mario
Fubini | |
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