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FRANCESCO PETRARCA
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IL PENSIERO, IL PROFILO
INTELLETTUALE E MORALE
Per mettere a fuoco
l'originalità filosofica del
Petrarca, le opere più utili
sono i saggi polemici del
'52-55, "INVECTIVE CONTRA
MEDICUM" e del 67-70 "DE SUI
IPSIUS ET MULTORUM ALIORUM
IGNORANTIA".
Ne emerge la missione che egli
assegna alla filosofia e alla
cultura in genere: conoscere
l'uomo, guarirne le malattie
morali, condurlo a Dio. E
cercare, cercare la verità senza
l'ossequio assoluto ad una o a
un'altra "autorità".
Perciò egli esce fuori dai
confini della filosofia
medievale, e meschino, verso
l'ideale patria perduta
dell'antichità, nella maturità
Petrarca "pervenne alla
coscienza dell'importanza degli
studi classici non più per
un'evasione dal ma per
un'interpretazione del presente,
per l'esame dei problemi della
vita interiore, per la
ricognizione dell'umano destino,
per all'instaurazione di più
autentici rapporti e valori
umani. "Gli antichi insomma non
come monumenti da contemplare ma
come maestri la cui lezione va
ricondotta al presente, per dar
vita ad una condizione umana più
ispirata ad autentici valori
morali (libertà, giustizia, pace
ecc.).
"E accanto agli antichi"
andarono assumendo posizione e
significato (di
continuità/integrazione) i
grandi scrittori cristiani,
soprattutto S. Agostino, maestro
esemplare nell'esplorazione "dei
conflitti più sconcertanti della
coscienza."
LA FEDE NELLE LETTERE
Ecco perché altissimo fu il
valore che Petrarca assegnò alla
retorica (=letteratura). "La
parola", per lui, significo il
"tramite", tra passato e
presente, "della sapienza e
della civiltà". In questa luce
si spiega l'importanza
particolare che assunsero per
Petrarca i miti di Orfeo (che
ammansiva le belve) e di Anfione
(che commosse alberi e sassi),
come emblemi di una poesia che
vince la durezza, la crudeltà,
la barbarie, educa moralmente
gli uomini, li conduce alla
mansuetudine, alla tolleranza,
cioè alla civiltà.
IMITAZIONE E ORIGINALITA'
Ecco, allora, cosa significò per
il Petrarca lo studio degli
antichi: "dilatare il patrimonio
delle proprie esperienze umane,
riconoscere i valori più propri
dell'uomo, abilitarsi ad
esplorare e portare alla luce
della coscienza i problemi, le
passioni, i contrasti della
propria vita interiore.".
Infatti è fondamentale
riconoscere che al centro degli
interessi culturali e poetici di
Petrarca era "l'uomo" (non la
natura, non la storia, non la
teologia, non la politica, non
cioè il mondo esterno
all'individuo). E l'uomo su cui
si appuntava la sua indagine,
era l'uomo che vive con gli
altri, nella complessità di un
destino che è immortale e si
decide tra cose mortali. Ma la
sua indagine non si riferiva a
formule astratte [vedi i passi
nell'antologia del Sapegno], non
alla pura conoscenza
intellettuale della verità e
della virtù, ma piuttosto alla
delineazione di esempi che
smuovessero la coscienza. Perciò
Seneca era preferibile ad
Aristotele: il secondo ti dice
cos'è la virtù, e nient'altro,
l'altro ti insegna ad amarla.
Ecco perché gli scrittori latini
gli appaiono formidabili
maestri. Ma attenzione: essi
restano ai suoi occhi pur sempre
"uomini", con i propri limiti,
problemi, particolarità. Perciò
non sono modelli astratti, ma
"persone" con cui dialogare, da
cui imparare a esplorare se
stessi, a conoscere la virtù, la
realtà.
Allora, "l'imitazione" non è
ripetizione meccanica e passiva
di quello che gli antichi hanno
detto o hanno scritto, ma
"studio e assimilazione delle
esperienze morali ed artistiche
degli antichi" al fine di
rielaborarle, riviverle,
applicarle a sé e al presente,
in una ricerca contrassegnata da
libertà e originalità. "Non
voglio una guida che mi leghi,
ma che mi preceda; insieme con
la guida siano sempre i miei
occhi, il mio giudizio, la mia
libertà."
POLEMICA CON LA CULTURA
MEDIEVALE
Naturalmente la cultura di
Petrarca, con i suoi metodi e
con i suoi fini, entrava "in
rotta di collisione con la
dominante cultura medievale
trecentesca, governata ed
egemonizzata dallo schema del
trivio e del quadrivio e dalla
filosofia scolastica delle
università.
1. Petrarca attaccò
risolutamente e coraggiosamente
la dialettica medievale che
sapeva solo discutere
astrattamente di problemi morali
e che si esauriva nella
discussione: in essa la ragione
non si faceva strumento per la
ricerca della verità.
Perciò egli è l'uomo moderno,
modernamente e tormentosamente
in cerca della verità.
2. Filosofia, per Petrarca, è
scavare in profondità nell'animo
dell'uomo. E il Petrarca
comincia da sé: ecco il Secretum,
che è lo specchio della crisi
succeduta al 1341. Ma dal
Secretum non esce un uomo nuovo,
esce solo uno spietato esame di
coscienza, la conferma
dell'impossibilità di diventare
un uomo nuovo. Petrarca non
abbandona la selva oscura mai
definitivamente: divino e umano,
di cui tenta un'impossibile
conciliazione (vorrebbe che le
cose terrene durassero eterne
come quelle divine, e che il
piacere terreno, l'amore e la
gloria non si tingessero
dell'ombra del peccato), restano
lontani tra di loro e
contrastanti irrimediabilmente.
3. Pero c'è una certezza, un
valore non contraddetto nella
dimora morale del Petrarca: la
"cultura," che è conoscenza, e
perciò in certo modo dominio,
del dissidio. E cultura è quella
formata, in larga misura sui
classici, venerati come ideali
supremi di pensiero e di vita,
cultura che senza sforzo, o con
minimo sforzo, egli avvicina
alla saggezza cristiana.
"Non v'ha cosa che pesi meno
della penna, né più di quella
diletti... Non temo d'affermare
che di tutti i piaceri sortiti
all'uomo sulla terra lo studio
delle lettere è non solo il più
nobile, ma anche il più
durevole... E se frattanto
giungerà la mia fine... bramo
che essa mi trovi intento a
leggerle e a scrivere, o se Dio
voglia, a pregare e a piangere."
E si noti che le due 'fini',
quella 'laica' e quella
'religiosa' sono sostanzialmente
intercambiabili, desiderabili
ambedue.
Commenta il Martellotti: "e così
- verità o leggenda - ci vien
descritta la morte del Petrarca
fin dalle più antiche
testimonianze: un posarsi stanco
sui libri."
Queste parole, scritte quasi a
suggello della sua vita - siamo
nel 1373 ed è una delle ultime
cose da lui scritte -,
potrebbero essere considerate in
realtà la sintesi della sua
intera esistenza intellettuale,
e ne racchiudono anche
l'originalità.
Morire tra gli amati classici o
con il suo Dio sulle labbra: il
suo sogno, proprio di chi in
quelli ritrovava Questo e in
Questo trovava stimoli che a
quelli lo riportavano. Un
andirivieni, però, senza vera
pace, perché i traguardi delle
due strade erano diversi, anzi
su piani diversi.
4. Questa fusione di ansia
cristiana e sapienza classica si
ritrova in due opuscoli: "LA
VITA SOLITARIA" e il "DE OTIO
RELIGIOSORUM," ove la solitudine
è elogiata purché non sia
barbara, cioè senza amici e
senza libri e senza la bella
natura; e l'ascesi dei monaci è
ammirata ma sentita come troppo
radicale, e perciò essa è
sostituita con la solitudine del
letterato, nella consapevolezza
che la poesia è maestra di
moralità.
5. Si rinviene, nell'ultima
convinzione, più di un
preannunzio della futura,
imminente età dell'Umanesimo.
da Santoro, Le stagioni
IL MAGISTERO CULTURALE
Petrarca fu, oltre che sommo
poeta, grande, insostituibile
"maestro di cultura" non solo
per gli italiani, ma, tramite
l'umanesimo, per l'Europa
intera.
Egli ne ebbe parzialmente
coscienza: infatti poco prima di
morire scrive al Boccaccio e di
sé dice "per impulso da me
ricevuto molti oggi sono in
Italia, e molti per avventura
anche fuori, che presero a
coltivare questi studi, negletti
per tanti secoli...", Petrarca
mostra di aver avvertito che da
lui ha preso l'avvio un
movimento internazionale di
cultura fondato sul ritorno
degli scrittori antichi, latini
(e in controluce, greci).
Per intendere il senso del
magistero culturale di Petrarca
non basta riconoscere che esso
coincise con il culto dei
classici, perché quel senso sta
nel valore che per lui assumeva
la sapienza degli antichi, nel
metodo con il quale a quel mondo
occorreva accostarsi.
ANALISI DI LIRICHE
VOI CH'ASCOLTATE
1. aristocraticità
dell'esperienza umana e poetica
di P., espressa nella duplice
selezione del pubblico: a) un
pubblico di lettori di poesia b)
tra esso, chi abbia esperienza
d'amore.
L'aristocraticità genera anche
richiesta di "complicità", cioè
di pietà e di perdono,
comprensibili tra idem
sentientes.
2. L'esame delle rime.
a. le rime sono consuete, non
rare, e si ripeteranno in numero
ristretto.
Povero è il rimario di Petrarca,
povero il lessico. Ma
sceltissimo, senza echi
municipali, popolari, plebei.
Lingua purissima e, per questo,
pronta a sfidare i secoli,
perché meno legata a un luogo
geografico e culturale, quasi
a-storica, aspirante
all'immortalità. Cfr. anche
l'osservazione di Brioschi e Di
Girolamo sul legame tra aiòn e
Petrarca, come rifiuto del
krònos.
b. la rima SUONO/SONO identifica
il suo essere nella poesia, che
è definita come eco lontana,
depurata del dolore, cioè della
realtà (non dolore, ma sospiri;
non sospiri, ma 'suono', cioè
musica, eco dei sospiri).
c. la prosecuzione in
RAGIONO/PERDONO introduce al
senso del sonetto: RAGIONARE su
questa vita risolta in poesia fa
nascere la speranza del PERDONO.
C'è una giunta alla definizione
di poesia: il poeta ragiona nel
vario stile e piange; cioè nello
stile si rintraccia la
sofferenza ma anche la
riflessione, la conoscenza
chiara del proprio dolore. Se la
vita fu (ed è) disordine, la
poesia è conoscenza della vita e
sua risoluzione nell'ordine
dell'arte.
d. la rima VERGOGNO/SOGNO
richiama per assonanza la prima,
e le parole, con lieve
cambiamento fonico,
arricchiscono il senso: di
quell'esperienza il poeta si
vergogna, perché riconosce che
fu, che è, un sogno.
e. la sequenza successiva di
rime: CORE/ERRORE/DOLORE/AMORE è
comunissima; però amore è
congiunto a dolore (cioè fu
doloroso) e a errore (cioè
condusse al peccato).
3. Le allitterazioni (che in
Petrarca sono sempre volute)
danno proprio fonicamente il
senso di un'oscillazione, di un
ritmo di composizione e
opposizione.
Infatti il suono in "V" c'è
nelle quartine e nelle terzine
(ed è richiamo, unità,
composizione) con un valore
fonico di smorzatura, di sospiro
(ed il significato lo conferma:
Voi - invocazione; vane
speranza, van dolore, mi
vergogno, vaneggiar - sembrano
tutti accompagnati da un ahimè).
Il suono "P" interrompe la
sequenza "V" con un altro valore
fonico (sofferenza, scontro) ma
è a sua volta ripreso dalla fine
delle quartine alla fine delle
terzine (cioè tra "V" e "P" c'è
unità ma anche tensione).
Questa analisi dei valori fonici
fa concludere che il sonetto
(come tutto il Canzoniere
d'altronde) va letto sotto il
segno dell'unità e della
varietà.
(Quel "Voi ch'ascoltate..." -
scrive Dotti - è ben altro che
un semplice rivolgersi al
lettore per catturare la sua
benevolenza. C'è il richiamo a
che il lettore si concentri
tutto nel problema di modo che,
rivivendo in sé le passioni
terrene sofferte dal poeta e da
lui descritte come sempre in
movimento e fluttuanti, alla
ricerca tanto desiderata quanto
vana di un approdo ultimo e
conclusivo, impari da sé e per
sé, sulla scorta di
un'esperienza tutta umana e
terrena (ma nobilitata
dall'arte) a perfezionarsi e a
migliorarsi. Di qui anche... la
tensione del poeta a chiudere in
un verso... un insegnamento, un
"conoscer chiaramente"... il
frutto insomma di un'esperienza
che, provvisoriamente conclusa,
viene riconsegnata al mondo
degli uomini": tema unico, tono
dominante, esperienza di un solo
individuo; ma anche sfumature,
situazioni, variazioni,
contraddizioni in quel "tema",
anzi "quel" tema sono appunto le
contraddizioni, che sono oggetto
di una ricerca continua di
individuazione e di
armonizzazione.
4. Due stilemi (=caratteristiche
dello stile di un autore)
tipici: coppia di parole
(duplicazione nome, aggettivo,
verbo) anche in antitesi.
Questo stilema (piango e
ragiono; vane speranze e van
dolore;...) marca un'analisi,
oppure un'opposizione, oppure la
individuazione più precisa di un
significato: insomma uno stilema
che riconduce al RAGIONO, alla
poesia come conoscenza di sé.
5. I temi e i modi verbali,
mentre indicano con evidenza
l'oscillare tra vita che fu
(quand'era..., nudriva, fui,...)
e coscienza attuale (sono,
ragiono, spero,...) sempre con
stretto riferimento un individuo
(c'è la prima persona
singolare), nella conclusione
del sonetto dilatano, con
l'infinito presente, il valore
dell'esperienza individuale
allargandola a tutti i lettori
capaci d'intenderla.
E torniamo, così, ad uno dei
significati centrali del
sonetto, e del Canzoniere:
un'esperienza individuale in cui
molti possano riconoscersi,
esemplare in qualche modo. Ma i
"molti" sono comunque
selezionati.
In conclusione:
il sonetto proemiale si pone
quindi come testo che ne
presenta un altro [il
Canzoniere] di cui tenta una
definizione (il suono etc.); che
sceglie il suo pubblico; che
nella letterarietà indica la
chiave di lettura suggerita ai
lettori (del vario stile... cioè
il lettore si trova di fronte a
un'elaborazione, e
trasfigurazione poetica di
un'esperienza di vita), che sono
partecipi della crisi dal poeta
sperimentata".
E noi sappiamo che crisi non
individuale, ma storica,
epocale.
DI PENSIER IN PENSIER...
Commentando la canzone Sapegno
scrive una pagina utile a
dissipare l'equivoco romantico e
"volgare" dell'immediatezza nel
fare poetico.
"Nella canzone è il gioco
mutevole e discorde, rapido e
incoerente dell'immaginazione...
ma quel gioco vi è, non
rivissuto tumultuosamente, sì
contemplato da una mente
tranquilla, che lo ricompone nei
suoi momenti essenziali, lo
ricostruisce nel suo contrasto.
Questa canzone non è uno
sfogo... Tra il fervore primo
della passione e la
rappresentazione di esso,
appassionata ma lucida,
s'indovina un altro momento
ideale..: il momento dell'esame
di coscienza, momento tutto
intellettuale...
Donde il tono distaccato e
lontano... la precisione del
linguaggio psicologico (or
ride... or teme etc..) donde
anche l'architettura solidamente
costruita... donde infine quello
straordinario sdoppiarsi del
poeta da se stesso e contemplare
la propria immagine dolente e
pensosa come qualcosa di caro e
di estraneo."
Questa canzone è un testo
importante dell'introspezione
psicologica petrarchesca, in cui
è reso con verità l'abituale
altalenare dei sentimenti.
Petrarca si dibatte tra speranze
e timore, tra gioia e dolore,
fiducia e sbigottimento. E
talvolta, stanco di questo
dissidio, vorrebbe lasciare quel
suo vivere dolce amaro. Ma lo
riafferra la speranza, perché
l'immagine di Laura, sempre più
bella, lo insegue dovunque.
In questa canzone ritroviamo
proprio alcuni elementi
fondamentali della personalità
del Petrarca: il cammino
tortuoso dei sentimenti, sempre
dominato dall'incertezza; il
desiderio di separarsi da questo
tormento; l'incapacità di farlo,
perché il suo fascino è troppo
forte.
In fondo c'è il Petrarca del
Secretum, che riconosce il suo
errore, ma non sa liberarsene.
Questa canzone è anche
importante perché è esempio
molto alto di quanto il Petrarca
riesca a rappresentare, e perciò
in qualche modo, a dominare, il
suo dissidio, attraverso il
canto [v. prima il commento di
Sapegno]: perciò la sua poesia
ha quella limpidezza di stile e
di vocaboli che la caratterizza,
perché il poeta, di fronte alla
sua pena non sa vincerla
veramente; sa però analizzarla
lucidamente, intenerirsi
soavemente per essa e cantarla
("cantando il duol si
disacerba...").
Per un richiamo, suggerito da
questa canzone, alla più
generale qualità della poesia
petrarchesca, cfr. Getto
(Storia, p.102-3) :
"Se materia della poesia
petrarchesca è questo groviglio
di contraddizioni... la forma in
cui essa si presenta è limpida,
equilibrata, armoniosamente
perfetta... Per il Petrarca la
poesia è indagine sottile della
coscienza, ma non sfogo
immediato dei sentimenti etc..".
Questa canzone serve anche di
esempio, di altissimo documento,
per un'altra qualità della
poesia di Petrarca: la selezione
del reale, che conduce alla
stilizzazione, e che fa tutt'uno
con il classicismo formale, cioè
con la selezione -
idealizzazione stilistica e
lessicale.
Per chiarire questi due aspetti,
cfr. Getto pp.99-100 ("si ha
l'impressione che la realtà
esterna non esista, se non come
memoria o allusione, e che
l'unica realtà sia l'interiorità
del poeta...") e poi Getto,
pp.103-4 ("per conquistare
questo equilibrio è necessario
un esercizio quasi ascetico di
rinuncia... nella realtà [si
opera] una rigorosissima
selezione").
ERA 'L GIORNO CHE AL SOL SI
SCOLORARO
1. Ha l'aspetto di un sonetto
stilnovista, ma è distante dallo
stilnovismo.
2. I tempi al passato (marcati
in rima) svolgono già il tema
del trascorrere del tempo, cui
si contrappone la forza di una
dedizione che sfida il tempo
[dialettica tempo/eternità].
3. La sovrumanità della donna è
affermata per litote, che sposta
in fine di verso le parole che
negano l'affermazione della
litote (umana, mortale).
4. "Parea" con significato di
sembrava si contrappone al
"pare" di Dante: da una poesia
dell'apparizione (verità) a una
poesia del dubbio (moderna).
CARATTERI GENERALI
da Santoro, Le epoche
* Travaglio nell'ordinamento e
nella cura stilistica.
* Consapevolezza che, pur di
fronte al latino, quel volgare
aveva il suo indiscusso valore.
* Non si creda che Petrarca
volgare sia altro dall'umanista.
Anzi. "Nella poesia volgare
Petrarca riflette l'attitudine
all'esplorazione psicologica
conquistata con lo studio dei
classici [è sempre l'indagine
sull'uomo], fruisce delle più
diverse suggestioni degli
scrittori antichi, traduce nella
lingua e nello stile
quell'ideale di equilibrio, di
chiarezza interiore, di misura
che caratterizza il suo
classicismo."
* Dov'è la poesia del
Canzoniere? E' nella evocazione
e trascrizione dell'esperienza
amorosa, esplorata nelle sue più
varie e contrastanti
manifestazioni e sentimenti.
A questa inquieta ricerca, che
approda al riconoscimento di
un'inquietudine senza riparo, si
accompagna, però, la coscienza
dell'eccezionalità del proprio
sentire, che in fondo nobilita e
impreziosisce il dolore. Ha
scritto Petrarca: "Viva o mora o
languisca un più gentile / stato
del mio non è sotto la luna!"
* Questa esperienza sentimentale
(e morale, perché Laura ingloba
in sé anche i conflitti morali
dell'esistenza) non è però
trascritta come sfogo. "Risulta
da una costante convergenza,
sempre sul filo di un finissimo
equilibrio, di sentimento e
intelligenza, di stati d'animo
autentici e di disciplina
letteraria."
* Insomma il Canzoniere "è la
prima, grande trascrizione
lirica del destino
d'inquietudine e di solitudine
dell'uomo moderno."
LO STILE
Quando si definisce soave e
armonioso lo stile di Petrarca,
occorre spiegare concretamente,
con esempi, cosa sia questa
soavità e che significato
culturale e addirittura morale
abbia quella petrarchesca
ricerca dell'armonia.
Si veda il manuale di Brioschi e
Di Girolamo a p. 154, ove il
verso dantesco è messo a
confronto con quello
petrarchesco.
Quest'ultimo tende alla
ordinata, simmetrica
distribuzione delle unità nei
versi (come mostrano i primi due
endecasillabi di Solo e pensoso,
fondati sul chiasmo).
Questa scelta (opposta alla
tensione degli accenti e al
"disordine" del verso dantesco)
ha un significato profondo: il
modello petrarchesco "invita
l'artista ad oltrepassare la
superficie caotica delle
apparenze per riprodurre nella
sua opera il ritmo ideale [=
l'ordine] delle cose. In termini
platonici, prevale il tempo
dell'essere, non c'è il tempo
del divenire, oggetto della
mimesi.
[Ecco perché Petrarca egemonizza
un'epoca letteraria, il
Rinascimento o viene recuperato
comunque quando la cultura di
quell'epoca mira -
platonicamente - all'ordine
ideale, il quale, se non c'è
nelle cose vive nell'arte, che
appunto sostituzione e
integrazione della vita: perciò
Petrarca testimonia e riassume
una civiltà (quella che
seleziona il vissuto
riordinandolo nell'armonia
dell'arte, mentre Foscolo la
crisi di questa civiltà, come
molto bene il manuale citato
spiega, utilizzando Le Grazie (II,
vv. 581-95).
LA VITA
Petrarca, a differenza di Dante,
è scrittore che ha molto scritto
su se stesso, e in fondo tutta
la sua opera letteraria è una
ininterrotta indagine su se
stesso, condotta all'interno
della propria coscienza morale e
dei propri sentimenti e delle
proprie idee.
Avviciniamoci direttamente
perciò, senza intermediari, a
questa personalità di uomo e di
poeta, leggendo un passo da una
sua lettera, indirizzata da
Valchiusa, in Provenza, nel
1353, ad un amico fiorentino,
Zanobi da Strada:
|
"Ecco qual è ogni giorno
la mia vita. Mi alzo dal
letto a metà della notte
ed esco di casa allo
spuntar del giorno: ma
sia in casa sia nei
campi studio, e penso e
leggo e scrivo. Per
aridi monti, per valli
rugiadose, per grotte
coperte di muschio tutto
il giorno mi aggiro e
passeggio sull'una e
sull'altra sponda della
Sorga, non distratto né
veduto da altre persone
e sto solo in compagnia
dei miei pensieri e
insieme ad essi ora
torno al passato ora
progetto il futuro. Alla
guida di Dio mi
abbandono, e mentre con
ogni sforzo mi adopero
ad essergli obbediente,
ripongo in Lui tutta la
mia speranza.
Ho raccolto qui, in
questa piccola valle,
tutti quelli che mi
furono amici, e non solo
quelli che di persona
conobbi ma soprattutto
quelli che morirono
molti secoli prima che
io nascessi, e che io ho
conosciuto e ammirato
per la loro virtù, il
loro ingegno, le loro
grandi imprese. E con
questi ultimi godo di
conversare più che con
tanti che credono di
essere vivi solo perché
respirano e vedono il
loro fiato quando fa
freddo.
Così, in simile
compagnia, vagando per
questi luoghi sto quasi
sempre solo." |
|
Quando scrisse questa lettera
Petrarca aveva 49 anni. Alcuni
anni prima, nel 1341, era stato
solennemente incoronato e
acclamato, a Roma, poeta e la
sua fama era diventata
universale, e gli aveva dato
onori, agi, ricchezza, la
venerazione quasi dei signori e
dei discepoli.
Si narra perfino che un giorno
due eserciti contrapposti
sospendessero la guerra per
consentire al poeta di
proseguire nel suo viaggio, in
mezzo ai due schieramenti.
Chi era quest'uomo, come era
vissuto fino ad allora, come
visse fino alla fine dei suoi
giorni, nel 1374, a
settant'anni?
Di ogni poeta, certo, è utile e
interessante conoscere la vita e
il profilo psicologico. Nel caso
del Petrarca, più che utile è
indispensabile, perché tutta la
sua opera, come s'è detto, è in
fondo una ripetuta e
approfondita analisi, spesso
tormentosa, della propria
coscienza.
DALLE PAGINE DI GETTO (che
ricalcano Bosco), si possono
ricavare questi elementi
essenziali e queste tappe
fondamentali:
1. La giovinezza, tra Bologna e
Avignone, fino al 1327.
L'incontro con Laura. Il
servizio presso i Colonna.
2. I viaggi continui, in
Francia, Belgio, Germania, e per
tutta l'Italia
centro-settentrionale.
L'irrequietezza del carattere,
che meglio emerge da un
confronto con Dante. Sua
condizione di apolide, che,
però, sente come patria l'Italia
tutta e non più una città.
3. Le contraddizioni del
carattere, diviso fra desiderio
di sicurezza e di tranquillità e
inquietudine continua, bisogno
di novità e di conversazioni, di
essere alla ribalta e intanto
necessità di star solo.
4. Episodio emblematico
dell'ascensione al monte Ventoso
e della lettura di Agostino.
5. Desiderio di gloria (1341,
Roma) cui segue la crisi più
incisiva, sull'esempio del
fratello (1343).
6. Ideali politici e di riforma
della Chiesa: tornare a Roma
(Cola di Rienzo) e alla Chiesa
evangelica. Attacchi alla Curia
avignonese.
7. I soggiorni degli ultimi
anni: Milano (53-61) e le
critiche dei nemici della
tirannide viscontea; Venezia
(61-67) e Arquà (67-74).
8. La figlia, il genero,
l'amicizia con il Boccaccio.
da WILKINS, VITA DI PETRARCA,
FELTRINELLI, '64
* Tratto dominante della sua
personalità è il desiderio di
amare e di essere amato: ecco il
posto che nella sua vita ebbero
Laura, la madre, gli amici, il
fratello, il genero, i "suoi"
antichi.
Anche la morte non era che una
separazione temporanea proprio
dagli amici.
* Secondo aspetto dominante: la
fama. ("Questo d'allor ch'io m'addormiva
in fasce// venuto è di dì in dì
crescendo meco // e temo ch'un
sepolcro ambedue chiuda"). Però
questa brama s'illanguidì col
tempo.
* Laura e la gloria, infatti,
gli parvero in conflitto con la
speranza della salvezza... e
tale consapevolezza lo gettava
nel dolore profondo. Ma questo
conflitto è solo un aspetto [non
forse un simbolo?] del conflitto
fra le gioie molteplici della
vita e il concetto che lui aveva
della religione.
* Petrarca amava molto la
natura, il mondo, era curioso di
uomini e costumi. Eppure sebbene
questi fossero tutti doni di Dio
era implicito in quei doni un
rischio di deviazione.
* La religione personale di
Petrarca era soprattutto fatta
di credenze e precetti e
implicava la rinunzia a molte
cose belle (anche se oneste)
della vita [eredità ascetica].
Egli invidiava Gherardo ma non
sapeva imitarlo.
* Circa l'indole mentale è
sorprendente la sua capacità di
capire tutto, d'ogni materia,
d'ogni argomento. Aveva memoria
poco meno che prodigiosa. Unica
ed eccezionale, dati i suoi
tempi, la sua attitudine
all'introspezione.
LA LIBERTA' NELLA CULTURA
Poco prima di morire scrive a
Boccaccio, con splendido
orgoglio: "Apparentemente sembra
che io sia vissuto coi principi,
ma in verità furono i principi a
vivere con me."
C'è tutta la superbia
dell'umanista, pago della
libertà della pagina, che è per
lui 'la libertà', e consapevole
che la politica (= il suo
signore) è al suo servizio, cioè
al servizio della sua libertà, e
non viceversa, come volgarmente
appare.
ALCUNI NODI DELLA SUA BIOGRAFIA
da Santoro, Le stagioni ecc.
* Avignone (1326-36) fu per lui
centro di conoscenze, relazioni
vantaggiose ed esperienze
culturali. Lì conviveva l'eco
della tradizione lirica
provenzale con le ampie
possibilità di studi classici
offerte dalla ricchissima
biblioteca pontificia e dai
"tesori" dei monasteri francesi
e fiamminghi.
Proprio in quegli anni, nel 1333
cade un avvenimento di rilievo
per lui, un'eccitante esperienza
letteraria, il ritrovamento del
Pro Archia di Cicerone (= inno
di lode alla poesia e ai poeti).
* Il decennio 1343-53 è
caratterizzato da un più
meditato ripiegamento su se
stesso, alla ricerca dei valori
dell'esistenza, delle risposte
sull'umano destino e l'umana
condizione. Nel 1348 moriva
Laura. Nel 1350-51 incontrava,
prima a Firenze, poi a Padova,
Boccaccio, col quale strinse
ventennale amicizia.
Documento di questa amicizia,
tra le tante, sono queste
parole, da una delle Senili (in
mezzo alle quali spicca un
mucchietto di epistole
indirizzate appunto al
certaldese): "Se un solo pane io
m'avessi, sarei lieto di
dividerlo con te. [...] Se solo
un letticciuolo io avessi nella
mia camera sarebbe largo
abbastanza per accoglierci
ambedue."
Boccaccio fu certamente
conquistato dalla personalità e
dalla cultura di Petrarca, ma
Boccaccio, certamente, trasmise
a Petrarca il suo amore per
Dante.
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