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FRANCESCO PETRARCA
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RIME EXTRAVAGANTI
Si
sogliono designare con questo
titolo, o con quello di Rime
disperse, quelle poesie che,
attribuite a Francesco Petrarca
da qualche manoscritto e
pervenute autografe, non
compaiono in quello che i
posteri chiamarono il
Canzoniere. Sono fra quelle rime
abbozzi di componimenti del
Canzoniere un diverso esordio e
un diverso commiato della
canzone "Che debb'io far?", un
primo tentativo della canzone
Chiare fresche, una redazione
frammentaria della canzone "In
quella parte", sonetti, di cui
il motivo o le rime saranno
ripresi in altri della raccolta
definitiva; sono componimenti
che l'autore non è riuscito a
condurre alla perfezione voluta
e che sono rimasti in uno stato
grezzo; rime che alludono ad
altri amori, come quella vaga
ballata, inclusa dapprima e poi
esclusa dal Canzoniere, che ha
per soggetto il contrasto fra un
nuovo amore e l'amore antico e
costante per Laura ("Donna mi
vene spesso nella mente - Altra
donna v'è sempre; - Ond'io temo
si stempre il core ardente");
sono infine rime composte senza
grande impegno per soddisfare le
richieste di qualche giullare o
l'invito di gentildonne, di
signori, di amici, tra le quali
ultime vanno posti anche i
sonetti di risposta a qualche
sonetto altrui, che il poeta,
secondo la moda, non poteva
ricusare di stendere e che gli
parvero indegni, a differenza di
qualcuno di essi accolto nel
Canzoniere, di essere compresi
fra le rime da lui riconosciute
e approvate. Non tutte le rime
però che vanno sotto il suo nome
si possono considerare
autentiche: anzi, mancando
tuttora un'edizione critica di
queste rime disperse, è ben
difficile sceverare tra i
numerosi componimenti, che si
raccolgono sotto il titolo di
"extravaganti", quelli che al
Petrarca veramente appartengono
e perciò dare un giudizio su
quel che questa poesia minore
rappresenti rispetto a quella
del Canzoniere. Ma, anche
nell'incertezza presente, è
possibile riconoscere, con
sicurezza per alcune e con un
certo grado di probabilità per
altre, l'accento petrarchesco di
più d'uno di questi componimenti
e trarre dal confronto con altri
del Canzoniere un'idea più
precisa del modo di lavorare di
quest'artefice raffinato e
incontentabile. E se non sono
tra queste rime da cercare
capolavori, si trovano tuttavia
più d'una volta immagini fresche
e vive, qualche frase poetica,
talora più spontanea di quella
della redazione più matura del
medesimo motivo. Su tutte le
"extravaganti" emerge la canzone
"Quel ch'à nostra natura in sé
più degno", della cui
autenticità male si è dubitato e
che fu composta nel 1341 in
occasione della conquista di
Parma per opera di Azzo di
Correggio, amico del poeta, e
dei suoi tre fratelli: esclusa
dal Canzoniere perché ispirata
da una di quelle lotte fra
prìncipi italiani che la canzone
all'Italia (v. Italia mia)
deprecherà, non è stata per
questo, come le altre sue,
oggetto dell'attenta revisione
del poeta e lascia più d'una
volta affievolirsi la sua
eloquenza in indugi
raziocinativi: ma non è indegna
delle altre più note canzoni
politiche per l'ispirazione
sincera che la anima e che bene
risuona nel commiato "Lungi dai
libri nata in mezzo l'arme; -
Canzon, de'miglior quattro
ch'i'conosca - Per ogni parte
ragionando andrai...". Il poeta
umanista, entrando in Parma
accanto all'amico vincitore, è
stato preso dall'entusiasmo che
sentiva intorno a sé, dalla
gioia del popolo che aveva
ritrovato il suo principe, e ha
dato a quel sentimento una voce
che nella stanza più ispirata si
solleva al disopra delle
contingenze per esprimere
un'aspirazione perenne di tutti
gli uomini. "Libertà dolce e
desiato bene - Mal conosciuto a
chi talor no'l perde. Quanto
gradita al buon mondo esser dei!
- Da te la vita vien fiorita e
verde: - Per te stato gioioso si
mantiene - Ch'ir mi fa
somigliante agli altri dèi".
Ciò che di più serio si muove
nel suo spirito è il sentimento
dell'arte congiunto con l'amore
dell'antichità e
dell'erudizione. È in abbozzo
l'immagine anticipata dei secoli
seguenti, di cui fu l'idolo. (De
Sanctis).
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Mario
Fubini | |
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