S'AMOR NON E', QUEL DUNQUE E'
QUEL CH'IO SENTO
Riportiamo, su questo sonetto,
l'analisi di Leonard Forster e
quella di Hugo Friedrich:
- «Le due quartine contengono
una serie di domande retoriche,
ciascuna delle quali esprime un
contrasto. La formulazione è
intellettuale, raziocinante, ma
estremamente semplice. $
costruita su un modulo "se-perché"
per i primi sei versi, 1a
possibile monotonia dei quali è
però rotta dall'esclamazione,
costituita da due coppie
antitetiche paradossali "O viva
morte, o dilettoso male", che
non solo riassume in sé, con
immagini concentrate, la
situazione descritta in termini
discorsivi nei versi precedenti,
ma serve come una specie di
invocazione ad Amore in persona,
al quale il poeta rivolge
domande dirette. Il primo verso
della prima terzina conclude la
discussione raziocinante; i
versi successivi presentano
immagini di contrasto: venti
contrari, barca frate, senza
timone in alto mare, "lieve di
saver, d'error sì carca". Il
penultimo verso rompe la serie
delle immagini, prima che
anch'essa divenga monotona, con
la semplice espressione di
desideri confusi (che è però,
anch'essa, un'antitesi
implicita) e il sonetto si
conclude con due paradossi
antitetici: La prima persona era
già presente nel primo verso
("io sento"), ma questo "io" che
parla non è così
individualizzato da dover essere
solo Petrarca e nessun altro.
Generoso in questo sonetto di
antitesi e ossimori, Petrarca
non permette mai che divengano
stancanti. C'è un bell'equilibrio
fra raziocinio e immagini, e il
settimo verso, centrale nel
sonetto, esprime un grido
estatico, che lo differenzia da
tutti gli altri versi, eppure
anche tutti li riassume: "viva
morte", "dilettoso male" sono il
paradosso dell'amore
petrarchesco».
- «Il sonetto riprende le
antiche discussioni su Amore, ma
non con lo scopo di enunciare un
teoria oggettivante, bensì per
dare una rappresentazione
emotiva, del tutto limitata al
soggetto. Tema sono i paradossi
dell'amore espressi negli
ossimori secondo la formula,
altrettanto antica, del dulce
malum. Lo schema delle domande
antitetiche nella I e II strofa,
delle enunciazioni antitetiche
nella m e nella m sfiora il
manierismo, ma serve a rendere
più intenso il desiderio di
penetrare nei controsensi
dell'amore. Tutto ciò è anche
l'espressione mossa e ricca di
un moto dell'animo dove non c'è
nulla di troppo e non si può
quindi parlare di manierismo, a
differenza del sonetto CXXXIV,
tematicamente affine, ma
estremamente manieristico».