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 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL QUATTROCENTO
Luigi Pulci: Margutte

Il più plebeo dei personaggi del Morgante, gigante mancato, di membra "strane, orride e brutte", che non crede "più al nero ch'all'azzurro, - ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto - e crede alcuna volta ancor nel burro... - ma sopra tutto nel buon vino ha fede, - e crede che sia salvo chi gli crede". Così si presenta a Morgante, col quale si vanta sfrontatamente delle mariolerie commesse esponendo il suo credo, diciam così, morale. Morgante lo fa suo scudiero, ma egli s'irrita col padrone per la sua voracità, e minaccia d'abbandonarlo.
Saccheggiata un'osteria e fatta baldoria insieme, il gigante e lo scudiero si trovano in un bosco, ove si riposano; Morgante si toglie le scarpe, e s'addormenta, sazio di cibo. Dorme anche Margutte, ma quando si sveglia vede una bertuccia, che, impossessatasi delle scarpe del gigante, se le mette e toglie, continuando in quel gioco scimmiesco. Margutte l'osserva un po', poi comincia a ridere; e il riso è così irresistibile e crescente che a un certo punto ne scoppia: "E parve che gli uscissi una bombarda - tanto fu grande dello scoppio il tuono". Margutte è il completamento buffonesco di Morgante; e rappresenta l'estremo limite della corruzione plebea, pervenuta a una animalesca spregiudicatezza, in cui la frode, la bassezza e la furfanteria assumono quasi un cinico candore. Concepito con una fantasia schietta e arguta, questo antieroe è il rovescio totale dell'etica eroica del mondo cavalleresco a cui oppone non tanto la sanità degli istinti quanto la negazione di una natura beffardamente corrotta.

Giovanni Titta Rosa

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