Luigi Pulci: Margutte
Il più plebeo dei
personaggi del Morgante, gigante
mancato, di membra "strane,
orride e brutte", che non crede
"più al nero ch'all'azzurro, -
ma nel cappone, o lesso o vuogli
arrosto - e crede alcuna volta
ancor nel burro... - ma sopra
tutto nel buon vino ha fede, - e
crede che sia salvo chi gli
crede". Così si presenta a
Morgante, col quale si vanta
sfrontatamente delle mariolerie
commesse esponendo il suo credo,
diciam così, morale. Morgante lo
fa suo scudiero, ma egli
s'irrita col padrone per la sua
voracità, e minaccia
d'abbandonarlo.
Saccheggiata un'osteria e fatta
baldoria insieme, il gigante e
lo scudiero si trovano in un
bosco, ove si riposano; Morgante
si toglie le scarpe, e
s'addormenta, sazio di cibo.
Dorme anche Margutte, ma quando
si sveglia vede una bertuccia,
che, impossessatasi delle scarpe
del gigante, se le mette e
toglie, continuando in quel
gioco scimmiesco. Margutte
l'osserva un po', poi comincia a
ridere; e il riso è così
irresistibile e crescente che a
un certo punto ne scoppia: "E
parve che gli uscissi una
bombarda - tanto fu grande dello
scoppio il tuono". Margutte è il
completamento buffonesco di
Morgante; e rappresenta
l'estremo limite della
corruzione plebea, pervenuta a
una animalesca spregiudicatezza,
in cui la frode, la bassezza e
la furfanteria assumono quasi un
cinico candore. Concepito con
una fantasia schietta e arguta,
questo antieroe è il rovescio
totale dell'etica eroica del
mondo cavalleresco a cui oppone
non tanto la sanità degli
istinti quanto la negazione di
una natura beffardamente
corrotta.