IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL QUATTROCENTO: POLIZIANO
Poliziano: Orfeo

Il mito del "cantore solitario" Orfeo nei suoi diversi aspetti, ma specialmente sotto quello dell'amante desolato che discende all'Ade per ritrovarvi la sposa Euridice, ha sempre esercitato un grande fascino su artisti e poeti. Assunto nella Grecia arcaica a fondatore dei misteri da lui detti orfici e annoverato tra i poeti anteriori a Omero, nell'età classica il cantore trace diventò oggetto di trattazioni letterarie e artistiche; e si conosce il titolo di una tragedia perduta di Eschilo: Bassavrai, ispirata all'episodio dello sbranamento di Orfeo per mano delle Menadi. In epoca alessandrina la leggenda orifica si arricchì di nuovi elementi che ne accentuarono il pathos e v'inserirono il romanzesco barocco proprio al gusto del tempo; quindi essa rifluì ai poeti romani (Ovidio, Metamorfosi, lib. X; Virgilio, Culex e Georgiche, lib. IV, vv. 314-318). * Dal libro IV delle Georgiche che fonde il mito di Orfeo e di Euridice con quello di Aristeo, deriva l'Orfeo, rappresentazione scenica (in latino "fabula", da cui deriva il titolo originale dell'opera: Fabula di Orfeo), composta da Angiolo Poliziano (1454-1494), nel giugno del 1480 a Mantova, "in tempo di dui giorni, intra continui tumulti, in stilo vulgare", per certa occasione di feste della casa Gonzaga. Orfeo va all'inferno e ottiene col canto da Plutone di riavere la moglie Euridice uccisa da un morso di serpe mentre fuggiva l'innamorato pastore Aristeo; ma non avendo obbedito all'ordine di non voltarsi a mirarla prima di aver lasciato l'Ade, la riperde, e poiché pel dolore disprezza ormai ogni donna, le Baccanti lo uccidono e lo straziano. Breve dramma in parte in ottave, e dramma lo si chiama sol badando alla sua forma esteriore: in realtà l'ispirazione schietta di questo mistero profano è melodiosamente idillica, in una trama pastorale e mitologica che quasi per la prima volta, e certamente per la prima volta in forma d'arte, si sostituisce a quella sacra delle rappresentazioni tradizionali. Quel che vive in quella leggiadra operetta è la poesia senz'ombre, delicata e musicale del Poliziano ballatista e inventor di rispetti e canzonette che tengono del popolare e han tutta la maestria raffinata dell'umanista. Bello, fra l'altro, è il canto delle Baccanti, in ottonari, d'un ritmo balzante, ebbro, che porta il suo tumulto finale di danza e di grida in quel mondo di misurato palpito. La favola, che al suo autore pareva lavoro occasionale e inferiore, ebbe lunga fortuna e un rifacimento più ampio in cinque atti: pastorale, ninfale, eroico, negromantico, baccanale. Al De Sanctis parve quasi simbolo culturale di quell'età nuova: "Dopo lungo oblio nella notte della seconda barbarie, Orfeo rinasce tra le feste della nuova civiltà, inaugurando il regno dell'umanità, o, per dir meglio, dell'umanesimo".

Francesco Pastonchi

© 2009 - Luigi De Bellis