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IL QUATTROCENTO
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IL POLIZIANO
Il
Poliziano, soprannome di Angelo
Ambrogini, poeta e umanista
italiano (Montepulciano [dal cui
nome lat. Mons Politianus è
foggiato l’appellativo di
Poliziano] 1454 - Firenze 1494).
La tragica e precoce perdita del
padre, ucciso per una vendetta,
lo colpì forse profondamente,
benché egli non vi alluda mai
nell’opera letteraria. Ebbe una
natura sensibilissima e un vivo
senso della precarietà delle
cose, dal quale cercò rimedio
rifugiandosi nel mondo degli
studi e in quello della
bellezza. Venuto a Firenze
fanciullo, si impose ben presto
all’attenzione dei dotti per la
straordinaria abilità nel
maneggiare le lingue greca e
latina e la capacità di poetare,
oltre che nelle lingue antiche,
nella moderna volgare.
L’esperimento di traduzione
dell’Iliade omerica in latino
(1. II-V, in quanto il I era già
stato tradotto dal Marsuppini)
attirò su di lui l’attenzione di
Lorenzo de’ Medici, che
l’accolse nella sua casa come
segretario privato (1473) e come
precettore dei figli Piero e
Giovanni (1475), garantendogli
la sicurezza economica (il
poeta, che aveva nel frattempo
preso gli ordini sacri, ottenne
nel 1477 per mezzo di Lorenzo la
ricca prioria di San Paolo) e
consentendogli l’accesso alla
Biblioteca medicea e la
possibilità di frequentare i
circoli culturali (da una parte
il Ficino e gli ambienti
neoplatonici, dall’altra il
Landino e i filologi dello
Studio, dall’altra ancora il
Pulci e gli altri poeti in
volgare). Il periodo trascorso
in casa del Magnifico
(1473-1478) è anche quello di
più felice e brillante
produzione poetica del
Poliziano. In latino egli
compose, con gusto finissimo,
numerosi epigrammi, elegie e odi
(esemplari, per la squisita
imitazione di poeti come Ovidio,
Stazio e Claudiano, l’epicedio
per Albiera degli Albizzi [1473]
e la Sylva in scabiem, 1475). In
lingua volgare, adottata dal
poeta anche per corrispondere al
programma di rivalutazione della
poesia volgare attuato da
Lorenzo (e di cui fa fede la
Raccolta aragonese, antologia di
rime in volgare inviata da
Lorenzo a Federico d’Aragona
verso il 1476-1477, con
un’epistola dedicatoria stesa
probabilmente proprio dal
Poliziano), egli toccò il
vertice delle sue capacità
poetiche con il poemetto in
ottave le Stanze cominciate per
la giostra di Giuliano de’
Medici nel 1475 e rimaste
interrotte in seguito
all’uccisione del protagonista
nella congiura dei Pazzi (26
aprile 1478). La situazione
drammatica in cui, in seguito a
quel fatto di sangue, vennero a
trovarsi Lorenzo e il mondo
politico e culturale fiorentino,
fu causa per il Poliziano di
grave turbamento e creò nella
sua vita una profonda frattura.
Sul piano letterario la crisi si
manifestò con la composizione di
un’opera di contenuto politico,
destinata alla propaganda
medicea, il Pactianae
coniurationis commentarium
(1478), di un’opera comica di
sfogo amaro e pungente, la
raccolta di facezie Detti
piacevoli (1477-1479) e di
un’opera di meditazione severa,
dedicata a Lorenzo, la
traduzione in latino del Manuale
di Epitteto (1479). Sul piano
biografico la crisi si manifestò
in un litigio clamoroso con la
moglie di Lorenzo, Clarice
Orsini, sui metodi di educazione
dei figli, nella successiva
rottura con lo stesso Lorenzo e
nella partenza del poeta da
Firenze nel dicembre 1479. Dopo
varie peregrinazioni per
l’Italia settentrionale e
soggiorni a Mantova, dove il
Poliziano compose probabilmente
nel carnevale del 1480 l’Orfeo,
"rappresentazione" profana in
volgare, egli fu richiamato a
Firenze da Lorenzo, non più come
segretario privato e membro
della famiglia, ma come
professore di eloquenza latina e
greca nello Studio. Da allora si
dedicò quasi esclusivamente
all’attività di professore e
filologo. Riluttante ormai a
lasciare Firenze, pago di
rifugiarsi nella villetta di
Fiesole e godere dell’amicizia
del Ficino e del Pico, portato
semmai a sfogarsi in rabbiose
polemiche e litigi con i
colleghi umanisti, il Poliziano
si dedicò a un’attività erudita
intensissima, compiacendosi di
indagare le zone più inconsuete
del mondo classico o di
riscoprire, negli anni più
tardi, l’Aristotele dell’Etica
Nicomachea e dell’Organon.
Documenti dell’attività erudita
sono le lettere latine, le note
a margine dei codici, gli
zibaldoni per i corsi fiorentini
e soprattutto i Miscellanea
(1489), nei quali sono riuniti i
frutti della sua vastissima
erudizione. Dopo il 1480 la
poesia fiorisce solo come
immagine riflessa dell’attività
filologica, raggiungendo vertici
di alta raffinatezza in alcune
rievocazioni in versi latini
degli antichi poeti, le Sylvae,
fra cui Manto (1482), il
Rusticus (1483), l’Ambra(1485) e
la splendida storia della poesia
attraverso i secoli dei Nutricia
(1486). Agli anni della maturità
risalgono anche alcuni fra i più
preziosi degli epigrammi greci e
forse (attività anch’essa di
tipo riflesso, "divertimento"
filologico consistente nella
raccolta dei "fiori" della
poesia popolare) la composizione
delle Canzoni a ballo, e dei
Rispetti sia continuati sia
spicciolati.
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