|
IL REALISMO
|
|
|
|
DE AMICIS: ELOGIO DI FRANTI
Rileggendo Cuore con
spregiudicato gusto del
paradosso e soprattutto con gli
strumenti di una moderna
sensibilità sociale, Umberto Eco
definisce il libro «un manuale
di devozione umbertina» in cui
De Amicis, all'interno di
un'ottica ipocrita e
conformista, spaccia per
socialismo umanitario il suo
lacrimoso paternalismo borghese.
L'unica figura veramente
positiva del libro, per Eco,
finisce per essere proprio
quella di Franti, l'unico
personaggio che coglie
l'iniquità del mondo in cui vive
e lo contesta radicalmente
attraverso la sua risata cinica
e dissacrante. Riportiamo qui
parte dell'acuto saggio di Eco
che invita a riflettere sul
significato delle sue
considerazioni.
«Doveva esistere tra Enrico e
Franti una sorta di
incomprensione radicale per cui
se Franti un giorno avesse
raccolto un passerotto da terra
e gli avesse sminuzzato briciole
di pane, Enrico non lo avrebbe
mai detto. Logico che Franti, se
raccoglieva passerotti, li
portasse a casa per metterli in
padella, perché l'unica volta
che Enrico si tradisce e ci
mostra la madre di Franti che si
precipita in classe a implorare
perdono per il figlio punito,
affannata, "coi capelli grigi
arruffati, tutta fradicia di
neve", avvolta da uno scialle,
curva e tossicchiante, ci lascia
capire che Franti ha dietro di
sé una condizione sociale, e una
stamberga malsana, e un padre
sottoccupato, che spiegano molte
cose. Ma per Enrico tutto questo
non esiste, egli non può capire
il pudore di questo ragazzo che
di fronte all'impudicizia
feudale della madre che si
getta, davanti alla scolaresca,
ai piedi del Direttore e di
fronte all'intervento
melodrammatico di quest'ultimo
("Franti, tu uccidi tua madre!",
eh via, dove siamo?), cerca un
contegno nel sorriso, per non
soccombere nello strame: e lo
interpreta da reazionario
moralista qual è: "E quell'infame
sorrise".
Franti non ha sostrato, non si
sa come nasca e come muoia, egli
è l'incarnazione del male?
Ebbene sia, accettiamolo come
tale e come tale vediamolo.
Ciò che Franti fa è vario e
assai complesso: sale su un
banco e provoca Crossi, e fa
male, ma quando Crossi gli tira
un calamaio egli fa civetta, e
il calamaio va a colpire il
maestro che entrava. Civetta
meritoria quant'altre mai,
dunque, perché questo maestro è
lo stesso ributtante leccapiedi
che in un diverbio tra Coraci
(il calabrese) e Nobis, dà
ragione a Coraci e torto a Nobis,
ma a Nobis dà del voi mentre a
Coraci dà del tu. Dà del tu
anche a Franti, naturalmente,
perché costui non ha un padre
distinto con una gran barba
nera.
Più avanti vediamo Franti che
ride mentre passa un reggimento
di fanteria; Enrico tiene a
precisare che Franti "fece una
risata in faccia a un soldato
che zoppicava", ma non si vede
perché in una sfilata preceduta
dalla banda (come Enrico ci
dice), qualche colonnello
autolesionista avrebbe infilato
un soldato che zoppicava. Dunque
verosimilmente il soldato non
zoppicava, e Franti irrideva la
sfilata tout court: e vedete che
la cosa cambia già aspetto. Se
poi si considera che, istigati
dal direttore, i ragazzi
salutano militarmente la
bandiera, che un ufficiale li
guarda sorridendo e restituisce
il saluto con la mano e un tizio
che aveva all'occhiello il
nástrino delle campagne di
Crimea, un "ufficiale
pensionato", dice bravi ragazzi
allora ci accorgiamo che il riso
di Franti non era poi così
gratuitamente malvagio ma
assumeva un valore correttivo:
costituiva l'ultimo grido del
buon senso ferito di fronte alla
frenesia collettiva che stava
prendendo i ragazzi che già
cantavano "battendo il tempo con
le righe sugli zaini e sulle
cartelle".
È in circostanze del genere che
Franti sorride e ride: "Uno solo
poteva ridere mentre Derossi
diceva dei funerali del Re; e
Franti rise". Franti sorride di
fronte a vecchie inferme, a
operai feriti, a madri
piangenti, a maestri canuti,
Franti lancia sassi contro i
vetri della scuola serale e
cerca di picchiare Stardi che,
poverino, gli ha fatto solo la
spia. Franti, se diamo ascolto
ad Enrico, ride troppo: il suo
ghigno non è normale, il suo
sorriso cinico è stereotipo,
quasi deformante; chi ride così
certo non è contento, oppure
ride perché ha una missione.
Franti nel cosmo del Cuore
rappresenta la Negazione, ma -
strano a dirsi - la Negazione
assume i modi del Riso. Franti
ride perché è cattivo - pensa
Enrico - ma di fatto pare
cattivo perché ride. Quello che
Enrico non si domanda è se la
cattiveria di chi ride non sia
una forma di virtù, la cui
grandezza egli non può capire
poiché tutto ciò che è riso e
cattiveria in Franti altro non
è, che negazione di un mondo
dominato dal cuore, o meglio
ancora di un cuore pensato a
immagine del mondo in cui Enrico
prospera e si ingrassa».
|
|
|
| |
|
|
|
| |