IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL REALISMO

DE AMICIS: ELOGIO DI FRANTI


Rileggendo Cuore con spregiudicato gusto del paradosso e soprattutto con gli strumenti di una moderna sensibilità sociale, Umberto Eco definisce il libro «un manuale di devozione umbertina» in cui De Amicis, all'interno di un'ottica ipocrita e conformista, spaccia per socialismo umanitario il suo lacrimoso paternalismo borghese. L'unica figura veramente positiva del libro, per Eco, finisce per essere proprio quella di Franti, l'unico personaggio che coglie l'iniquità del mondo in cui vive e lo contesta radicalmente attraverso la sua risata cinica e dissacrante. Riportiamo qui parte dell'acuto saggio di Eco che invita a riflettere sul significato delle sue considerazioni.

«Doveva esistere tra Enrico e Franti una sorta di incomprensione radicale per cui se Franti un giorno avesse raccolto un passerotto da terra e gli avesse sminuzzato briciole di pane, Enrico non lo avrebbe mai detto. Logico che Franti, se raccoglieva passerotti, li portasse a casa per metterli in padella, perché l'unica volta che Enrico si tradisce e ci mostra la madre di Franti che si precipita in classe a implorare perdono per il figlio punito, affannata, "coi capelli grigi arruffati, tutta fradicia di neve", avvolta da uno scialle, curva e tossicchiante, ci lascia capire che Franti ha dietro di sé una condizione sociale, e una stamberga malsana, e un padre sottoccupato, che spiegano molte cose. Ma per Enrico tutto questo non esiste, egli non può capire il pudore di questo ragazzo che di fronte all'impudicizia feudale della madre che si getta, davanti alla scolaresca, ai piedi del Direttore e di fronte all'intervento melodrammatico di quest'ultimo ("Franti, tu uccidi tua madre!", eh via, dove siamo?), cerca un contegno nel sorriso, per non soccombere nello strame: e lo interpreta da reazionario moralista qual è: "E quell'infame sorrise".
Franti non ha sostrato, non si sa come nasca e come muoia, egli è l'incarnazione del male? Ebbene sia, accettiamolo come tale e come tale vediamolo.
Ciò che Franti fa è vario e assai complesso: sale su un banco e provoca Crossi, e fa male, ma quando Crossi gli tira un calamaio egli fa civetta, e il calamaio va a colpire il maestro che entrava. Civetta meritoria quant'altre mai, dunque, perché questo maestro è lo stesso ributtante leccapiedi che in un diverbio tra Coraci (il calabrese) e Nobis, dà ragione a Coraci e torto a Nobis, ma a Nobis dà del voi mentre a Coraci dà del tu. Dà del tu anche a Franti, naturalmente, perché costui non ha un padre distinto con una gran barba nera.
Più avanti vediamo Franti che ride mentre passa un reggimento di fanteria; Enrico tiene a precisare che Franti "fece una risata in faccia a un soldato che zoppicava", ma non si vede perché in una sfilata preceduta dalla banda (come Enrico ci dice), qualche colonnello autolesionista avrebbe infilato un soldato che zoppicava. Dunque verosimilmente il soldato non zoppicava, e Franti irrideva la sfilata tout court: e vedete che la cosa cambia già aspetto. Se poi si considera che, istigati dal direttore, i ragazzi salutano militarmente la bandiera, che un ufficiale li guarda sorridendo e restituisce il saluto con la mano e un tizio che aveva all'occhiello il nástrino delle campagne di Crimea, un "ufficiale pensionato", dice bravi ragazzi allora ci accorgiamo che il riso di Franti non era poi così gratuitamente malvagio ma assumeva un valore correttivo: costituiva l'ultimo grido del buon senso ferito di fronte alla frenesia collettiva che stava prendendo i ragazzi che già cantavano "battendo il tempo con le righe sugli zaini e sulle cartelle".
È in circostanze del genere che Franti sorride e ride: "Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re; e Franti rise". Franti sorride di fronte a vecchie inferme, a operai feriti, a madri piangenti, a maestri canuti, Franti lancia sassi contro i vetri della scuola serale e cerca di picchiare Stardi che, poverino, gli ha fatto solo la spia. Franti, se diamo ascolto ad Enrico, ride troppo: il suo ghigno non è normale, il suo sorriso cinico è stereotipo, quasi deformante; chi ride così certo non è contento, oppure ride perché ha una missione. Franti nel cosmo del Cuore rappresenta la Negazione, ma - strano a dirsi - la Negazione assume i modi del Riso. Franti ride perché è cattivo - pensa Enrico - ma di fatto pare cattivo perché ride. Quello che Enrico non si domanda è se la cattiveria di chi ride non sia una forma di virtù, la cui grandezza egli non può capire poiché tutto ciò che è riso e cattiveria in Franti altro non è, che negazione di un mondo dominato dal cuore, o meglio ancora di un cuore pensato a immagine del mondo in cui Enrico prospera e si ingrassa».

 

© 2009 - Luigi De Bellis