La vicenda
Un giovedì grasso, a Milano,
Cesarino Pianelli - fratello del
protagonista, Demetrio - sottrae
mille lire dalla cassaforte
dell'ufficio dove lavora, per
pagare un debito di gioco.
Scoperto, dopo aver cercato
inutilmente chi gli faccia
credito, mentre nelle strade
impazza il carnevale, si uccide.
Della grave situazione
finanziaria della sua famiglia
si occupa Demetrio, uomo
scontroso e riservato, anch'egli
impiegato, ma ancora legato al
mondo della campagna da cui
proviene, a differenza del
fratello, allettato dal lusso
della città. I suoi sforzi
incontrano forti ostacoli nella
cognata, la bella e sprovveduta
Beatrice, e nel padre di lei,
Isidoro Chiesa, un chiacchierone
sconclusionato a caccia di un
prestito. Demetrio trova invece
conforto nei figli di Cesarino,
i1 piccolo Naldo e soprattutto
Arabella, bambina sensibile e
assennata. Nonostante i
suggerimenti del suo
capoufficio, il cav. Balzalotti,
che lo invita a non occuparsi
della faccenda, egli riesce a
pagare ogni debito, aiutato
anche dal cugino Paolino - un
contadino sempliciotto e
benestante - che gli confida di
essersi innamorato di Beatrice.
Qualche giorno dopo, in
occasione della cresima di
Arabella, Demetrio vede
casualmente la cognata in abiti
succinti e resta profondamente
turbato. Consigliata dalla sua
amica Palmira - moglie infedele
di un piccolo industriale,
Melchisedecco Pardi - Beatrice
si reca dal cav. Balzalotti, per
chiedergli il prestito a cui
tanto tiene suo padre. Di fronte
alle profferte galanti del
cavaliere la donna reagisce
fuggendo, ma non riesce a
restituire un braccialetto che
questi le ha infilato al
braccio. Intanto Demetrio scopre
con sconcerto di essere
innamorato della cognata e si
strugge combattuto tra questo
nuovo e legittimo sentimento
verso di lei e la lealtà verso
il cugino, che nel frattempo gli
ha consegnato una lettera in cui
chiede la mano di Beatrice. Le
vicissitudini amorose del
protagonista si intrecciano,
intanto, con quelle dei coniugi
Pardi, che hanno un tragico
epilogo: Melchisedecco, scoperta
l'infedeltà della moglie, la
uccide. Dopo un lungo travaglio,
Demetrio decide di rinunciare
all'amore di Beatrice e di
consegnarle la lettera di
Paolino, ma in quell'occasione
la donna gli confessa
l'increscioso episodio di cui è
stata vittima a casa del cav.
Balzalotti, e gli chiede di
restituire il braccialetto a1
capoufficio. Ciò avviene in
orario di lavoro alla presenza
degli altri impiegati e
Demetrio, profondamente scosso,
dopo un drammatico diverbio col
cavaliere, viene cacciato.
Segue, inevitabile, il suo
trasferimento a Grosseto. Dopo
qualche tempo, senza di lui, si
svolgerà, in cascina, il
matrimonio di Beatrice e
Paolino.
Il "gusto della minestra
casalinga"
Uscito due anni rima a urtate su
«L'Italia col titolo di La bella
pigotta ("La bella bambola",
soprannome di Beatrice, «bella
di fuori, vuota di dentro»),
Demetrio Pianella fu stampato
con poche modifiche nel 1890. Il
romanzo si colloca nella
tradizione manzoniana e il suo
intento è di proporre una
lettura utile e educativa, ma
nello stesso tempo popolare e
semplice. Diametralmente opposto
al linguaggio estetizzante e
alle trame scabrose dei
dannunziani, il testo è
influenzato da una parte dalla
letteratura sentimentale, di cui
però rifiuta le sdolcinature di
maniera e l'enfasi
melodrammatica, e dall'altra dal
realismo verista, pur
allontanandosi dalla diligenza
del suo metodo, ritenuto freddo
e "notarile". La ricetta delle
proposta di De Marchi è quella
del gusto della minestra
casalinga, risultato
dell'esperto dosaggio di "buon
senso" ambrosiano, commozione e
lingua lombarda. Il primo
consiste in una saggezza
quotidiana, non pedante, intrisa
di spirito pratico e di ironia;
la seconda richiede la
partecipazione emotiva del
lettore, chiamato a
immedesimarsi nelle vicende
narrate; infine il linguaggio
sarà bonario, dimesso, lombardo
nella sua struttura sintattica,
apparentemente trascurata, e
nelle scelte lessicali, vivaci e
ammiccanti, ma spesso
volutamente logore e banali.
Sentimenti e risentimenti
di un impiegato
La condizione dell'impiegato,
tanto frequentemente
rappresentata nella letteratura
moderna, colloca questa figura
sociale in una posizione
intermedia che la rende
contraddittoria e inquieta.
Personificazione del
piccolo-borghese, diverso
dall'operaio per il tipo di
attività non manuale svolta e
per i modelli di vita più
acculturati, l'impiegato ne
condivide tuttavia la
ripetitività del lavoro, la
condizione subalterna e spesso
il reddito. Diverso per questi
motivi dalla borghesia, egli
tuttavia la invidia e la
detesta, la imita e la disprezza
come fosse un fratello più
fortunato. Non è un caso,
allora, che le storie di
Demetrio e di Cesarino, pur
essendo da tanti punti di vista
divergenti, siano entrambe
storie di impiegati. Esse,
infatti sono generate da
un'unica matrice, sviluppano in
modo antitetico lo stesso
disagio verso una società, che
nel romanzo appare in
trasformazione e in crisi.
Cesarino con le sue velleità
scimmiotta le regole di una vita
lussuosa e mondana; Demetrio con
la sua modestia e povertà cerca
invece di custodire i valori
contadini e chiede di
sperimentare sentimenti
autentici, quali la solidarietà
per la famiglia del fratello o
l'amore per Beatrice. Entrambi,
pur muovendosi in direzioni
opposte - l'uno mosso dal
desiderio dell'esteriorità e del
nuovo, l'altro dalla nostalgia
della verità e della tradizione
-, falliscono e pagano: il primo
con la vita, l'altro con la
solitudine. Cesarino e Demetrio
restano degli esclusi: non più
contadini, non ancora cittadini,
in bilico tra vecchi valori,
spenti, sfocati, impraticabili e
un mondo retto dalla falsità e
dalla prepotenza, dove neppure
una passione vera, come l'amore,
ha diritto a esistere.
Nel romanzo infatti la
maggioranza dei personaggi non
sono ciò che vogliono sembrare:
basti pensare al cav. Balzalotti
che, mascherando la sua
grettezza, ostenta qualità che
non ha. Molti cadono in questa
trappola, restano ingannati -
come Cesarino, Beatrice, Isidoro
Chiesa, Palmira - e diventano
schiavi del voler sembrare. La
regola dell'apparenza condanna
anche Demetrio. Egli, infatti, a
differenza degli altri che non
sono ciò che sembrano, non
sembra ciò che è, dal momento
che i vistosi limiti che ostenta
(è rozzo, impacciato, ingenuo,
perfino balbuziente) celano
virtù nascoste, di cui però
nessuno si accorge, se si
esclude la piccola Arabella, a
cui la vita, non a caso,
preserverà un destino non
dissimile da quello dello zio.
Il bisogno inappagato di verità,
la denuncia della menzogna
imperante sfociano nel romanzo
in un insoddisfatto bisogno di
giustizia. Infatti, nella Milano
di Demetrio le apparenze non
solo inquinano i rapporti
sociali, ma ricevono il premio
del successo e del potere: gli
onori vanno all'indegno, ancora
una volta impersonato da
Balzalotti o dal ricco e
meschino Paolino. Ecco allora
che la vicenda dell'impiegato
Demetrio non esprime solo la
delusione per i valori perduti:
in essa l'appello ai sentimenti
porta con sé i risentimenti di
un ceto sociale frustrato, la
sfiducia verso superiori
inattendibili, il rancore verso
un'autorità immeritata.
La sconfitta come scelta
strategica
Nel romanzo, l'amarezza per la
fiducia mal riposta e tradita da
chi detiene il potere non si
concretizza in un'accusa aperta
e politica, né nella proposta di
valori alternativi (quali
potrebbero essere la fede
positivistica nella scienza o
quella socialista nella nascente
classe operaia). La polemica
assume invece le vie indirette
della commozione patetica, di un
percorso cioè che, pur
indignandosi con l'ordine
costituito, si identifica con i
suoi principi. Escludendo
l'invito a seguire altri valori
e di fronte all'impossibilità di
una difesa ormai inefficace e
inflazionata dei vecchi (come
erano soliti fare il romanzo
sentimentale e melodrammatico
dell'epoca), nel Demetrio
Pianelli l'autore sceglie di
rappresentare il loro
fallimento, di descrivere lo
squallore di un mondo privo di
verità. Per scuotere il pubblico
dalla sua assuefazione da una
parte a una società priva di
ideali e dall'altra al loro
reiterato quanto vacuo elogio,
gli si mostrano gli effetti
della loro scomparsa. In questo
modo, invitando il lettore a
commuoversi di fronte a
Demetrio, a immedesimarsi in un
personaggio disarmato e
umiliato, lo si colpevolizza;
invece che suscitare le sue
speranze, si fa leva sul
rimpianto per un mondo perduto.
Questa strategia si dimostra
essere anche un utile espediente
per screditare i persecutori
diretti e indiretti del
protagonista (il cav. Balzalotti
e Paolino) e ciò che essi
rappresentano (il potere e il
denaro). Infatti, attraverso la
messa in scena della sua
sofferenza, Demetrio lancia loro
un'implacabile accusa:
offrendosi vittima di personaggi
indegni (esponendosi
pubblicamente all'ira del
capoufficio e rinunciando a
Beatrice a favore di Paolino)
egli ottiene un beffardo
capovolgimento dei ruoli. Non
vinta, ma perdente per sua
scelta, qui è la vittima a
condurre il gioco: scegliendo di
perdere, anzi, ostentando la sua
sconfitta, egli costringe i suoi
oppressori a recitare una parte
indifendibile.