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IL REALISMO
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LA RAPPRESENTAZIONE DELLA
REALTA'
Il
«verismo»
Le opere principali di Verga si
collocano negli anni
Settanta-Ottanta: l'epoca che
immediatamente precede il
«decollo» industriale italiano,
e in cui iniziano a delinearsi i
limiti politici e strutturali
del nuovo Stato. Si verificano
tra gli intellettuali una
notevole disparità di opinioni e
un generale disorientamento nei
confronti della nuova realtà
politica. La figura
caratteristica dell'epoca
preunitaria, quella
dell'intellettuale-patriota,
agitatore e diffusore di idee,
risulta ormai improponibile; la
relativa coesione di intenti che
aveva caratterizzato il
Risorgimento appare spezzata;
restano però evidenti alcune
situazioni di squilibrio: la
disparità tra Nord e Sud, la
separatezza tra il popolo e la
classe politica, la presenza di
vistose ingiustizie sociali.
È in questo clima e su questi
temi che Verga matura la propria
poetica, e precisa la propria
immagine di letterato. Negli
anni della formazione catanese
(1857-65) egli è ancora uno
scrittore « risorgimentale »:
scrive romanzi storici e
patriottici, svolge attività
giornalística su temi di
letteratura e di politica. Dalla
fine degli anni Sessanta, il
lavoro e la riflessione di Verga
si rivolgono soprattutto alla
sperimentazione letteraria: a
Firenze (tra il 1865 e il 1872),
egli inizia a frequentare i
salotti letterari ed entra in
contatto con gli esponenti della
«letteratura rusticana»; a
Milano l'incontro con la
scapigliatura milanese determina
un mutamento di prospettiva che
troviamo documentato nella
Prefazione al romanzo Eva
(1873). È già presente il nucleo
costitutivo del «verismo» -
l'idea dell'arte come
raffigurazione dísincantata e
non consolatoria della realtà -,
ma il tono è quello
antiborghese, partecipato e
ribelle, tipico della
scapigliatura, che il Verga più
maturo abbandonerà.
Il passo successivo è la
precisazione ormai compiuta
della poetica dell'autore, che
non subirà decisive variazioni
negli anni a venire. Vi
intervengono le tematiche del
positivismo (già proprie di
alcuni suoi maestri catanesi);
il «popolarismo» tipico della
cultura italiana dell'Ottocento;
il realismo o naturalismo
francese (cui lo stesso Capuana
aveva aderito entusiasticamente
nel 1877 ). Verga annuncia il
proprio progetto di poetica in
una lettera all'amico Salvatore
Paola Verdura, e ne fornisce
un'ampia e argomentata
esposizione in alcune pagine
significative della raccolta
Vita dei campi. Si leggano in
particolare Fantasticheria
(primo nucleo narrativo dei
Malavoglia) e la Prefazione a
L'amante di Gramigna. In
entrambi i testi compaiono i due
aspetti principali del «verismo»
- sul piano tecnico,
l'impersonalità della
narrazione; una piena
identificazione con i fatti fa
sì che lo scrittore « scompaia »
nel narrato, che l'opera - è un
aspetto su cui insiste Capuana
nella sua recensione a Vita dei
campi - non conservi alcuna
traccia «della mente in cui
germogliò»;
- sul piano ideologico, la
visione pessimistica dei
rapporti sociali (la «lotta per
la vita» è un dato ineliminabile
dell'esistenza; il conflitto si
riproduce in ogni classe
sociale), e la decisione di
rappresentare pur senza
l'ambizione di risolverle - le
disgrazie dei «vinti».
Nel quadro di queste due
tendenze si può leggere tutta
l'opera di Verga: da Rosso
Malpelo (una famosa novella di
Vita dei campi) ai Malavoglia,
da Mastro-don Gesualdo alle
novelle di ambiente milanese,
tenendo conto che il fatalismo e
il pessimismo caratteristici
dell'autore acquistano
progressivamente toni più cupi,
e che l'entusiasmo sperimentale
delle prime opere (in cui il
disincanto e quasi la «
cattiveria » rappresentativa
erano ancora effetto di un
tentativo d'avanguardia connesso
al trionfo del positivismo)
dilegua sin dal Mastro-don
Gesualdo, che compare in un
panorama culturale già molto
diverso, segnato dalle nuove
tendenze idealistiche e
decadenti (l'anno di
pubblicazione, il 1889, è lo
stesso del Piacere di
D'Annunzio).
I Malavoglia
Il progetto veristico annunciato
nella lettera a S. Paola Verdura
trova esemplare espressione nei
Malavoglia. La chiarezza e la
radicalità dei propositi
dell'autore (che egli espone
nuovamente nella Prefazione), e
il rigore del suo metodo
realizzativo (si legga la
lettera a Capuana scritta subito
dopo la pubblicazione) spiegano
in parte lo scarso successo
ottenuto inizialmente dal
romanzo: come ha osservato R.
Luperini, Verga intendeva essere
soprattutto uno «scienziato», un
«tecnico» della letteratura; ne
derivava «una novità
sconvolgente nell'impianto del
racconto» , ma anche «una
notevole difficoltà di lettura».
Lo studio della vicenda e la
lettura di alcuni passi
esemplificativi possono dare
l'idea delle molte novità sul
piano linguistico, strutturale,
formale, implicate nella
rappresentazione della realtà
proposta da Verga: l'immissione
diretta del lettore nel mondo di
Aci Trezza, senza alcuna
preoccupazione illustrativa (il
«realismo» manzoniano prevedeva,
al contrario, ampie concezioni
all'ambientamento graduale del
lettore nell'epoca e nel clima
del romanzo); l'adozione
completa del linguaggio, delle
opinioni, della cultura, propri
ai suoi personaggi;
l'inserimento di un vasto
materiale antropologico,
raccolto con preciso impegno «positivistico»
, e con reali preoccupazioni di
correttezza storica e
scientifica. Ma le novità più
rilevanti riguardano la
posizione assunta dal narratore
nella tecnica di Verga. Abbiamo
accennato che la prospettiva
«veristica» implicava un
«dileguamento» del soggetto a
vantaggio dell'oggettività del
narrato; ma qui il soggetto
scompare in una forma del tutto
peculiare. L'analisi dei
Malavoglia compiuta da Leo
Spitzer ha mostrato come
l'apparenza di erlebte Rede
(«discorso rivissuto», o
discorso indiretto libero), che
guida l'intero sviluppo della
narrazione sia sistematicamente
filtrata in Verga da «un coro di
parlanti popolari». Questo
soggetto corale, collettivo, da
identificarsi idealmente in un
«pensiero popolare permanente» ,
inaugura nuove possibilità e
nuovi usi del realismo, non più
semplicemente riducibili
all'intenzione di neutralítà
descrittiva o fotografica
implicata nel suo nucleo teorico
originario. Di qui le molte
discussioni interpretative sul
«verismo» verghiano (come esempi
dei punti di vista possibili
nell'analisi del rapporto tra il
soggetto narrante e la realtà
rappresentata nei Malavoglia
proponiamo le osservazioni di G.
Baldi e di R. Luperini).
Ciò che abbiamo indicato come
secondo tratto rilevante della
poetica di Verga (l'interesse
per i «vinti», la visione
pessimistica del conflitto
sociale) introduce un altro tipo
di analisi, e pone in causa i
limiti e le modalità
dell'«anticapitalismo» o del
«populismo» dell'autore. Le
opinioni sono divergenti: il
punto di vista di L. Russo
(Verga «poeta della povera gent»)
è stato messo in discussione da
A. Asor Rosa, il quale ha
rilevato l'estraneità dello
scrittore a qualsiasi ideologia
di tipo progressivo, e ha messo
in luce come nelle pagine dei
Malavoglia la lotta sociale sia
vista in chiave metafisica più
che politica. Altri, come V.
Masiello (che però si riferisce
soprattutto all'ultimo Verga),
hanno interpretato
l'anticapitalismo dell'autore
come espressione di una
mentalità ancora agrario-feudale,
tipica della classe di «
gentiluomini di campagna» cui
Verga apparteneva.
L'insistenza della critica sugli
aspetti stilistici e ideologici
del verismo nei Malavoglia non
deve però far dimenticare la
forte componente
lirico-simbolica che pervade il
romanzo e che si esprime
soprattutto quando Verga
descrive le situazioni di
impotenza e di tristezza, o
quando tratta il tema a lui caro
dell'esclusione sociale. Si può
leggere a titolo esemplificativo
l'ultima pagina del romanzo,
dove la disperazione di Ntoni
nell'abbandonare il paese è
ritratta con toni di misurata ma
intensa poesia, e dove il
personaggio secondo la
suggestiva interpretazione di G.
Debenedetti - subisce una sorta
di trasfigurazione simbolica,
assume cioè i tratti mitici
dell'esiliato, del «senza
terra».
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