IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL REALISMO

MORTE DI MASTRO DON GESUALDO


Il protagonista di Mastro-don Gesualdo, il secondo romanzo verista di Verga, è un uomo del popolo che per tutta la vita lavora per ammassare «roba», cioè terre, denari e ricchezze. Gesualdo non è propriamente un uomo avido e avaro: ciò che lo spinge non è sete di ricchezza ma semplicemente una confusa volontà di riscatto e di affermazione. Naturalmente, per conseguire il suo scopo, che ben presto è diventato per lui una ragione di vita, Gesualdo non solo non si risparmia fatiche e rinunce, ma sacrifica ad esso tutti gli affetti più cari e strappa le sue radici dal mondo dei suoi simili senza riuscire a entrare nel mondo dei ricchi. Così egli, umile «mastro» plebeo, anche se ricco e temuto, tenta bensì di diventare «don» e di inserirsi tra i galantuomini, ma finisce per trovarsi solo, abbandonato dai suoi simili e respinto dagli altri. Di fatto, per elevarsi socialmente, ha sposato una nobile decaduta, Bianca Trao, che gli ha dato una figlia, ma tanto l'una quanto l'altra gli resteranno sempre estranee e lontane: anzi, la figlia, una debole creatura, non solo lo disprezzerà per le sue umili origini, ma sposerà un uomo che, con le sue spese pazze, dissiperà tutte le ricchezze che egli ha accumulato. Perciò, da ultimo, mastro-don Gesualdo assiste al crollo completo delle sue aspirazioni e della sua vita e risulta "un vinto", sconfitto da una legge più forte di lui che non consente a nessuno di essere diverso da quello che è.
Verga descrive l'ultimo atto della vicenda umana del suo personaggio. Mastro-don Gesualdo, stanco e malato, è ospite nel palazzo cittadino della figlia e del genero. Disperatamente, ormai consapevoli di essere vicino alla fine, cerca di risvegliare nella figlia l'amore per «Ia roba» nel tentativo di salvare, insieme alle sue ricchezze, il senso stesso della sua vita. Ma tutto è inutile. La figlia non può capirlo ed egli si trova veramente e definitivamente solo. E solo, abbandonato da tutti, morirà fra l'indifferenza e, peggio, il disprezzo della servitù del palazzo. La conclusione del romanzo è, quindi, quanto mai cupa e pessimistica: se la sconfitta su cui si chiudeva il primo romanzo, I Malavoglia, lasciava aperta la speranza e la fiducia nell'esistenza di un valore positivo come quello del focolare domestico in cui chi era rimasto fedele alla religione della casa poteva trovare rifugio e conforto, la chiusa del secondo romanzo verghiano non ammette né salvezza né riscatto: mastro-don Gesualdo finisce nel nulla come la sua "roba".
Dal punto di vista stilistico-espressivo, Mastro-don Gesualdo segna una fase nuova e diversa rispetto a I Malavoglia e anche alle novelle. Verga non rinuncia certo al suo ruolo di narratore "oggettivo", fedele come è, anche in questo caso, alla poetica del Verismo, ma diversamente che ne I Malavoglia costruisce con maggior attenzione alle esigenze della trama e dell'intreccio della vicenda, di modo che il romanzo guadagna in termini di rigore e di coerenza narrativa, ma, inevitabilmente, perde in efficacia rappresentativa e in suggestione poetica. Anche dal punto di vista linguistico, Mastro-don Gesualdo è diverso da I Malavoglia: l'andamento popolare, ritmato da squarci lirici, scandito da massime proverbiali e costellato di interventi indiretti e liberi delle voci dei vari personaggi, con le loro espressioni gergali, vivaci, realistiche e immediate, lascia qui il posto a una scrittura più elaborata, non priva di modi espressivi e di forme linguistiche arieggianti il dialetto, ma meno intensa e meno espressiva.

 

© 2009 - Luigi De Bellis