IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL REALISMO

IL TEMA DELLA PARTENZA


La partenza è il tema di tutti i romanzi di Giovanni Verga successivi alla trilogia patriottica e precedenti I Malavoglia: ad eccezione di Storia di una capinera, a meno che non si dia un significato abusivamente metaforico al tema della partenza. Ma è soprattutto in Una Peccatrice e in Eva che quel tema diventa romanzescamente costitutivo: la partenza, ovvero il distacco costituisce l'evento traumatico di cui il protagonista prende dolorosamente coscienza e rispetto al quale il ritorno non può più fungere da atto riparatore, ché anzi conferma lo scacco. Nei Malavoglia, però, il tema del distacco è più strettamente vincolato ai valori simbolici che collegano il romanzo della «lotta pei bisogni materiali» alla «fantasmagoria» dei Vinti, anzi a quel mito dei primitivi di Aci Trezza che è diventato poi lo slogan della più corrente critica verghiana: la «religione della famiglia». In questa dimensione mitica del gruppo o nucleo familiare il distacco è un evento più ritualmente sofferto, in quanto esso corrisponde nei valori della comunità alla morte. Proprio nel capitolo undicesimo una serie di incisi dialogici (i richiami di Nunziata alla partenza senza ritorno del padre, l'evocazione ricorrente di compare Alfio, per ricordare intanto i più insistenti) stanno lì a testimoniare in modo incontestabile che il nesso distacco-morte è un dato che incombe su tutti i membri della comunità. La partenza di 'Ntoni non è soltanto un danno per la famiglia in quanto egli è il primogenito della terza generazione dei Toscano, il braccio forte cui è delegata dopo la morte del padre, la tutela o comunque la sopravvivenza della famiglia. È un distacco più fortemente traumatico perché gli altri lo sentono carico dell'angoscia per un destino di morte.
Anche a questo serve la più vistosa digressione del capitolo: la fiaba magica narrata dalla cugina Anna del «figlio di un re di corona, bello come il sole» condotto dalle fate alla fontana dove, sceso dal suo cavallo bianco, berrà nel ditale lasciato cadere dalla figlia Mara, s'innamorerà di lei e arrivato a Trezza dopo un altro anno, un mese e un giorno di cammino, prenderà Mara al lavatoio in cui la ragazza «starà sciorinando il bucato; e il figlio del re la sposerà e le metterà in dito l'anello; e poi la farà montare in groppa al cavallo bianco, e se la porterà nel suo regno». La fiaba è ascoltata «a bocca aperta». Ma lo stupendo miraggio della misera popolana presa in sposa dal figlio del re è sentito dagli astanti con apprensione. «E dove se la porterà?, domandò poi la Lia. Lontano lontano, nel suo paese di là dal mare; d'onde non si torna più». Anche la madre, dunque, che vagheggia quel miraggio sa che la figlia-regina sarebbe poi colei che non torna, ed è Lia (colei che infatti non tornerà) a porre quella domanda e a ricevere ancora bambina l'avvertimento del destino. Nel gioco delle rispondenze tutto questo è calcolato. Lia che come 'Ntoni interpreta il desiderio, a lei non ancora rivelato, del nuovo, dell'ignoto, interroga quel destino, mentre Nunziata, l'altra bambina del crocchio, che rappresenterà con Alessi la stabilità e la durata, commenta gravemente la risposta della cugina Anna: «Come compar Alfio Mosca, disse la Nunziata. Io non vorrei andarci col figlio del re, se non dovessi tornare più».

 

© 2009 - Luigi De Bellis