|
IL SEICENTO
 |
 |
 |
 |
Caratteri generali
In seguito
al Trattato di Cateau-Cambrésis
(1554) tutti gli Stati italiani
furono costretti a subire una
diretta o indiretta sudditanza
alla Spagna: il Regno di Napoli,
la Sicilia e la Sardegna
divennero dominio del Re di
Spagna, sotto la cui
giurisdizione erano anche la
Toscana e l'ex-ducato ci Milano.
Gli altri Stati non erano in
condizioni tali da potersi
sottrarre all'influenza della
politica spagnola. Solo Venezia
riuscì a tutelare la propria
autonomia.
Questo stato di cose perdurò per
tutto il Seicento, durante il
quale l'intera penisola italiana
perse ogni prestigio politico in
campo europeo e soffrì in
maniera più accentuata che
altrove la crisi economica e
demografica che colpì quasi
tutta l'Europa. L'avvio del
nuovo processo produttivo a
carattere industriale che si
verificò in Inghilterra e in
Olanda determinò inoltre il
crollo delle imprese artigiane
su cui si fondava in gran parte
l'economia italiana. Si diffuse
pertanto la tendenza ad
investire i capitali nelle
proprietà terriere e questo
provocò il ricostituirsi di
grossi latifondi, quasi
interamente nelle mani di una
aristocrazia che badava
piuttosto ad emulare il lusso
della corte spagnola che ad
incrementare razionalmente la
produzione agricola. Ne derivò
quel quadro sociale così ben
descritto dal Manzoni nei
"Promessi Sposi": da una parte i
nobili prepotenti e arroganti
che sperperavano le scarse
risorse economiche disponibili
nella penìsola; dall'altra la
gran massa di popolani affamati
ed angariati. Le guerre, la
peste e le ricorrenti carestie
completarono il quadro di
miseria generale. A ciò si
aggiunga l'ingerenza sempre più
massiccia della gerarchia
ecclesiastica che, in cambio di
lauti benefici, garantiva al
potere civile la tutela della
moralità pubblica (con mano
assai severa soltanto nei
confronti degli umili).
Evidente che in un momento
storico così depresso
politicamente, socialmente ed
economicamente, facesse
riscontro une generale
fiacchezza morale, che è clima
poco adatto alle Muse. Perciò
l'arte in Italia segnò un
decadimento, tanto più
appariscente se si considera
quello che erano riusciti a fare
gli artisti del secolo
precedente. Le arti figurative e
la poesia del Seicento furono
giudicati aspramente nei secoli
successivi e nell'Ottocento i
critici letterari estesero anche
alla poesia il termine
dispregiativo di "barocco" con
cui già era stata bollata l'arte
figurativa.
Gli storici moderni, però, non
condividono questo giudizio
negativo. Essi, pur riconoscendo
che il Seicento non ha dato
all'Italia, nel campo della
poesia, opere pregevoli,
spiegano il fenomeno più
semplicemente con la fortuita
assenza in quell'epoca di un
"genio poetico" (in altre
parole, se nel Seicento fosse
vissuto un Dante Alighieri,
anche il nostro barocco avrebbe
avuto il suo capolavoro
poetico), e rivendicano invece
proprio al Seicento
l'affermazione di alcuni
principi essenziali per il
rinnovamento dell'arte, quali
l'affermazione della superiorità
dei moderni sugli antichi, il
ripudio delle regole retoriche e
la proclamazione della libertà
dell'artista, una più convinta
disponibilità e partecipazione
della sensibilità degli artisti
ai problemi ed ai progressi
della scienza.
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |