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IL SETTECENTO
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Carlo Goldoni: sulla gelosia di
Eugenia
Sulla
gelosia di Eugenia scrive M.
Baratto:
Eugenia è però condizionata in
modo più preciso: non è solo
contaminata dalle fantasticherie
dello zio, è anche complessata
dalla propria povertà, che la
ricchezza di Fulgenzio rende più
pesante, costringendola a vedere
nel matrimonio un affare. È anzi
questa la prima cosa che
Flamminia le ricorda
brutalmente, in apertura di
scena: «Considerate che voi
avete pochissima dote...»; e
poi: «Il signor Fulgenzio che vi
ama tanto, e che ha detto di
volervi sposare, è l'unico forse
che possa fare la vostra
fortuna. Ma voi, sorella cara,
lo perderete; lo perderete
senz'altro...» (1, 1). Ed
Eugenia moltiplica infatti i
rischi di perderlo proprio
perché si sente, inconsciamente
o no, comprata da Fulgenzio, e
rifiuta di esserne considerata
la proprietà [...]. Eugenia
cerca perciò di reagire al
proprio stato effettivo di merce
cercando di sostituire alla
realtà economica una diversa
realtà di ordine affettivo:
ponendosi anzi come un valore
assoluto, che le assicuri non
solo un'equivalenza ma fin una
superiorità rispetto
all'agiatezza di Fulgenzio.
Investendo sino al limite, per
usare un termine economico, nel
campo dei sentimenti, essa tende
così a capovolgere i ruoli,
presentandosi come la vera
signora del rapporto, la donna
ambita nonostante la «maniera
aspra, litigiosa, indiscreta»
(osserva la sorella), la
dominatrice che sceglie il
terreno e le modalità degli
incontri: e anche questo fin
dall'inizio: « Ed io scommetto
che non passano due ore, che
Fulgenzio è qui, e mi prega; e
se voglio, mi domanda anche
perdono» (1, 1). Il gioco di
surenchère (al rialzo) di
Eugenia, le sue piccole
scommesse quotidianamente
ripetute, mirano a trasformare
Fulgenzio in oggetto, ad
alienarlo, a renderlo
perpetuamente vicino e
sottomesso: « lo vorrebbe sempre
qui, lo vorrebbe sempre con
lei», osserva Lisetta (111, 1).
Le soste di Fulgenzio nella casa
di Fabrizio sono infatti anche
il simbolo della sovranità che
Eugenia intende attribuirsi,
grazie alla quale può sostituire
al peso brutale del denaro la
magia dell'amore, alla «carità»
che secondo la sorella dovrebbe
usare «per giustizia e per
gratitudine» a Fulgenzio (1, 1)
l'affermazione della
colpevolezza vera o presunta di
quest'ultimo: colpevolezza che è
pronta a teorizzare con una
punta di vago femminismo: «Con
questi uomini non bisogna poi
esser tanto corrive; e non è
sempre ben fatto far loro
conoscere che si amano tanto»
(1, 2). Reazioni che nascono da
un bisogno di rivalsa sociale,
ed esprimono, in modo subito
teatrale, un complesso di
inferiorità sul piano economico.
Sul
personaggio di Eugenia scrive
Ludovico Zorzi:
Mala descrizione del carattere
di Eugenia, la ragazza isterica
in cui l'ostinazione e il
dispetto vincono l'amore, è
dettata da uno spirito
inequivocabilmente misogino.
Anche in questa figura che,
ripetiamo, rappresenta
l'elemento traente della
commedia -, come in altre
consorelle goldoniane, emerge
l'aspetto negativo del
carattere, fatto di puntiglio e
di calcolo; e dietro la cortina
delle smancerie e degli
svenimenti l'autenticità degli
affetti rimane latente. La sua
non è la coquetterie di
Mirandolina, che ha il pregio di
inventare e di imporre una
commedia dei sentimenti, dalla
quale, alla fine, essa stessa
giudiziosamente desiste e si
ritrae. La gelosia di Eugenia è
giuoco a una dimensione, fine a
se stesso, che postula la
commedia dell'attenzione altrui:
la gelosia, prodotto
dell'incertezza e della
reticenza, si nutre dello
spettacolo di sé, in cui trova
il proprio immediato supporto,
ha bisogno, per alimentarsi, di
un certa platealità recitativa:
quando questa viene a mancare,
le "ragioni" del personaggio
cessano, e con esse la sua
consistenza.
Gran parte del teatro goldoniano,
in sintonia con una costante
della cultura del Settecento
(che è il secolo
dell'intraprendenza femminile,
specialmente a Venezia, dove il
fenomeno si accompagna al
tramonto della Repubblica), è
percorso da una sotterranea ma
non per questo meno avvertibile
corrente misogina; e il
carattere di Eugenia,
rappresenta, della tendenziale
misoginia dell'autore, uno dei
vertici più sottili e più
caustici. La svolta che nelle
ultime scene recupera Eugenia al
sentimento (per la coscienza di
essersi spinta, con l'incauta
promessa alla sconosciuto Conte
d'Otricoli, oltre la soglia del
rischio ragionato), intacca
anche sotto il profilo
dell'arte, la coerenza del
personaggio e non convince a
proposito della sua sincerità.
Si tratta, come spesso accade in
questo teatro, di una
conclusione provvisoria, di una
sospensiva concessa alla
convenzionalità del lieto-fine.
Come i rusteghi, il giorno dopo
le nozze dei novizi,
riprenderanno a tormentare le
loro donne e i loro figli come
se nulla fosse stato, così
Eugenia, che dei rusteghi
condivide il carattere e il
comportamento, ricomincerà,
«subito che il signor Fulgenzio
l'avrà sposata», a tormentare il
consorte con la sua ridicola
gelosia, che è l'equivalente
caratteriale di una deficienza
che ha lontane radici nella
cultura degli italiani .
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