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IL SETTECENTO
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Pietro Metastasio
Nome
grecizzato di Pietro TRAPASSI,
poeta italiano (Roma 1698 -
Vienna 1782). Figlio di un
modesto negoziante, Felice
Trapassi, e di Francesca
Galastri, ancor fanciullo
suscitò per la vivacità
dell’ingegno e la facile vena
estemporanea l’interesse del
Gravina, che lo accolse nella
sua casa (1708) e poi lo adottò,
lasciandolo alla morte erede
della sua biblioteca e del suo
patrimonio (1718). Fu educato
dal maestro a una severa
disciplina di studi umanistici,
e dal filosofo e pedagogista
cartesiano Gregorio Caloprese al
gusto della sottile indagine
psicologica. Nel 1714 prese gli
ordini minori, nel 1718 entrò in
Arcadia col nome di ARTINO
CORASIO e nel 1719 si trasferì
da Roma a Napoli per dedicarsi
all’attività forense, che presto
abbandonò. Aveva già pubblicato
i primi componimenti, di
ispirazione graviniana (i
capitoli in terza rima La morte
di Catone, L’origine delle
leggi, La strada della gloria, e
una macchinosa tragedia, Il
Giustino, ispirata al poema del
Trissino L’Italia liberata dai
Goti); a Napoli compose
epitalami e azioni teatrali a
sfondo idillico-mitologico (Endimione,
1720; Gli Orti Esperidi, 1721;
Angelica, 1721; Galatea, 1722),
in cui si colgono echi della
fluente musicalità tassesca e
marinista. Protetto dalla
cantante Marianna Benti
Bulgarelli, detta la Romanina,
che lo presentò a compositori
come A. Scarlatti e Porpora (dal
quale fu istruito nella musica),
scrisse per lei Didone
abbandonata(1724), primo esempio
di melodramma in cui il testo
acquista dignità poetica e
autonomia creativa nei confronti
della musica, mentre la
situazione drammatica, fondata
sul contrasto tra dovere e
passione, si stempera in un tono
amabile di commedia, culminante
nella melodiosa sentenziosità
delle ariette. Fu un grande
successo. Seguirono, più
organici nella struttura, ma
gravati da un’insistenza su toni
eroici e solenni cui l’autore
era condotto dall’emulazione col
teatro francese, i melodrammi
Siroe (1726), Catone in Utica
(1728), Ezio (1728), Semiramide
riconosciuta (1729), Alessandro
nelle Indie (1729), Artaserse
(1730). Nell’agosto 1729, per
interessamento di Marianna
Pignatelli, contessa d’Althann,
cui Metastasio fu legato da
tenera amicizia, venne chiamato
come poeta cesareo alla corte di
Vienna, in sostituzione di
Apostolo Zeno. Ligio al governo
paternalistico di Carlo VI, in
cui vedeva incarnate le proprie
aspirazioni all’ordine e a una
moderata libertà, visse un
periodo di intenso fervore
creativo. Dal 1730 al 1740
compose le sue opere migliori,
animate da una tenue, ma
autentica vena di poesia: quel
patetismo tenero e commosso che
ignora i conflitti aspri delle
passioni, ma finemente ne
sottolinea gli aspetti più
trepidi e delicati (Demetrio,
1731; Adriano in Siria, 1732;
L’asilo d’amore, 1732;
Olimpiade, Demofoonte, 1733; La
clemenza di Tito, 1734; Achille
in Sciro, 1736; Attilio Regolo,
composto nel 1740 e
rappresentato nel 1750). Il
periodo che seguì fu di declino:
stanchezza, sfiducia nelle
proprie facoltà poetiche,
rifiuto degli sviluppi più
audaci dell’Illuminismo (non
accettò di collaborare
all’Enciclopedia), isolamento
diffidente e malinconico. Unico
conforto, l’affetto filiale
della sua terza Marianna, la
Martinez, figlia del cerimoniere
della nunziatura pontificia,
presso il quale Metastasio
alloggiò durante tutto il
periodo della sua residenza
viennese. In quegli anni, oltre
a non pochi mediocri melodrammi
(Il re pastore, 1751; L’eroe
cinese, 1752; Ruggiero, ovvero
l’eroica gratitudine, 1771)
scrisse cantate, feste teatrali
e le canzonette La palinodia
(1746) e La partenza (1746),
assai ammirate, insieme con la
Libertà, di precedente stesura
(1733), per il nitido disegno
psicologico e la grazia
cantabile del verso. Compose
inoltre alcune opere teoriche
(La poetica d’Orazio tradotta e
commentata, 1749, poi ripresa
dal 1768 al 1773; Estratto
dell’arte poetica d’Aristotile e
considerazione sulla medesima,
1773, pubblicata nel 1780-1782;
Osservazioni sul teatro greco),
intese a giustificare, secondo i
canoni della poetica
arcadico-razionalistica, la
novità del suo melodramma,
riscattato dalle stravaganze del
gusto barocco e ricondotto, in
ossequio alle proposte
programmatiche già formulate dal
Gravina e dallo Zeno, al modello
dell’antica tragedia greca
musicata e cantata (le ariette
sarebbero il corrispondente dei
cori), ma senza eccesso di
crudezze e con limitato rispetto
delle "unità". In effetti, egli
mirò a fare del melodramma una
rappresentazione che unisse alla
nobiltà e alla moralità del
soggetto l’attrattiva di uno
spettacolo fastoso e leggiadro.
Con la sua copiosa produzione
(ventisette melodrammi, otto
azioni sacre, circa quaranta tra
azioni e feste teatrali, oltre
agli innumerevoli madrigali,
idilli, canzonette, poesie
sacre), Metastasio riuscì
amabile interprete del mondo
settecentesco nelle sue esigenze
di decoro, nella sua nostalgia
del grandioso, nella sua
sensibilità idillica e
sospirosa, cui prestò un
linguaggio lucido e scarno,
aperto alle sottolineature del
canto. La diagnosi sottile dei
sentimenti, l’indugio sulle
perplessità dello spirito,
un’emotività talora intensa ma
sempre nitidamente espressa e
determinata furono le qualità
della sua poesia, in cui confluì
tutta l’esperienza melodica e
psicologica dell’Arcadia. Essa
apparve molle negli affetti e
povera d’ideali agli uomini di
un’età nuova, ricchi di più
vigoroso sentire, ma conservò
inalterato il suo valore di alta
letteratura, e l’esempio di un
discorso poetico semplice e
perspicuo, destinato a lasciare
una sua traccia anche nella
formazione di artisti assai più
intensamente ispirati.
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