IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Parini: Dialogo sopra la nobiltà


 

Nel Dialogo sopra la nobiltà il Parini mette a confronto due diverse logiche: quella del pregiudizio sociale e quella dello spirito critico illuministico. Il personaggio del poeta plebeo incarna l'ideale dell'intellettuale illuminato che può farsi guida di un rinnovamento sociale e culturale; quello dell'aristocratico in sostanza rappresenta il soggetto sociale cui si indirizza il riformismo illuminato.
Le argomentazioni del nobile a sostegno della propria presunta superiorità sono: la diversa nascita, la purezza del sangue, l'antichità della stirpe. II poeta le confuta rapidamente e ironicamente: tutti dal punto di vista biologico nasciamo nello stesso modo (a questo tema il Parini, nel 1759, dedicherà un sonetto, il CXXIII, che, descritta la gestazione e la nascita, termina con il verso «Così nasce il villano, il papa e il re»); la presunta purezza del sangue non genera virtù, visto che molti nobili sono viziosi (ironicamente il poeta, per spiegare ciò, ipotizza una commistione di sangue plebeo e nobile, alludendo ai molti figli illegittimi dei nobili); tutti discendiamo da Adamo, quindi non ha senso accampare pretese d'antichità della stirpe (più avanti concederà che i nobili hanno miglior memoria dei propri antenati di quanta non ne abbiano i plebei).
Nel secondo frammento la questione si sposta sugli antenati del nobile, «celebri», «illustri», «grandi», secondo lui. Nell'illustrazione di tali caratteristiche dei propri avi il nobile, però, mostra la propria insufficienza dialettica (che è poi un limite del Dialogo stesso, solo in parte spiegabile col richiamo al codice comico-satirico), offrendo palesemente argomenti alla confutazione del poeta: «ricchi sfondolati», «memorabile macello», «dispotici padroni», «archibusate» sono espressioni che rivelano come nel discorso del nobile in realtà si infiltri il punto di vista del poeta (o, se vogliamo, del Parini). Il poeta ha perciò buon gioco a replicare che il suo antagonista in realtà scambia i vizi per virtù, rincarando la dose; usurpatori, sgherri, masnadieri, violatori, sicari furono gli antenati del nobile, almeno quelli celebrati e ricordati, ché certo ve ne furono anche di virtuosi, ma dimenticati perché «le sociali virtù non amano di andare in volta a processione».
Il nobile allora abbassa la guardia e si dichiara sconfitto, ammettendo la propria «sciocca e ridicola presunzione». A questo punto il discorso si sposta sul contributo che l'esser nobili può dare alla felicità terrena degli uomini. E qui cade l'ammissione più significativa del poeta: quando la nobiltà sia congiunta con la virtù, col talento e con le ricchezze, può esser «di qualche uso e comodità», per quanto si tratti pur sempre di un pregiudizio. La « vera nobiltà» è quella dell'animo. Senza ricchezze, senza virtù e senza talento il nobile è il più infelice degli uomini, come è illustrato dall'eloquente finale.
La critica illuministica del Parini, tramite il poeta del Dialogo, si appunta in sostanza contro l'idea, il concetto astratto di "nobiltà", che gli strumenti dialettici forniti dalla nuova filosofia e dalla nuova cultura hanno buon gioco a mostrare un semplice pregiudizio. Qui si arresta la critica pariniana e si converte in un convinto invito rivolto alla nobiltà affinché si renda virtuosa e meritevole di quei privilegi di cui di fatto gode in società. L'egualitarismo che mostra qui il Parini non implica adesione a prospettive politiche eversive, ma si colloca entro il complessivo quadro di riformismo cui guardava la stessa società aristocratica milanese nei suoi elementi più avanzati (nella fattispecie i Trasformati, ai quali il Parini s'indirizzava)
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© 2009 - Luigi De Bellis