Su
quest'ode pariniana proponiamo
una pagina critica di Giuseppe
Petronio. Osserviamo che la
lettura di quest'ode da parte
del Petronio si colloca
all'interno di una
interpretazione globale della
poesia del Parini che tende a
contrapporre abbastanza
nettamente il momento "positivo"
di impegno civile e sociale,
corrispondente alla fase delle
odi illuministiche e della prima
redazione del Giorno, a quello
"involutivo" delle odi più tarde
e della correzione e
continuazione del poemetto.
Con quest'ode il Parini fa un
gran passo in avanti verso la
conquista di una letteratura
utile, ché la lirica è ora tutta
civile, nasce da concreti
interessi pubblici e da una
visione larga di questi
interessi: l'Arcadia, nel senso
che davano a questa parola gli
uomini della nuova generazione,
è ormai veramente lontana.
L'ode è tutta costruita su un
insistito contrasto: da una
parte, le «beate» campagne del
lago di Pusiano, dall'altra, la
città avvelenata da marcite e
navazze; da una parte l'aria
salubre e la «beata gente»
laboriosa e sana, dall'altra una
folla ambiziosa o malata, rosa
dalla propria avidità o vittima
dell'avidità altrui.
La campagna così - il tema
dell'Arcadia - ritorna anche in
quest'ode, e vi appare ancora
come antitesi ideale alla città.
Ma, questa volta, non è rifugio
per poeti oziosi o dimora di
contadini mitici, sciolti da
ogni impegno, visti in una luce
nostalgica da età dell'oro: gli
abitanti di quelle campagne
felici sono, certo, «beata
gente», vegeta, robusta, serena,
cui il lavoro è non fatica o
maledizione, ma gioia e salute.
Ma, nello stesso tempo, essi
sono visti e rappresentati con
una vivacità realistica che ne
fa uomini vivi, non manichini
convenzionali, e tanto meno
gentiluomini o gentildonne
giocanti ai pastorelli e alle
pastorelle d'Arcadia; l'Arcadia,
cioè la convenzione accademica,
è qui il limite continuamente
affrontato e varcato, il
pericolo continuamente
insidiante e quasi sempre
combattuto vittoriosamente.
Ecco, allora, i «villan vispi e
sciolti / sparsi per li
ricolti»; ecco «i baldanzosi
fianchi / de le ardite villane;
/ e il bel volto giocondo / fra
il bruno e il rubicondo»; ecco «
le villanelle / a cui sì vivo e
schietto / aere ondeggiar fa il
petto»; ecco, meglio ancora, i
«membri non mai stanchi / dietro
al crescente pane», con
un'audacia espressiva che tanto
piacque al Carducci; ecco, cioè,
una rappresentazione di salute e
di forza che non è più
convenzionale, ma morde nel
reale e presuppone osservazione
e senso della realtà, anche se
di una realtà che tende sempre a
trasfigurarsi, presentandosi
come l'ideale di fronte a
un'altra più trista realtà. E
l'Arcadia, cioè la convenzione,
si insinua di straforo solo in
qualche verso, nella
rappresentazione, così simile ad
una della Vita rustica (vv. 49
sgg.), del poeta felice tra i
campi e tra i suoi contadini:
|
Qui, con la mente
sgombra,
di pure linfe asterso,
sotto ad una fresc'ombra
celebrerò col verso ecc. |
|
E inutile: se stesso poeta del
villaggio il Parini non riesce
mai a rappresentarsi senza
cadere nel manierato: Parini sa
vedere se stesso solo come il
severo sacerdote-vate della
Caduta o come l'amabile,
insinuante, ironico precettore
del Giorno.
Di fronte a quella sana operosa
campagna, in contrasto con essa,
è Milano, la Milano delle
navazze stercorarie, delle
marcite condotte fin sotto la
città, degli animali abbandonati
insepolti per le vie, dei
rifiuti rovesciati sulle strade.
Ma il distacco dalla letteratura
precedente e la novità dell'ode
sono ancora in altro: nel fatto
che la polemica è, questa volta,
non astrattamente moralistica, e
né meno, direi, astrattamente
civile, ma sociale. La polemica
contro il malcostume imperante e
la satira di difetti o di vizi
del proprio tempo sono cose
vecchie quanto il mondo, e non
c'era bisogno del Parini o della
sua generazione per introdurle
nella letteratura italiana. Ma
il fatto è che questa volta la
polemica è precisa, in uno
sforzo attento di individuare
responsabilità e cause: non
denunzia generica, ma analisi di
una situazione sociale e di un
costume morale radicati in
quella determinata situazione;
il moralismo si muta così in
polemica sociale, e l'ode è
tutta concreta o quasi: un'ode
della seconda metà del
Settecento, a Milano, di quell'abate
Parini, uomo nuovo, schieratosi
con certi individuati gruppi
intellettuali e sociali.
Le tristi condizioni di Milano
sono riportate, perciò, non a
una generica corruzione
dell'uomo, a un peccaminoso
allontanamento da una edenica
età dell'oro, a una mancanza
astratta di senso civico, ma a
interessi precisi: a un certo
punto (v. 25) il poeta inveisce
contro colui che espose la sua
città all'acqua e al fango delle
marcite, e la mossa è
schiettamente letteraria e
convenzionale, una fra le
aperture più trite dell'ode:
|
Pèra colui che primo
ecc.; |
|
ma subito dopo specifica:
|
e per lucro ebbe a vile
la salute civile; |
|
e poi, immediatamente, addita le
tristi conseguenze di quella
cupida avidità di denaro:
|
Ma dipinti in viso
di mortali pallori
entro al mal nato riso
i languenti cultori: |
|
il contrasto così tra i
«languenti cultori del riso»,
immersi nelle acque, tinti in
viso di «mortali pallori» e i
lieti sereni coltivatori del
«crescente pane», mentre si lega
a contrasti di idee vivacissimi
in quegli anni, trova la sua
giustificazione e la sua forza
polemica in quell'avidità di
lucro che danna (come scriverà
una volta nel Mattino) tanta
gente alle risaie.
Così più avanti (vv. 67 sgg.) la
corruzione dell'aria a Milano,
che pur aveva avuto da natura
«cielo e aria pura», è di nuovo
riportata alla vanità, alla
cupidigia, alla smania di lusso
di una concreta classe sociale:
|
Ma chi i bei doni or
serba
fra il lusso e
l'avarizia
e la stolta pigrizia? |
|
E subito, con versi che
anticipano scopertamente uno dei
passi più polemici del Mattino (vv.
1708 sgg.), contrappone questa
classe o casta superba alle
misere turbe cittadine:
|
E la comun salute
sacrificossi al pasto
d'ambiziose mute,
che poi con crudo fasto
calchin per l'ampie
strade
il popolo che cade. |
|
E anche più avanti, quando
deplora l'inanità delle leggi,
riporta la loro trasgressione
non a un malcostume generico,
ma, ancora una volta, a
interessi precisi:
|
Ma sol di sé pensiero
ha l'inerzia privata: |
|
egoismo economico, preoccuparsi
solo di sé e del proprio
benessere, sfuggire ai propri
doveri. È cioè una polemica che
si inserisce in un moto vasto di
denuncia e di critica: è Pietro
Verri che scrive tutto un
articolo sul «Caffè» a proposito
della «spensieratezza nella
privata economia», e invita i
ricchi ad uso saggio e civico
delle proprie ricchezze (ora in
Il Caffè, a cura di S.
Romagnoli, Milano 1960, pag. 228
sgg.); è il Beccaria che deplora
1'«ozio politico», cioè «quello
che non contribuisce alla
società né col travaglio né
colla ricchezza; che acquista
senza giammai perdere, che,
venerato dal volgo con istupida
ammirazione, è risguardato dal
saggio con isdegnosa compassione
per quelli che ne sono le
vittime» (Dei delitti e delle
pene, XXXIV)