IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Vico: Principi generali di scienza nuova


 

Il Vico ebbe vita difficile e travagliata per gli scarsi guadagni che traeva dall'insegnamento privato e dalla cattedra di eloquenza a Napoli, per la salute molto cagionevole e per i bisogni della numerosa famiglia, funestata anche da lutti e discordie private. A questi affanni esterni, che gli inasprirono il carattere, Vico oppose la tenace volontà di continuare i suoi studi, pur tra molte difficoltà. L'originalità del suo pensiero si manifesta già nelle sette orazioni inaugurali ai suoi corsi accademici, composte tra il 1699 e il 1708. Contro i cartesiani che vorrebbero applicare il metodo geometrico non solo alla fisica, ma anche a tutte le scienze morali, Vico oppone il valore autonomo della retorica, della poesia e della storia. Queste scienze non possono fondarsi sulla verità matematica, ma sul "verosimile", che non è il risultato di astratte dimostrazioni, bensì il principio normativo dell'azione. Questa unione di sapienza teorica e pratica viene ulteriormente approfondita nel De antiquissima Italorum sapientia: come insegna la filologia, per gli antichi filosofi il "vero" era sinonimo del "fare". Ma l'uomo non potrà mai possedere una vera scienza del mondo, poiché di esso è autore Dio; ciò che l'uomo può veramente conoscere è ciò che egli stesso fa. Sulla base di questo principio, e con l'aiuto dei quattro autori che più di tutti l'avevano ispirato (Platone, Tacito, Bacone e Grozio), Vico perviene infine alla scoperta della storia come "nuova scienza". Egli si propone pertanto di «ridurre a principi di scienza i fatti della storia certa», collegando insieme la filologia (che accerta i fatti tramite i documenti) e la filosofia (che tali fatti interpreta e ne ricava le leggi di svolgimento).
All'approfondimento di questa iniziale intuizione Vico dedicò l'intera vita. Nel 1725 pubblica i Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni (che si suole indicare come Scienza nuova prima). Nel 1730 l'intera materia viene rielaborata e ripubblicata (la Scienza nuova seconda). L'edizione definitiva del capolavoro vichiano appare nel 1744 pochi mesi dopo la morte dell'autore, che vi aveva lavorato senza interruzione per oltre un ventennio. L'opera guadagnò una certa fama negli ambienti dell'Illuminismo napoletano, ma per il resto rimase praticamente ignorata. La grandezza dì Vico è stata di fatto compresa appieno soltanto nel nostro secolo.
A differenza degli illuministi, che considerano la storia quasi esclusivamente dal punto di vista dei progressi della ragione scientifica, Vico vede nella storia l'espressione dell'intera natura umana e delle sue facoltà: il sentimento, la fantasia, la ragione. Egli ravvisa un parallelismo profondo tra le attitudini psichiche dell'uomo e il divenire del linguaggio, dei costumi, delle leggi e delle istituzioni. Di qui l'intuizione della legge generale che governa i fatti storici: essi si ordinano in tre epoche o età successive, che Vico indica come età degli dèi ( o età dell'uomo primitivo, età dei «bestioni» tutto stupore e ferocia che scoprono però l'impulso del sacro e la presenza del divino nella natura), età degli eroi (con i quali il linguaggio poetico, mosso dall'emozione, dà vita alle prime favole dei pagani, cioè all'età della mitologia) ed età degli uomini che ormai ragionano con mente pura e inventano la filosofia e le scienze. Queste tre età si succedono ciclicamente. L'uomo razionale perde la primitiva sapienza del sentimento e sì corrompe nel lusso e nei vizi. Di qui il crollo fatale delle grandi civiltà e il ritorno a costumi primitivi (esempio tipico di ciò è per Vico l'avvento del medio evo dopo l'età pagana). Mala storia non ricomincia da capo. Ad essa presiede la divina provvidenza che aiuta l'uomo a non riprecipitare nella bestialità delle primitive selve, sicché la ciclicità della storia assume piuttosto l'aspetto di una linea a spirale che ritornando circolarmente in se stessa punta nel contempo verso l'alto, cioè verso la progressiva civilizzazione e spiritualizzazione della vita umana, di cui la rivelazione cristiana è il fulcro e la meta ultima. Questa concezione drammatica e dialettica della storicità umana è in realtà largamente estranea allo spirito dell'Illuminismo e anticipa piuttosto, com'è stato più volte notato, il concetto delta storia che sarà proprio dei romantici e delle grandi filosofie idealistiche dell'800.


Vico cerca i principi della storia entro le capacità e modificazioni dell'animo umano. Poiché gli uomini sono nella storia attori e creatori, essi la fanno in base a come sono. E l'uomo dapprima sente senza avvertire, cioè senza aver coscienza chiara di ciò che sente. In questo stadio primitivo (che Vico immaginò ed elaborò ispirandosi principalmente a Lucrezio) l'uomo è poco più che un animale. Successivamente si sviluppano in lui le forze del sentimento e della fantasia, e solo alla fine perviene alle capacità concettuali. A questo sviluppo di facoltà psichiche corrisponde lo sviluppo del linguaggio, che dapprima è un muto indicare ed esprimere col corpo e poi è un esplodere di intense passioni nella voce modulata del grido e del canto per arrivare solo per ultimo all'articolazione controllata e riflessiva della prosa.
Di qui l'importanza centrale della mitologia, che Vico per primo studiò come documento essenziale per comprendere lo sviluppo storico delle umanità antiche, i loro costumi, sentimenti religiosi, leggi, istituzioni spirituali e materiali. La mitologia diviene dunque la chiave per comprendere la storia di come noi stessi siamo divenuti e cioè di quali sono le basi nascoste della nostra civiltà, dei nostri linguaggi, delle nostre scienze e credenze.
L'originale studio del mito e del linguaggio portò Vico a concepire in modo nuovo l'arte, la poesia e in generale l'estetica. Svincolata dal concetto e da ogni norma o legge d'ordine intellettuale, la poesia e l'arte in genere si configura come espressione diretta degli impulsi sensitivi originari elaborati dalla fantasia e dall'immaginazione; essa corrisponde a uno stadio dell'umanità che può assomigliarsi, nell'individuo, all'infanzia, quanto tutto appare meraviglioso, favoloso, mosso da animazioni misteriose e fantastiche, in magica consonanza con i sentimenti e i bisogni interiori. Questo carattere emozionale dell'arte fa sì che essa tocchi i suoi vertici espressivi nei primordi (per es. in Omero), per declinare invece con l'imporsi della maturità dell'intelletto e con la freddezza concettuale del pensiero.
La storia intreccia così forze e verità diverse, tra loro dialettiche e antagonistiche. Il progresso non è unilineare: ciò che per un lato si acquista, per un altro si perde. Se è vero che passando dalle selve alle caverne e poi ai villaggi e infine alle grandi città e metropoli l'uomo appare collocato in un divenire trionfale, è anche vero che al culmine di questo processo l'uomo perde contatto con le forze naturali originarie, con l'ingenuità del sentimento e la spontaneità della passione. In lui i costumi si ingentiliscono e si raffinano, ma nel contempo la sua immaginazione si inaridisce, il vigore fisico declina, e gli agi e le mollezze lo corrompono sino alla perversione del vizio autodistruttivo. Così le orgogliose metropoli e la loro potenza tecnica celano abissi di miseria spirituale e morale e il germe di un'inarrestabile decadenza. La storia è pertanto un teatro drammatico in cui l'uomo, senza l'aiuto della divina provvidenza, si perderebbe nei ricorrenti pericoli della barbarie e della depravazione, che sono gli estremi tra i quali la civiltà deve faticosamente procedere, recuperando ogni volta il suo senso e il suo valore dalla inevitabilità dell'errore e della decadenza
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© 2009 - Luigi De Bellis