Letteratura italiana: Opere di D'Annunzio

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Parliamo di

  Le opere di Gabriele D'Annunzio
Autore critica
Eurialo
De Michelis

 


La Pisanella o la morte profumata
 

Commedia in versi francesi di Gabriele D'Annunzio rappresentata a Parigi nel 1913 da Ida Rubinstein, con i commenti musicali di Ildebrando Pizzetti, e pubblicata in quell'anno in rivista; contemporaneamente usciva la traduzione italiana di Ettore Janni. Il testo originale fu accolto per la prima volta in volume nel 1935, col titolo La Pisanella o il giuoco della rosa e della morte. In tre atti e un prologo narra di sire Ughetto, re di Cipro, che in una meretrice pisana, contesa a colpi d'oro e di coltelli dai pirati che la predarono, crede riconoscere una Santa d'Oltremare predettagli dal canto di una Mandìca, quasi immagine della Povertà ch'egli vorrebbe francescanamente avere per moglie. Per sottrarla dunque alle ingiurie del proprio zio uccide quest'ultimo; e con lei convive beato, finché la Regina Madre, fingendo di accoglierla come figlia, la chiama a sé e l'uccide. Ciò che prima colpisce nell'opera è il solito ingombro fastoso della glorificata lussuria, come se si trattasse di un'opera messa insieme coi ritagli del Sogno d'un tramonto d'autunno e della Nave; e il parallelo ingombro dell'erudizione, fino all'uso, come nel Martirio di San Sebastiano, della lingua francese. Ma, come nel Martirio ciò che fu la debolezza di quel linguaggio fu altresì la sua qualunque salvezza poetica, la dilettazione in margine che viene incontro alla frantumazione sensuale e voluttuosa della macchina narrativa, così è da dirsi anche per La Pisanella, in limiti almeno non minori; e per questo aspetto importa notare che né la favola né i personaggi tendono a costruirsi nella coerenza, e magari nel graffito, di vera e propria favola e veri e propri personaggi, sono soltanto il vago accenno di un sospiro, di un'ombra, di un sogno. Ciò si vede particolarmente in Sire Ughetto, nel giovine re dolce e fantastico, che sembra la traduzione in personaggio del re imberbe che trasale alla rapina dei sensi in una bella immagine della XII strofa della Laus vitae; e il sonno incantato di Aligi nella Figlia di Iorio non ritorna in lui senza perdere di peso fatale e acquistare il dolce e voluttuoso scioglimento dei sensi. Maggior impegno occorre per dissolvere in questa medesima aura la Pisanella, personaggio che per definizione, nella fantasia del D'Annunzio, tenderebbe a travalicare in un'altra esaltazione frenetica della Superfemmina; ma a ciò giova l'immagine favolosa e quasi sognata di lei quale prima si presenta a Sire Ughetto nella Mendìca, e poi quel sempre rifuggire dal consegnarla nel disegno di una favola precisa, ora meretrice in vendita ma forse anche principessa rapita, come nell'atto I, ora meretrice ma forse anche Clarissa e Beata, come nell'atto II, ora timida e fiduciosa quando viene all'inganno della Regina e si dà tutta alla danza che le sarà mortale. Come altra volta infatti, nella Figlia di Iorio e nella Nave, importò meno il fatto della morte di Mila e Basiliola, che il simbolico e superumano loro annullarsi nel fuoco; così qui non conta il fatto della morte quanto il modo della morte (affogata sotto una pioggia di rose). Altro segno di questo consapevole attenuarsi del tema erotico-eroico-ferino in musica e danza, può cogliersi nella definizione di "commedia" data all'opera, mentre "tragedia lirica" è definita nel suo primo "scenario", che sotto il titolo La rosa di Cipro e con la data 1912 si legge nell'edizione 1934 dell'Allegoria dell'Autunno.

Guarda e descrive, tutto, minutamente, plasticamente, con esattezza, che non è enumerazione fredda ma visione penetrante: assapora la sensazione in quanto tale, nella sua immediatezza, senza riferenze.
(B. Croce)
 

 

Luigi De Bellis