Giovanni Boine, nato
a Finalmarina (Savona) nel 1887, si laureò in Lettere
all'Università di Milano, e visse a Parigi, a Ginevra, a
Zurigo, a Roma. Studioso dei mistici, sensibile ai
problemi religiosi accolse parecchie suggestioni dal
Modernismo, pur mantenendo una sua specifica fisionomia.
Collaboratore de «La Voce», condivise di quell'ambiente la
vocazione espressionistica, la ricerca di una forma
adeguata a una problematica e a un'intensità "moderne" La
qualità della sua narrativa - per la magmatica coesistenza
di motivi e dì istanze differenti - é piuttosto
discutibile (l'incompleto Il peccato, 1914); notevoli
risultati ha invece raggiunto nei frammenti lirici o
poemetti in prosa, che sono stati raccolti nei postumi
Frantumi (1918). Plausi e botte (postumi 1918) comprende i
suoi scritti di critico militante, sensibile alla
produzione letteraria contemporanea. Mori a Porto Maurizio
(Imperia) nel 1917.
Due poemetti in prosa
Questi di Boine sono poemetti in prosa del primo Novecento
e quindi poggiano su quel superamento della distinzione
fra prosa e poesia che è da considerare, nei tempi lunghi;
una conseguenza della destrutturazione delle forme
tradizionali avviata dal Romanticismo. Dovuti a uno degli
esponenti più inquieti dell'area vociana, essi traducono
stati d'animo, interiori conquiste, memorie, in un
linguaggio lirico e allusivo, in ardite - e non sempre
chiare - analogie.
Le
opere
PLAUSI E BOTTE
Rassegne
critiche apparse sulla
"Riviera Ligure" e sulla "Voce" e pubblicate in
volume con Frantumi, per cura di Mario Novaro, nel
1918 e nel 1921; indi, con aggiunte e mutamenti, nel 1939.
L'opera è costituita da scritti suggeriti da recensioni
occasionali: gli autori contemporanei vi sono esaminati
con sagacità e con arguzia, al lume del buon senso e di un
felice gusto di poesia. Sia pure tra esagerazioni ed
errori di valutazione, il pensiero del Boine appare assai
nitido nelle sue preferenze verso una letteratura seria,
non funambolesca, profondamente sana e non fatta di
svolazzi o di decadenza. D'altra parte è sentito il valore
della letteratura come documento del costume di un'età.
Atteggiamenti garbati hanno perfino le stesure dei
riassunti delle opere, fatte talora, per i libri di fatuo
interesse, con l'aiuto impertinentemente dichiarato di
conoscenti, e rabberciate poi a modo proprio come
trampolino per ulteriori osservazioni: sono pensieri
rapidi e guizzanti, frizzi ameni a giovani e incauti
poeti, satire amare verso gli arrivati e i decrepiti.
Tutto è sentito con vivacità e reso in uno stile
caratteristico. Testimonianza letteraria notevole, questo
libro ha il suo posto nelle lettere italiane del Novecento
e nelle lotte spirituali cui partecipò l'autore, dal
"Rinnovamento" alla "Voce".
IL PECCATO E ALTRE COSE
Raccolta di prose narrative dpubblicata nel 1914 e più
volte ristampata. Il racconto che dà titolo al volume è la
miglior testimonianza artistica del sottile e meditativo
scrittore: proprio perché ne comprende le ansie e i
problemi spirituali quasi nella forma di un diario intimo.
Un giovane, melanconico e sognante, debole in fondo verso
la vita, prova simpatia e a poco a poco passione per una
novizia; egli, senza avvedersene, se ne invaghisce a poco
a poco, sentendola sonare in chiesa. Lo scrittore analizza
nel giovane il dolore di una vita senza scopo, fin che la
passione sorge a sconvolgerlo e a turbarlo. Anche la
fanciulla sente una nuova vita e nell'amore intravisto
come un dono dell'esistenza, fugge dal convento prima di
pronunciare gli estremi voti. Il giovane giudica così il
suo agire di fronte alla passione con un desiderio acuto e
fremente di introspezione. È necessario abbandonarsi alla
voce dell'esistenza. Il "peccato" è la rinuncia alla vita,
il dubbio di non essere veramente cosciente del proprio
agire. Nell'amore della fanciulla egli comprenderà tutto
il valore dell'esistenza: la famiglia coi suoi sacrifici e
il suo impegno morale darà veramente pace al suo spirito.
Il racconto sembra così concludere la catena dei romanzi
monacali, per lo più satirici e acri, dalla Monaca (v.)
del Diderot allo stesso episodio della Signora di Monza
dei Promessi Sposi. Sono aggiunte nel libro le "altre
cose": "La città", dove la varia e complessa vita
cittadina è studiata nel contrasto con l'esistenza quieta
di un paese (bella la figura di un sant'uomo, per cui la
città viveva solo per la sua offerta di bene a Dio), e
"Conversione al codice", che esamina il contrasto tra
l'interno tumulto dei sentimenti e le comuni regole della
società. Queste due ultime prose sono meno vivaci e
artisticamente perfette del "Peccato": e valgono più che
altro per l'affermazione di propositi e di ideali che nel
breve romanzo trovano la loro espressione di poesia.
FRANTUMI
Raccolta di prose apparse sulla "Riviera Ligure", e per cura di Mario Novaro
in volume con Plausi e Botte, nel 1918 e nel 1921, e
a sé nel 1938. La sottile ricerca spirituale del Boine e
insieme la sua ingenua posizione verso i problemi della
vita si manifestano in queste pagine, fatte di aforismi,
di impressioni, di nostalgie. C'è, sotto la polemica del
letterato e la meditazione sincera del moralista, un'anima
di fanciullo che gode della bellezza delle cose, le
assapora con beatitudine, le sente nella loro immediatezza
di vita. E tanto è il desiderio di perfezione,
nell'attento controllo delle proprie possibilità creative,
che a queste che chiama "liriche" l'autore diede un titolo
significativo: non per tendenza al frammentismo, al pari
di altri scrittori contemporanei, ma per indicarne la
vitalità, quali abbozzi per ulteriori rielaborazioni. La
morte interruppe la ricerca di verità e di bellezza, tanto
ansiosamente perseguita dal giovane autore.
LA FERITA NON CHIUSA
Saggi filosofici pubblicati postumi a cura di Mario Novaro,
nel 1921, e, con qualche mutamento nella raccolta, nel
1938. L'ideale di un'azione che vincesse titubanze e
morbidezze di vita e di pensiero è chiarito in queste
pagine di argomento religioso e particolarmente ispirate
ai mistici. Insoddisfatto dell'idealismo del Croce e del
Gentile, come dello stesso tentativo modernista del
"Rinnovamento" (v.), l'autore poggia in pieno i suoi
motivi romantici sulla valutazione dell'esperienza
religiosa in sé e per sé. La "ferita non chiusa" è il
sentimento della propria incapacità a cogliere il vero nel
mondo ampio e contraddittorio della vita: la religione,
coi suoi palpiti, coi suoi comandamenti financo sentiti
come un gioco, e con l'esigenza di una verità eterna,
postula la necessità di uscire dalle strettoie delle
filosofie. Queste sistemano il mondo aridamente, e lo
privano di quel pulsare e di quel fremito che è vita. La
logica ha troppo ordine in sé per comprendere i limiti e
le ambizioni della natura umana: la storia stessa è come
una postuma sistemazione di dati. Vivo è perciò nei
mistici, da san Giovanni della Croce a santa Teresa, il
sentimento della lotta che ci dove migliorare, in una
continua offerta all'eternità. In tale febbre d'azione è
il sentimento della religione, e religioso è "tutto ciò
che risale contro corrente attraverso il sentimento verso
l'inesauribile", anzi "lo sforzo di creare fuori della
forma, la violenza della creazione contro e fuori d'ogni
categoria nota e nostra". Si comprende a questo riguardo
la posizione del Boine verso il movimento della "Voce" che il Prezzolini cercava di interpretare in modo
filosofico e idealistico: sono notevoli le pagine
polemiche che nell'edizione originale chiudevano il volume
e che, omesse nell'ultima ristampa, sono state in parte
conservate (come "Epistola al tribunale") nelle parti
aggiunte alla nuova edizione di Plausi e botte. In
questo contrasto con Prezzolini e con l'amore della logica
sistematrice, lo scrittore cercava di mostrare con vari
argomenti che solo la fede decisa e calda costruisce la
realtà; poiché un uomo vivo ed entusiasta del suo ideale
(sia Ignazio di Loyola, o sia Giuseppe Mazzini) val più di
mille sofisti, arzigogolanti intorno a problemi con fredda
sistematicità.
DISCORSI MILITARI
Opera pubblicata nel 1915. È una specie di "libro del soldato",
tutto pervaso da un austero senso del dovere. In una forma
semplice, adatta alla mente dei giovani che apprendono per
la prima volta il valore di quanto la patria chiede da
loro, lo scrittore espone che cosa siano l'onore militare
e la disciplina, che valore assuma la bandiera del
reggimento, che cosa rappresentino per una coscienza il
giuramento, l'idea di patria, lo Statuto. Seguono cenni
storici sui fattori dell'unità italiana e sui doveri del
soldato nel combattimento. La conclusione che auspica, a
pace fatta, un miglioramento della morale del paese
attraverso l'esempio dell'esercito e dei suoi sacrifici,
si riallaccia alle parole di premessa scritte sin dal
1914. L'autore che poggia il suo ragionamento sulla
cognizione della propria responsabilità morale e sul senso
del dovere, accentua il valore della guerra come "sveglia
dal torpore egoistico": per di più vuol far notare che la
vita spirituale non si esaurisce nella patria né
nell'umanità e che "vi sono sfere della nostra attività
spirituale che sfuggono completamente alle imposizioni di
questa e di quella e a ogni imposizione". La sua
"entusiastica partecipazione" al grande momento storico
sta a indicare, nell'esiguo libretto, come nella
preparazione all'intervento il Boine sentisse la
risoluzione violenta, e quasi ancora pragmatistica di
molti suoi problemi posti con sottigliezza e morbida
compiacenza. Si nota un abbandono ingenuo, volto a far
sentire la bellezza dell'onestà e dell'abnegazione, con un
candore pieno di spiriti umani. E anche per ciò la
pubblicazione è qualcosa di più di un semplice episodio
nell'opera complessa e talora fatalisticamente religiosa
del Boine..
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