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Chiara esposizione sistematica del pensiero vichiano. La
prima posizione gnoseologica del pensiero del Vico segna
una netta opposizione al cartesianismo dominante. Non si
ha scienza se non si coglie attraverso la serie delle
cause la causa prima, creatrice. "Causare" la realtà,
farla, è anche conoscerla; la "verità" del fatto è la sua
creazione: Dio, che crea il mondo della natura e degli
uomini, ne ha scienza. In un solo campo della conoscenza
la mente umana "opera" come produttrice degli oggetti che
conosce: nelle matematiche. Ma gli elementi di queste non
sono che "finzioni". Per questo è errore credere che le
matematiche possano fondare una metafisica e una fisica a
carattere rigorosamente dimostrativo. Questo agnosticismo
è però superato nella Scienza nuova: lo spirito umano che
"fa" la storia è quello stesso che la pensa e la conosce;
la scienza che l'uomo può avere del mondo umano è perfetta
quanto la scienza che Dio ha del mondo della natura. La
verità del mondo umano è conoscenza dei princìpi e delle
leggi immutabili che generano il corso delle nazioni. Ma
la conoscenza del "vero", cioè la filosofia, deve fondarsi
sulla conoscenza del "certo", dei particolari e temporali
aspetti della storia: conoscenza fornitaci non solo dalle
scritture degli storici, ma, specialmente per le epoche
più lontane da noi, dalle testimonianze che ce ne rivelano
i caratteri (lingua, poesia, miti, religione, diritto,
monumenti): è questo il compito della "filologia". Il
rapporto di filologia e scienza è dunque il rapporto di
"certo" e "vero"; la filologia offre il materiale alla
filosofia. La Scienza nuova consta di tre ordini di
ricerche; filosofiche, storiche ed empiriche; contiene,
insieme e frammiste, una filosofia dello spirito, una
storia e una scienza sociale. I motivi più profondi e le
esigenze più vive del pensiero vichiano precorrono, per
gran parte almeno, la filosofia del sec. XIX.
Particolarmente feconda è la concezione fondamentale dello
spirito come svolgimento, cioè come unità e distinzione di
forme. L'uomo è dapprima tutto "senso"; poi "avverte" con
animo perturbato e commosso, infine "riflette" con mente
pura. Sua prima ragione pratica è la forza, l'arbitrio;
poi la legge e la coscienza morale. Più attentamente
studiate dal Vico sono le forme spirituali immediate e
individualizzanti: nell'attività teoretica, il momento
della fantasia, nell'attività pratica il momento del
diritto della forza. L'estetica è da considerarsi una
scoperta del Vico; col nome di "logica poetica", egli ci
dà una teoria dell'intuizione come identità di fantasia e
di poesia, di espressione spontanea e di linguaggio. Nella
scienza empirica, le forme conoscitive poetica e
mitologizzante, e il momento pratico del diritto della
forza, vengono identificati con la forma barbarica della
civiltà, con le epoche eroiche; il momento della
riflessione intellettuale e quello dell'equità giuridica
ed etica con la forma di civiltà matura, con le epoche
storiche in cui domina la "ragione tutta spiegata". Il
concetto di "ricorso" (che pur può sembrare negazione del
concetto di reale sviluppo, di progresso) dev'essere
inteso nel significato più vero che è implicito nel
pensiero vichiano: il circolo eterno dello Spirito deve
pensarsi non solo diverso dal moto uniforme, ma
continuamente crescente su se stesso, così che la nuova
epoca della fantasia e della barbarie sia in realtà
arricchita di tutto lo svolgimento dell'intelletto e della
civiltà che l'ha preceduta. Il Croce ricostruisce e
interpreta con la sua indagine acuta e attentissima
l'ideologia vichiana in altrettanti capitoli. Più
personale e integrativo è il contributo del Croce nel
mostrare l'opposizione del Vico all'indirizzo della
cultura dei suoi tempi, e lo svolgimento posteriore del
suo pensiero filosofico e storico. La storia ulteriore del
pensiero è presentata come un "ricorso" delle idee del
Vico. La sua connessione del vero col fatto ricorre nella
tesi di Hegel dell'identità di vero e fatto, pensiero ed
essere; l'unità di filosofia e filologia, nella sintesi a
priori di Kant e nella rivendicazione della storia e nella
filosofia storica di Hegel; la limitazione del valore
delle matematiche e delle scienze esatte, nel
riconoscimento che la loro forza è non nei loro postulati,
ma nelle definizioni; la sua "logica poetica", con
l'estetica e il collocamento dell'arte tra le pure forme
dello spirito; le sue dottrine sul linguaggio, nella
interpretazione di esso come libera e poetica creazione
dello spirito; la dottrina del mito e della religione, nel
riconoscimento, con Hume, che la religione è un fatto
naturale, una filosofia rudimentale, sorta come il mito
non da arbitrio ma da bisogno e povertà; la critica
all'utilitarismo, nella Critica della ragion pratica; la
polemica contro il platonismo o il grozianismo di una
repubblica ideale o un diritto naturale fuori e sopra la
storia, nel riconoscimento che il diritto è corrispettivo
all'intera vita sociale di un popolo in un dato momento
storico; la "provvidenza" cioè la razionalità e
oggettività della storia, nella "astuzia della ragione", o
della specie, di Hegel e Schopenhauer, e nella
"eterogenesi dei fini" di Wundt. Sono quasi tutte le idee
capitali della filosofia idealistica del sec. XIX: mentre
di altre si trova nel Vico non il precorrimento ma
l'esigenza, non l'addentellato ma la lacuna da riempire,
avendosi non più il "ricorso" ma il "progresso", o il
riscontro; specie tra le scoperte storiche vichiane e la
critica e storiografia del secolo decimonono. Il croce
conclude il suo studio, rimasto tuttora fondamentale per
la conoscenza del Vico, e che ha molto contribuito alla
ripresa degli studi sul Vico e alla divulgazione della
Scienza nuova in Italia e fuori, dando di lui la
definizione immaginosa: "egli fu né più né meno che il
secolo decimonono in germe". Seguono tre appendici:
"Intorno alla vita e al carattere di G.B. Vico"; "La
fortuna del Vico"; "Cenni biografici". |