IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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Le origini della lingua italiana
Le prime manifestazioni del volgare
La lirica d'arte in Italia
Il tema d'amore nella poesia medievale
Poeti comico realistici
La prosa del Duecento
La scuola siciliana
La scuola toscana
 
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LE ORIGINI DELLA LETTERATURA

GIACOMO DA LENTINI - Rime


Tra i poeti del primo movimento di poesia italiana detto scuola siciliana, Giacomo da Lentini (prima metà del sec. XIII), chiamato anche per antonomasia "il Notaro", fu quello ch'ebbe più larga fama e la cui produzione poetica ci è arrivata in maggior copia: gli sono infatti attribuiti una quarantina tra sonetti e canzoni. Come poeta rappresentativo della vecchia scuola lo riconosce Dante nel canto XXIV del "Purgatorio", per bocca di Bonagiunta Orbicciani, là dove Bonagiunta parla del "nodo" che ritenne lui e Guittone e il Notaro al di qua del "dolce stil novo". Giacomo da Lentini fu anche, per quanto consta, il primo a trattare il sonetto, forma metrica fortunatissima nella poesia italiana e di cui egli è il presunto inventore. La fama del Notaro presso Dante è probabilmente dovuta a quel tratto della sua poesia che per non pochi critici costituisce il suo maggior difetto: la artificiosa complicatezza riflessiva e analitica dello stile, in cui tuttavia è doveroso riconoscere un'alta ambizione d'arte e il proposito di un sottile affinamento teorico e psicologico dei vecchi temi, di uscire insomma dagli schemi della scuola. In questo senso la poesia del Notaro dà il primo avvio a quell'evoluzione della dottrina d'amore che troverà il suo compimento nella lirica del Cavalcanti e di Dante.
Tipico è anche il tema dell'ineffabilità, cioè dell'insufficienza della parola a esprimere il sentimento d'amore, tema che ritornerà nella poesia d'amore dantesca: "lo meo namoramento - non po parire in detto: - cusì com'eo lo sento - core nol penzeria né diria lingua"... Al gusto della sottigliezza teorica corrisponde assai spesso la tecnica lambiccata della parola. Ma il Notaro sa trovare anche forme più sciolte e più morbide, come nel finale della canzone "Meravigliosamente"; nel noto sonetto "Io m'agio posto in core a Dio servire", intessuto su di un'estrosa trovata ereticale, poiché il poeta afferma che senza la sua donna egli non ci tiene a salire in paradiso: "sanza mia donna non vi vorria gire - quella c'à blonda testa e claro viso, - ché sanza lei non porzeria gaudire". Teorico autorevole e ascoltato nelle questioni sulla natura d'amore, il Notaro intervenne nella tenzone svoltasi tra Iacopo Mostacci e Pier della Vigna, scrivendo un sonetto, il suo più famoso, "Amore è un disio che ven dal core" nel quale è adombrato con nitidezza e bravura il processo di idealizzazione fantastica da cui ha origine l'amore, conciliando la tesi della sua origine sensibile con quella della sua natura spirituale: la prima origine dell'amore è negli occhi, il mezzo sensibile col quale l'oggetto esterno (figura di donna) è trasmesso al cuore, il quale lo "concepisce" e "immagina", cioè idealizza in fantasma desiderandolo, e trovando la sua gioia in questo suo desiderare. È noto che tale questione fu assai dibattuta dai poeti del Duecento, e che su di essa si esercitò poi il più scaltrito gusto psicologico e teoretico del Cavalcanti e di Dante.
Daniele Mattalia


Non mancano movimenti d'immaginazione ed una certa energia d'espressione... ma son affogati fra paragoni, sottigliezze e freddure, che nella rozza e trascurata forma spiccano più, e sono reminiscenze, sfoggio di sapere. Non sente amore, ma sottilizza d'amore. (De Sanctis)

Daniele Mattalia

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