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LE ORIGINI DELLA
LETTERATURA
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CECCO ANGIOLIERI: TRE FAMOSE
RIME
La caratteristica comune a
questi tre sonetti è
l'abbassamento - o addirittura
il rovesciamento parodistico -
del modello cortese e
stilnovistico.
Il primo sonetto (Io
non sì altamente innamorato)
è tutto intessuto di luoghi
comuni della poesia d'amore (il
poeta è «altamente innamorato»,
è «a la mercé d'una donna e
d'Amore», è «servidore» di lei,
è beato e fortunato; la donna ha
ricevuto in dono da Dio «tutto
ciò che conviene a gentil core»,
ha «'l cor... cortese e piano»,
ecc.). L'effetto comico è
ottenuto mediante l'esagerazione
iperbolica («non è al mondo re
né imperadore»), la deformazione
caricaturale del linguaggio (la
«mia gentile manza», che
parodizza gli appellativi della
poesia stilnovistica; «dunque
... ben si può dir», che
parodizza le argomentazioni tra
filosofico e causidiche con cui
gli stilnovisti sostenevano le
teorie d'amore, del cuore
gentile, ecc.) e il
rovesciamento parodistico della
situazione (il vero scopo del
poeta «altamente innamorato» è
il soddisfacimento materiale del
desiderio, che viene annunciato
non brutalmente ma - e anche qui
è di nuovo parodico - con i
termini della poesia d'amore
«alta»: «io compierò di lie' mia
disianza»). L'effetto comico,
inoltre, è ottenuto creando nel
sonetto un movimento di tensione
e di attesa (il periodo ampio
delle quartine, il linguaggio e
lo stile elevati che vi vengono
usati, l'impressione che il
sonetto si apra su temi nobili e
tra grandi cose: Amore, re,
imperatori, cuori gentili e
servitori leali) e poi
scaricando a sorpresa e
d'improvviso tale tensione, come
avviene nelle terzine e nel
finale del sonetto. L'effetto di
sorpresa è soprattutto nella
prima terzina: la donna ha il
cuor tanto cortese che... e qui
ci aspetteremmo nel secondo
termine di paragone una reazione
«alta» da parte del poeta, una
dimostrazione del suo fedele
servizio, e invece abbiamo, con
abbassamento improvviso, un
gesto comico: «che, sua mercé,
basciata li ho la mano».
Anche nel secondo sonetto (La
malinconia di Cecco)
il poeta usa immagini e termini
della poesia d'amore (il poeta
innamorato suscita «pietà» e
«pianto» in chi lo vede, la
donna potrebbe «guarirlo», il
poeta prova «gioia» e «pene»,
responsabile di tutta la
situazione è Amore,
personalizzato). Qui il
rovesciamento (che è ottenuto
anche mediante artifici
stilistici come la doppia
negazione «i' non discredo» o
l'iperbole «un che mi fosse
nemico mortale») si attua con un
più aperto ribaltamento dei
significati; la figura di donna
che Cecco presenta è l'esatto
opposto della donna tradizionale
della poesia «alta»: là la donna
era passiva, rendeva beato il
poeta con il suo solo esistere e
non compiva nessuna azione; qui
la donna è attiva, addirittura
aggressiva, e rende infelice il
poeta proprio rifiutando il
ruolo che la teoria dell'amore
cortese le assegnerebbe ed
esprimendo con improvvisi scoppi
verbali la sua ribellione (lo
manda «a far li fatti suoi» e lo
considera «men ch'una paglia che
le va tra' piei»). Il sonetto,
che concentra anch'esso la parte
più polemica e comica nelle
terzine, si chiude con un
improvviso sfogo contro Amore:
il poeta usa la tecnica del
vituperium e dell'invettiva (che
aveva una lunga tradizione,
nella poesia morale o politica,
quando si trattava di esprimere
il disprezzo verso un vizio, un
peccato o un nemico).
Il terzo sonetto (Dialogo
fra Cecco e Becchina)
è notevole per l'uso sistematico
del dialogo, dello scambio di
battute rapide e taglienti fra i
personaggi. Cecco qui piega a un
uso espressivo e «comico» (e
quasi teatrale) la tecnica
tradizionale del contrasto (o
débat) e della tenzone (usata
per rappresentare lo scontro fra
personaggi allegorici, o il
confronto fra due amanti, o lo
scambio di idee fra due poeti).
Il rovesciamento (dal linguaggio
alto, cortese, cui si attiene il
poeta - «Tu tieni 'l cuore» - a
quello vituperoso e basso di cui
si compiace la donna - «Va', che
ti vegn'un segno!» -) è ottenuto
dentro la misura stessa del
verso: la prima metà, cortese,
per lui, la seconda, comica, per
lei. La nuova figura di donna si
realizza qui, teatralmente, nel
dialogo. È quanto avverrà, con
uguale uso del linguaggio comico
e con uguale effetto teatrale,
in certe novelle del Decameron.
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Daniele Mattalia |
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