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Giuseppe Ungaretti:
I fiumi |
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«L'Allegria di Naufragi [il primitivo
titolo dell'Allegria] è la presa di coscienza di sé, è
la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina
d'improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916, in
piena guerra, alla trincea, e che s'intitola I fiumi. Vi
sono enumerate le quattro fonti che in me mescolarono le
loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti
che allora scrissi» (Ungaretti).
Mi pare di averlo già accennato, ma meglio di quanto
potrei dirlo io in questo momento l'hanno detto i miei
Fiumi, che è il vero momento nel quale la mia poesia
prende insieme a me chiara coscienza di sé: l'esperienza
poetica è esplorazione d'un personale continente
d'inferno, e l'atto poetico, nel compiersi, provoca e
libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentire che
solo in poesia si può cercare e trovare libertà.
Continente d'inferno, ho detto, a causa dell'assoluta
solitudine che l'atto di poesia esige, a causa della
singolarità del sentimento di non essere come gli altri,
ma in disparte, come dannato, e come sotto il peso d'una
speciale responsabilità, quella di scoprire un segreto e
di rivelarlo agli altri. La poesia è scoperta della
condizione umana nella sua essenza, quella d'essere un
uomo d'oggi, ma anche un uomo favoloso, come un uomo dei
tempi della cacciata dall'Eden: nel suo gesto d'uomo, il
vero poeta sa che è prefigurato il gesto degli avi
ignoti, nel seguito di secoli impossibile a risalire,
oltre le origini del suo buio.
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