IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SEICENTO

Galilei: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo


Opera di Galileo Galilei (1564-1642)re più celebri che esistano al mondo in ogni genere di letteratura, sia per il metodo di indagine scientifica che in essa è svolto, sia per le numerose, e per Galileo tristi vicende delle quali fu la prima causa, sia per il valore intrinseco del contenuto. Già nel Sidereus Nuncius (Nunzio sidereo), Galileo aveva annunziato la pubblicazione di un suo "Systema mundi", ma mentre alcuni lo confortavano a rivelarlo e spiegarlo, altri lo trattenevano immaginando le polemiche e le ostilità che il suo libro avrebbe suscitato. Nel 1630 Galileo, col manoscritto del suo Dialogo, si recava a Roma, dove otteneva, dalle autorità ecclesiastiche, una licenza preliminare per la stampa. Superati altri ostacoli questa poté essere compiuta sui primi del 1632 a Firenze, per i tipi di G.B. Landini, con l'"imprimatur" romano e fiorentino. Nel proemio dell'opera è data ragione della forma di dialogo, prescelta in parte per ragioni letterarie, in parte perché in tal modo egli poteva presentare e discutere le idee di Copernico come se fossero opinioni degli interlocutori. Essi sono tre: Salviati, Sagredo e Simplicio: nei primi due sono immortalati i diletti amici di Galileo, il terzo è personaggio immaginario. Salviati, di nobile famiglia fiorentina, rappresenta lo stesso autore, il quale viene solo in alcuni casi ricordato nel dialogo come l'"Accademico Linceo" o il "nostro amico comune". Sagredo, di famiglia patrizia veneta, si chiama talvolta "semplice ascoltatore", ma è invece un dotto profano fra i competenti oppositori Salviati e Simplicio; è disposto alle nuove dottrine delle quali si entusiasma e che espone spesso in forma più facile. Questi due interlocutori integrano in mirabile sintesi, con le profonde dottrine e con l'arguto e satirico umore, la persona di Galileo. Simplicio, che col suo nome ricorda l'interprete degli scritti aristotelici, rappresenta la scienza conservatrice e pedante che non riconosce altri argomenti che quelli ammessi nelle opere passate; non sembra che rappresenti una determinata persona del tempo di Galileo, né quindi, come i nemici suoi vollero far credere, il papa Urbano VIII. Il Dialogo dura quattro giorni ed è appunto diviso in quattro giornate. Molti dei ragionamenti fatti dagli interlocutori nella prima erano già stati separatamente pubblicati da Galileo, come quelli sulle leggi del moto dei gravi e dei corpi celesti, sulle nuove scoperte celesti e sulle caratteristiche della luce solare riflessa dalla luna. Vi si combatte il dogma aristotelico dell'immutabilità dei corpi e vi si dimostra che è incompatibile con le osservazioni della luna, del sole, delle comete e delle nuove stelle. L'esistenza dei pianeti Medicei, delle fasi di Venere e di Mercurio, le variazioni del diametro apparente di Marte dimostrano quanto sia più semplice l'ipotesi copernicana del moto diurno della sfera celeste e del moto dei pianeti, mentre nell'ipotesi tolemaica si accumulano le complicazioni. La giornata seconda si apre con questo argomento, provando il Salviati, contro le dottrine aristoteliche, che il moto diurno è proprio della Terra e come da esso non nasce alcuna mutazione tra tutti i corpi celesti, i quali invece dovrebbero accelerare e ritardare il loro moto quando la sfera stellata fosse mobile. L'argomentare si fa vivace sulla questione del moto o quiete della Terra, per la quale vengono discussi i moti dei gravi e dei proiettili. Combinando il moto di caduta libera con la rotazione terrestre, Galileo voleva pervenire a un moto circolare uniforme, pensando che la natura non procedesse che per questo e per il moto rettilineo. Nelle esperienze con le quali si dimostra la nullità di tutte le prove addotte contro il moto della Terra è spiegato chiaramente il principio della relatività. La "intera e nuova scienza dell'Accademico intorno al moto locale" viene discussa dai tre interlocutori che passano poi a parlare del pendolo, delle proprietà delle sue oscillazioni e della gravità in generale di cui non si conosce né l'origine, né l'essenza. La seconda giornata si chiude con una difesa dei concetti di Keplero per i quali la grandezza e la piccolezza dei corpi fanno diversità nel moto, ma non nella quiete, e l'ordine della natura è tale che le orbite minori vengono descritte in tempi più brevi e le maggiori in tempi più lunghi. Nella terza giornata si discute delle stelle nuove e del moto annuo; specialmente della posizione e distanza della stella apparsa nel 1572 nella Cassiopea, per la quale si conclude che essa doveva essere assai superiore alla luna e da collocarsi fra le più remote stelle fisse. Da questo argomento gli interlocutori passano alla considerazione del movimento annuo comunemente attribuito al sole, ma invece, da Aristarco da Samo prima, e poi dal Copernico, levato dal sole e trasferito alla Terra. Viene spiegato il sistema copernicano e come le osservazioni dei pianeti inferiori e superiori concordino per accettarlo in sostituzione del tolemaico. Il solo moto annuo della Terra attorno al sole può essere causa della grande ineguaglianza del moto dei cinque pianeti. Si discutono poi le macchie solari, scoperte dall'Accademico Linceo, con tutte le varie particolarità del loro moto, che prova quello del globo solare e nello stesso tempo conferma l'ipotesi copernicana. La grandezza dell'universo è incomprensibile al nostro intelletto, ed è prova della potenza divina; essa è dimostrata dalla difficoltà di misurare la distanza delle stelle che, se fossero molto vicine, dovrebbero presentare degli spostamenti (parallassi) molto sensibili. Si parla infine della filosofia magnetica di Guglielmo Gilberto, della composizione del globo terrestre e delle proprietà della calamita. Nella giornata quarta si discute del flusso e riflusso del mare, ed erroneamente confutando Keplero, che per primo scoprì dover essere questo fenomeno attribuito alla attrazione lunare, se ne rende ragione con le diverse velocità accelerate o ritardate delle varie parti del globo terrestre. L'argomento è quindi portato in favore del moto diurno della Terra e si cerca di spiegare le sue periodicità e le sue diverse entità nei vari mari. Si parla poi dei venti alle diverse latitudini e si chiude la discussione trattando dei problemi meravigliosi dei mobili discendenti per un quarto di cerchio e per le corde di tutto il cerchio e del fenomeno della precessione degli equinozi. Il Dialogo si prefigge un duplice scopo: di demolizione delle antiche credenze e costruzione delle nuove. In questo non mancano errori ben giustificabili. Il più grave, quello sulla interpretazione del flusso e riflusso del mare, che poteva essere evitato accettando la verità di Keplero, trova la sua ragione nella relatività del moto chiaramente ed esattamente spiegata da Galileo, ma in questo caso erroneamente applicata. Nell'agosto del 1632 la vendita del Dialogo venne proibita e nell'ottobre Galileo fu citato a Roma dall'Inquisizione. Seguì il processo; nel giugno 1633 il libro veniva proibito e Galileo doveva firmare l'abiura. Il Dialogo non solo segna il decisivo affermarsi dell'indagine scientifica quale oggi viene intesa, ma inaugura una nuova concezione dell'uomo e del mondo. Fino allora la conoscenza del creato si fondava, da un lato, su una rivelazione contenuta nei testi sacri, dall'altro su una tradizione profana risalente ad Aristotele, conciliata dagli scolastici con la tradizione religiosa e improntata a un eguale dogmatismo. Queste due tradizioni si accordavano nel concepire l'universo in funzione di due termini estremi: Dio, che tutto comprende, e l'uomo che dal tutto è compreso e ne rimane al centro. Il Dialogo, con il quale l'indagine si svolge senza schemi prestabiliti, forte solo dell'osservazione diretta, metodica e controllata della natura, e che ne esprime i ritrovati con una limpidità che lo rende modello fondamentale di prosa scientifica, se dischiudeva all'uomo tutta una serie di ricerche che gli avrebbero rivelato un nuovo volto del mondo, demoliva in egual tempo, intorno a lui, tutta un'antica, consolante e rassicurativa interpretazione dell'esistenza e lo costringeva, proprio nel momento in cui gli spiriti uscivano dalla profonda crisi del Rinascimento e della Riforma, a cercare il significato e il senso di altre verità nelle nuove conoscenze con cui veniva a contatto. La Chiesa Romana capì questo e ne presentì le conseguenze; il suo tentativo di arrestare l'uomo nel momento in cui si avventurava per la più pericolosa delle sue esperienze doveva fatalmente riuscire vano ma è certo notevolissimo, non meno dello sforzo di Galileo e degli scienziati che immediatamente lo precedettero e lo seguirono. Riuscì, se non altro, a ricordare, ancora una volta, che la constatazione di un fatto fisico, per quanto geniale essa sia, rimane ancora insufficiente se lo spirito non se ne impadronisce e non l'assimila entro la propria segreta armonia fino a darle un significato universale e rassicuratore.

Galileo lo chiami elegante chi non conosce la nostra lingua, e non ha senso dell'eleganza. (Leopardi).

Uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro di ogni pretensione e di ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che è l'ultima perfezione della prosa. (De Sanctis).


La scienza stessa, ch'egli ha la passione di divulgare, costringe alla chiarezza. Chiarezza e precisione, mosse da passione, ecco i termini di ogni poesia prendendo poesia nel suo senso più esatto: suscitamento di commozione superiore ottenuto con la parola. Siamo molto più su dell'eloquenza. Tante espressioni di Galileo vi abbagliano e vi accendono, vi danno trasalimenti lirici; ma non c'è riga che non si possa dire eloquente. (M. Bontempelli).

Giorgio Abetti

© 2009 - Luigi De Bellis