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GIACOMO LEOPARDI
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IL TRAMONTO DELLA LUNA
Il tramonto della luna venne
composto a Napoli nel 1836, lo
stesso anno della Ginestra,
pochi mesi prima della morte del
Leopardi. Questa lirica
appartiene alla "nuova poetica"
leopardiana, anche se -
diversamente da A se stesso e
dalla Ginestra - ricompaiono in
essa alcune immagini e alcuni
temi (la giovinezza, le
speranze, le illusioni) dei
canti pisano-recanatesi. Ma essi
sono inseriti in un contesto
profondamente modificato.
Un dibattito sull'ultimo
Leopardi
Il Binni, cui spetta il merito
di aver per primo individuato e
descritto aspetti e modi
peculiari della poetica
leopardiana degli anni più tardi
e di aver in generale rivalutato
il Leopardi eroico rispetto a
quello idillico (o presunto
tale), giudicava nel 1947 questa
lirica come un «ritorno di
idillio nell'ambito della nuova
poetica» e come un «momento
indubbiamente debole
dell'ispirazione leopardiana e
scarsamente animato». Questo
giudizio piuttosto severo si
spiega, nel contesto del saggio
del 1947, in ragione di
un'eccessivamente drastica
contrapposizione del Leopardi
idillico (1818-1820) e
pisano-recanatese (1828-1830),
visto con scarsa simpatia dal
Binni, con il Leopardi eroico.
Il Binni, insomma, per reagire
alle interpretazioni
tradizionali e per affermare la
validità poetica di un settore
della lirica leopardiana fino ad
allora trattato assai male o del
tutto misconosciuto, esagerava
il contrasto tra due momenti
egualmente vitali, pur se
diversi, della poesia del
Leopardi.
Questa troppo scarsa simpatia
per il Leopardi non eroico gli
venne contestata ad esempio dal
Timpanaro, il quale,
riconoscendo che «il libro del
Binni [...] mostrava come
l'illuminismo, il materialismo,
la polemica apertamente
anticristiana dell'ultimo
Leopardi non fossero stati
elementi perturbatori di
un'ispirazione esclusivamente
idillica, ma anzi generatori di
una nuova, non meno alta
poesia», ammetteva d'altra parte
che « il libro del Binni aveva
le sue durezze e unilateralità
[...]: un eccessivo stacco tra
il Leopardi idillico e il
Leopardi eroico, tra
l'ispirazione eroica delle
Canzoni giovanili (soprattutto
del Bruto minore) e quella dei
canti post 1830, e una troppo
frettolosa aggregazione del
Leopardi alla schiera dei
romantici». E il Binni stesso
avrebbe poi attenuato il
giudizio sul Leopardi non eroico
e, per quel che ora interessa,
sul Tramonto della luna,
osservando ad esempio che «lo
stesso Tramonto della luna non è
in realtà tanto un pallido
"ritorno" di una poetica
realizzata e consumata, quanto
un particolare aspetto
dell'ultima poetica leopardiana»
e che esso «consolida comunque -
nel suo nesso con la tanto più
possente Ginestra - quella
persuasione materialistica e
antiprovvidenziale che nella
Ginestra si espande formidabile
nella sua intera potenza
poetica».
Modi e forme non più idillici.
Ciò che ora importa notare è
come antichi temi e immagini
ritornino in questa lirica senza
contraddire la nuova poetica.
Essenzialmente è da notare
l'assoluta impersonalità del
componimento. Il Leopardi - a
differenza dei canti
pisanorecanatesi ispirati alla
poetica della ricordanza, con
l'eccezione dunque del Canto
notturno, pure assai impersonale
- non si riferisce mai
direttamente alla propria
esperienza, ma evoca immagini
con forte valenza simbolica e
formula osservazioni la cui
validità è estesa a tutto il
genere umano: il tramonto della
luna, che lascia la terra nella
totale oscurità, rappresenta
simbolicamente il diagramma
della vita umana dalla
giovinezza alla vecchiaia, dal
concepimento di illusorie
speranze alla condizione in cui
è «incolume il desio, la speme
estinta, / secche le fonti del
piacer, le pene / maggiori
sempre, e non più dato il bene»
(vv. 48-50), condizione che non
lascia altra prospettiva che la
morte. Si noti che la
similitudine lascia il posto a
un'antitesi: la terra sarà
illuminata nuovamente dal sole,
ma «la vita mortai ... non si
colora / d'altra luce giammai,
né d'altra aurora», suo termine
invalicabile è «la sepoltura»
(riaffermazione dunque di una
concezione interamente
materialistica, pur senza le
punte di polemica
antispiritualista della
Ginestra).
Ma sarà ancora da notare come
alla stessa giovinezza con le
sue grate illusioni siano
attribuite immagini meno
cordiali e più cupe
dell'abituale': se per la
vicenda delle «collinette e
piagge» è evocata una dinamica
che dalla luce lunare trascorre
al buio intenso e quindi alla
luce solare, diurna, per la
vicenda umana non c'è giorno, è
sempre notte. Le speranze della
giovinezza, infatti, sono
paragonate álle ombre notturne
che produce la luce lunare; con
il trascorrere della giovinezza
«in fuga / van I'ombre, e le
sembianze / dei dilettosi
inganni» (vv. 22-24), come al
tramonto della luna in terra «
spariscon l'ombre, ed una /
oscurità la valle e il monte
imbruna». Lo stesso ritorno di
immagini paesistiche vaghe e
indefinite, comprese nei
cataloghi di immagini poetiche
dello Zibaldone, è fortemente
attenuato dal fatto che tutte le
immagini della prima stanza sono
rese più astratte e, per così
dire, distanziate trovandosi
all'interno di una similitudine,
procedimento insolito nella
precedente poesia leopardiana.
Basta confrontare l'attacco
«Quale in notte solinga ecc.»
con altri attacchi precedenti
per percepire come le immagini
evocate siano .inserite in una
precisa struttura argomentativa,
non vivano più di vita propria,
ma siano secondi termini di un
paragone in cui l'accento cade
non sull'immagine o sulla
memoria ma sulla desolata
riflessione. Il componimento si
conclude, infine, con due
immagini che esulano entrambe
dalla poetica dell'indefinito e
del vago: la luce abbagliante
del sole («folgorando», «fiamme
possenti», «lucidi torrenti»,
«inonderà») e l'oscurità totale
della morte e della sepoltura
che non lascia sussistere
nessuna, per quanto tenebrosa,
sembianza.
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