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GIACOMO LEOPARDI
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ANALISI DEL LEOPARDI
La posizione del Leopardi è
quella, se non proprio di un
classicista in senso stretto,
certo di un letterato che si
dimostra più incline a
considerare il valore intrinseco
e assoluto dell'opera d'arte,
misurato più sulla base di
criteri tradizionali - quali la
ricercatezza, la nobiltà,
l'eleganza dello stile - che
sulla sua efficacia comunicativa
presso il nuovo pubblico
emergente, cioè secondo la sua
modernità, popolarità, novità,
originalità ecc. (aspetti e
termini, questi, cari alla
pubblicistica e, in genere, alla
riflessione romantica).
Le affermazioni del Leopardi
circa l'inadeguatezza del
criterio della novità per
determinare il valore di
un'opera d'arte, per quanto
implicite, sono rivelatrici: «i
libri nuovi faranno dimenticare
e sparire il vecchio: appunto,
se non altro, perché essi nuovi,
e vecchio quello: del che
abbiamo l'esperienza quotidiana
per testimonio». II «vecchio»
(dove si coglie forse,
riportata, una punta del
disprezzo che molti pubblicisti
a questo «vecchio» tributavano),
travolto dal «nuovo», è quello
che, se adeguatamente coltivato,
si nobilita diventando «antico»
(si noti il diverso spessore e
il diverso segno del termine
«antico», poche righe più sopra
contrapposto a «moderno»]).
La sua può apparire anche una
posizione latamente
"aristocratica", da questo punto
di vista: non lo è
necessariamente, ma certo la
differenza con affermazioni
"democratiche" (come quelle del
Berchet sul pubblico dei ceti
medi) è clamorosa. Nelle ultime
righe, quando parla del
pubblico, sostanzialmente il
Leopardi individua il medesimo
pubblico di massa cui
intendevano programmaticamente
rivolgersi il Berchet e i
romantici, ma ne dà una
descrizione tutta negativa:
incapace di apprezzare la
«diligenza» dello stile e quelle
virtù rare che si raggiungono o
fortificano mediante studio e
applicazione, il pubblico
odierno è «negligente»,
trascurato, privo di «gusto»,
incapace di «sentire», di
apprezzare e ancor più di
«giudicare le bellezze degli
stili». Questo di lì a poco sarà
anche il pubblico che decreterà
il successo del feuilleton e che
al Leopardi appare da subito in
tutta la sua mediocrità e
corrività.
Notevoli sono anche alcune
implicazioni personali,
autobiografiche di questo
discorso. Egli, come dirà anche
ne La ginestra, è convinto che
in una situazione
socio-culturale come quella
ottocentesca, gli ingegni più
fini sono destinati a non essere
apprezzati dal pubblico
contemporaneo; non essendo
apprezzati dal pubblico sono
destinati a scomparire nella
massa, nella folla dei tanti
mediocri e, così, anche a non
passare alla storia («obblio /
preme chi troppo all'età propria
increbbe», La ginestra, vv.
68-69). È a ben vedere anche la
fine delle «generose illusioni»
umanistiche prima e foscoliane
poi, che di fronte alla
prospettiva del «nulla eterno»,
ipotizzavano per il grande
artista o per l'uomo magnanimo,
un'immortalità laica, la gloria
imperitura. Anche in questo
senso il Leopardi si mostra ben
radicalmente pessimista.
Ma al proposito del nostro
attuale discorso importa notare,
al di là delle connotazioni
positive o negative, come il
Leopardi individui con nettezza
e lungimiranza la situazione del
moderno mercato editoriale e le
sue principali caratteristiche.
Caratteristiche che all'epoca
del Leopardi, in Italia, erano
assai meno visibili ed
accentuate di quanto non fossero
allora, ad esempio, per il
pubblico inglese o francese, o
di quanto non siano ora per noi.
Quando parla della vita effimera
dei libri del suo tempo, il
Leopardi certo si pone un
problema di valori assoluti: i
grandi libri sono destinati a
essere travolti nell'anonima
moltitudine, che a lui pare
totalmente, crudelmente caotica.
Ma intuisce aspetti "tecnici" -
diciamo così - del mercato
editoriale, che andranno col
tempo accentuandosi: il mercato
e il suo pubblico tendono a
consumare sempre più rapidamente
i prodotti, per sostituirli con
prodotti nuovi; all'aumento
delle tirature molto spesso non
corrisponde la durata del libro
nel tempo.
Un tipico fenomeno di quegli
anni che coniuga l'aumento delle
tirature con la diminuita durata
delle opere è quello - già
evocato - dei feuilletons,
fenomeno che proprio negli anni
immediatamente successivi a
queste note leopardiane,
esploderà in Francia. Molti di
questi romanzi si consumano
giornalmente, quando escono a
puntate sui quotidiani, poi
vengono dimenticati.
II Leopardi muoveva da una
posizione che può apparire
tradizionalistica, attardata e
magari aristocratica e
classicistica (ma non può essere
invece una considerazione
semplicemente acuta e veritiera,
se pochi anni dopo anche lo
scapigliato Carlo Dossi in una
delle Note azzurre, dopo un
lungo elenco di romanzi
settecenteschi, osservava che
uno solo di essi si era «salvato
dall'oblio»?). In ogni caso,
coglieva precocemente e con
grande nettezza un fenomeno che
proprio in quegli anni stava
modificando assai più
radicalmente che in passato la
realtà della produzione,
circolazione e fruizione delle
opere letterarie e la loro
stessa natura.
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