Le opere di Giuseppe Antonio Borgese

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Parliamo di

  Giuseppe Antonio Borgese
Analisi opere
 1 Gabriele D'Annunzio
2 Golia, la marcia del fascismo
3 Rubè
4 Poetica dell'unità
5 Storia della critica romantica in Italia
6 Tempo di edificare
7 La vita e il libro
8 I vivi e i morti

 


La vita e il libro
 

Opera pubblicata in tre serie a Torino nel 1910-1913. Riunisce recensioni e saggi scritti tra il 1909 e il 1911, con lo scopo di sollevare a piena dignità di ricerca e di valore esegetico quell'attività di critica giornalistica cui aveva dedicato le sue migliori cure, al fine di superare in essa il contrasto fra la critica accademica e la critica militante. La raccolta degli articoli borgesiani costituisce un vastissimo panorama delle tendenze, dei valori, dei problemi, delle figure rappresentative nel primo decennio del Novecento, quando andavano a uno a uno scomparendo o esaurendosi i grandi protagonisti della letteratura ottocentesca, e si annunciavano intanto, ancora confusi e incerti, ma in un rigoglio eccezionale di fermenti e di sperimentazioni, i temi e gli scrittori del nuovo secolo. La vastità degli interessi di B. è dimostrata dal fatto che le sue rassegne abbracciano, oltre ai grandi poeti e narratori (Tolstòj, D'Annunzio, Pascoli, Péguy, Carducci, ecc.), anche problemi politici e morali (Corradini, Renan, Sorel, il modernismo), questioni critiche (il Vico di Croce, con la polemica che ne seguì), di storia e di pensiero (Gambetta, Max Nordau, Maurras, Schopenhauer, Kierkegaard, il Kalevala), nel tentativo di raccogliere, giorno per giorno, tutti i particolari di quanto accadeva nel campo della letteratura e del pensiero, della politica e della storia, senza dimenticare neppure i personaggi minori. La vita e il libro si apre con una breve premessa metodologica in cui B. enuncia la propria concezione di una critica sincera, pronta e sicura nel giudizio di fronte ai fatti letterari che ogni giorno si presentano, lontana da ogni compromesso, da ogni menzogna: e, al tempo stesso, illumina la stretta connessione fra vita e letteratura in cui l'Autore crede, e di cui anche il titolo dell'opera è evidente affermazione. Di pagina in pagina si incontrano giudizi assai felici, come la limitazione dell'opera di Anatole France a un'ornata letteratura di abile dilettante; oppure la severa accoglienza al nazionalismo estremistico di Barrès, espresso in una debole e confusa narrativa, priva di forza umana. Molto rigido è pure B. nei confronti di Gor'kij, di cui respinge il confuso misticismo rivoluzionario, mentre oggi pare eccessivo il favore per Andréev (anche se è visto con esattezza il suo carattere di epigono del grande romanzo russo dell'Ottocento); invece è tuttora valida la riduzione a fenomeno locale, pur non privo all'origine di intensità e sincerità, dell'arte di Selma Lagerlöf; altrettanto esatto il giudizio su Kipling, di cui B. esamina più volte le opere, distinguendo il vigore fantastico delle pagine "primitive" dalla retorica di molti romanzi e racconti. Recensendo La porta stretta dell'allora quasi sconosciuto Gide, Borgese indica felicemente tutta la morbosità del suo misticismo romantico. In un momento in cui, nella narrativa italiana, furoreggiavano Fogazzaro e D'Annunzio, la precisione dei giudizi sulle loro opere ha particolare merito e interesse: dei romanzi fogazzariani, B. mette in luce la debolezza d'ideologia, il carattere morbido e incerto, la sensualità estrema e ambigua, la struttura di commedia in tre atti, farcita di motivi laterali un po'alla rinfusa. Nella produzione dannunziana, indica il carattere di netta decadenza artistica di Forse che sì forse che no, e vede nella Fedra un fallimento completo, sia sul piano complessivo del dramma, sia su quello del frammento lirico. Nelle pagine dedicate al Pascoli, Borgese fonda quella che sarà la più comune interpretazione del poeta, quale cantore delle Myricae e dei Poemetti, mentre tutti i versi storici, politici, celebrativi, vengono condannati come assolutamente impoetici: a eccezione del poemetto Paolo Uccello, valutato positivamente. Certi ritratti di scrittori, disegnati in occasione della morte, o di un libro particolarmente significativo, riescono di un'acutezza singolare: la critica dell'estetismo di Loti, la descrizione della violenza verbale appassionata e fluente di Péguy, o dell'ironia di Pirandello, l'apprezzamento della Deledda. Le pagine sui crepuscolari, fra cui quelle famose dove è coniato il termine stesso che servì a definirli, ne indicano esattamente la posizione fra la corrosione della grande poesia dell'ultimo Ottocento e una nuova poesia, di tono dimesso ma ricco di oggetti e di aspetti insoliti; mentre la fragilità poetica e ideologica del futurismo è rivelata con attenta analisi. Solo spiace di veder negata la poesia di Palazzeschi, che Borgese ritiene "tutta da ridere"; è questo uno dei pochi errori critici dell'opera, accanto a una eccessiva attenzione a fenomeni minori, come la poesia di Ada Negri, la narrativa di Siciliani, l'opera di Rapisardi, oppure alla limitata comprensione per Hofmannstahl. Nelle sezioni dedicate ai critici, è veramente mirabile un ritratto di Thovez, e di interesse ancor vivo la famosa polemica con Croce, a proposito del suo libro vichiano (v. O.: La filosofia di Giambattista Vico), dove B. indica persuasivamente il limite di storiografo di Croce, che tende sempre a sovrapporre al pensiero storicizzato la propria posizione filosofica, guardando la storia in funzione della propria filosofia. La problematica etico-critica dell'inizio del secolo emerge nelle pagine dedicate a Sorel e al sindacalismo, alle posizioni monarchiche e reazionarie di Maurras, al modernismo di Murri e di Tyrrel, a Lombroso, al nazionalismo di Corradini, a Renan. Appaiono anche i nomi di Kierkegaard, letto con entusiasmo, di Ibsen, valutato con precisa misura nei pregi e nei difetti, di Cechov, troppo tuttavia limitato di fronte al minore Andréev. Tutte queste sono prove della completezza del discorso storico-letterario di Borgese, della profondità e della vastità della sua attenzione, della sapienza nel cogliere il nuovo e l'importante, in un'assidua opera di svecchiamento di metodo e d'interessi, che fu essenziale nei primi decenni del Novecento. L'opera venne ristampata a Bologna nel 1923-28.
Giorgio Barbieri Squarotti

 

Luigi De Bellis