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GIOVANNI BOCCACCIO
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DELLE SVENTURE DEGLI UOMINI
Compilazione biografica, in
lingua latina. L'opera, dedicata
a Mainardo Cavalcanti, e divisa
in nove libri, fu scritta tra il
1355 e il 1360, e riveduta e
corretta negli anni successivi.
Nel titolo si riflette la
giustificazione moralistica e
didascalica che il Boccaccia ha
voluto dare a questa sua fatica
ch'è insieme di storico, di
erudito e di novellatore: i
personaggi di cui si narra la
vita sono uomini e, in piccola
parte, donne che, troppo fidando
nei favori della Fortuna,
dall'apogeo della potenza
precipitarono nel baratro. Ciò
porge il destro, all'autore, di
molteplici digressioni e
considerazioni sulla volubilità
della Fortuna e sulla stoltezza
degli uomini che le si affidano,
e, nel libro VI, di un dibattito
tra il Boccaccio e la Fortuna
comparsagli a sostenere le
proprie ragioni. Al libro sono
premessi una finzione realistica
e uno spunto fantastico: il
Boccaccio si trovava un giorno
in compagnia di alcuni amici e
la conversazione venne a cadere
sul tema della instabilità della
Fortuna e della stoltezza degli
uomini. Più tardi, mentre il
Boccaccio attendeva in
solitudine agli studi diletti,
ecco affollarglisi intorno una
folla di illustri personaggi di
tutti i tempi, pregandolo di
ascoltare la narrazione delle
loro tristi vicende e di
rinfrescare o riabilitare la
loro fama nella memoria degli
uomini. E così ha inizio la
lunga serie di biografie da
Adamo, via via discendendo lungo
l'età classica e medievale fino
a fatti e personaggi dei secc.
XIII e XIV: Carlo I d'Angiò,
Giacomo di Molay, Giovanni il
Buono, il duca di Atene e
Filippa di Catania, da umile
lavandaia salita a confidente e
consigliera della regina
Giovanna di Napoli. È questa la
parte più interessante di tutto
il libro: il discorso su Carlo I
d'Angiò e sull'avventuriera
Filippa di Catania riconduce il
Boccaccio ai bei tempi del suo
soggiorno napoletano, e la
narrazione della vita di
Gualtiero di Brienne, duca di
Atene, si amplia in una fosca
descrizione dei misfatti di
questo avventuriero che fu, per
breve tempo, signore di Firenze.
A variare e alleggerire la
monotonia della materia il
Boccaccio vi ha sparsamente
introdotto elementi drammatici e
figurazioni icastiche di
personaggi: Sardanapalo compare
col viso annerito dal fumo del
rogo, la regina Arsinoe con le
chiome scompigliate e con le
guance solcate dalle rosse
tracce delle sue unghie,
l'imperatore Vitellio ancor
barcollante in uno stato di
truculenta ebrietà; Atreo e
Tieste, Tiberio, Caligola e
Messalina s'affrontano in un
violento accapigliamento che non
mancherebbe di vivacità se
avesse un'espressione
linguistica più libera di
vincoli che non fosse il latino,
lingua dotta e d'impegno troppo
letterario. L'opera rimane
tuttavia monotona e disorganica,
ma ebbe fortuna e grande
diffusione subito, e nel sec. XV
particolarmente in Francia, dove
fu foggiata l'immagine di un
Boccaccio moralista severo, poi
sostituita dall'altra, più
esatta, del novellatore
spregiudicato e gustoso).
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Daniele Mattalia |
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